Il Cairo – Dopo il discorso televisivo in cui ha tentato di calmare le acque, il generale Abdel Fattah Sisi ha rivelato di aver ricevuto, mentre era in corso lo sgombero di Rabaa el-Adaweya, numerose telefonate da parte del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama e di non aver mai risposto. Le foto del ministro della Difesa tappezzano i negozi del Cairo. I bambini ripetono il suo nome in segno di approvazione da parte degli adulti. E così, il Capo delle Forze armate diventa sempre di più l’eroe dell’Egitto indipendente che non ha bisogno di aiuti militari da Stati Uniti, Unione europea e Fondo monetario internazionale, ma che guarda alla Russia e ai Paesi del Golfo. E proprio in queste ore dagli Stati Uniti arrivano notizie contrastanti sulla possibilità che vengano bloccati gli aiuti militari all’Egitto, pari a 1,3 miliardi di dollari. Il senatore democratico Patrick Leahy, che presiede la sottocommissione Esteri, ha parlato di un’imminente decisione in questo senso di Obama. Ma queste voci non sono confermate. Ieri, il dipartimento di Stato degli Stati Uniti aveva anche avanzato dubbi sulla possibilità, annunciata dal premier ad interim Hazem Beblawi, di mettere al bando il partito dei Fratelli musulmani. Infine, continuano i contatti con Obama del premier turco Recep Tayyip Erdogan che ha parlato di prove dietro il «golpe» che inchiodano Israele.
«L’Egitto non è più un paese satellite degli Stati Uniti»
Per capire i nuovi assetti internazionali e le radici della popolarità di Sisi,Linkiesta ha incontrato, il leader nasserista Hamdin Sabbahi nelle stanze dell’Hotel Marriott di Zamalek. Sabbahi è l’uomo su cui si concentra l’attenzione in queste ore, come favorito in caso di elezioni presidenziali. Il giornalista e sindacalista nasserista per un soffio non ha passato il primo turno delle presidenziali del giugno 2012, lasciando il campo aperto allo scontro tra Morsi e Shafiq, ma si sprecano le accuse avanzate dai suoi sostenitori di brogli elettorali.
Come guarda l’Egitto agli Stati Uniti dopo il golpe?
Dopo le rivolte del 2011 non abbiamo ottenuto l’indipendenza nazionale. L’Egitto decide ancora come un Paese satellite degli Stati Uniti. Ma dopo il 30 giugno stiamo riguadagnando la nostra indipendenza dall’egemonia. È indicativo che ci sia una diffusa domanda di indipendenza nelle decisioni politiche degli egiziani. Il primo segno è la scelta dell’esercito di sostenere la rivoluzione popolare del 30 giugno. Tutti noi sappiamo che l’esercito egiziano è legato agli Stati uniti per fornitura d’armi e aiuti militari. E sappiamo che l’amministrazione americana sosteneva il regime di Morsi, se il nostro esercito ha preso la decisione di appoggiare il popolo, senza aspettare il disco verde di Washington: significa che iniziamo a prendere delle decisioni indipendenti, libere. Per ora non è ancora cambiato niente: dobbiamo costruire una piattaforma per liberarci del regime di Mubarak.
La Russia e il Golfo sostituiranno gli aiuti americani?
Gli Stati Uniti non permettono agli egiziani di scegliere il loro futuro in modo libero. Parte della loro strategia nel mondo arabo è di dividere. È chiaro in Iraq e Siria: due grandi Paesi sono divisi e coinvolti in conflitti di matrice religiosa. La frammentazione di questi Paesi va a beneficio della strategia di Stati Uniti e Israele. E vorrebbero fare lo stesso con l’Egitto, di questo ho paura. Non è possibile che venga issata la bandiera di al-Qaeda nel Sinai e in piazza Ramsis. Se continuano questa strategia provocherebbero la divisione del Paese e la guerra civile. L’opinione pubblica egiziana per questo è ampiamente anti-americana. Diamo invece il benvenuto alla Russia e all’Arabia saudita. Il re saudita Abdullah ha una grande popolarità in Egitto perché ha dichiarato il suo sostegno agli egiziani non solo con i soldi ma con il sostegno politico. Lo ha fatto parlando con il presidente francese Holland, difendendo l’Egitto. Dobbiamo capire chi sono gli amici e chi i nemici: chi sostiene la nazione egiziana e chi sostiene i Fratelli. Spero che Vladimir Putin venga in Egitto. Lancio un invito popolare a Putin a visitare l’Egitto, alla Cina e gli altri poli del mondo. Andremo per strada ad accoglierli. Non saremo mai più sotto l’egemonia degli Stati Uniti.
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Cosa significa essere nasserista nel 2013? Sisi è un nuovo Nasser?
Prima di tutto significa giustizia sociale: ridistribuzione della ricchezza per dare ai poveri i loro diritti economici e sociali, come esseri umani. Soprattutto contadini, operai e classe media che hanno vissuto la crisi sotto Mubarak e Morsi. Poi dignità nazionale: questi concetti sono incarnati nell’esperienza di Gamal Abdel Nasser, i nasseristi come me e la mia generazione, sono legati alle sue conquiste ma non alle sue pratiche di potere. Dobbiamo raggiungere gli stessi obiettivi in modo nuovo, collegato alla nuova sensibilità di questa generazione. Sisi (capo delle Forze armate, ndr) non è parte del movimento politico nasserista perché non ha mai fatto politica, ma con la sua discesa in campo in questo momento critico ha ricordato agli egiziani l’immagine di Gamal Abdel Nasser. Per due motivi: l’esercito egiziano ha preso le parti della maggioranza degli egiziani ed è tornata la nostalgia per Nasser, soprattutto nella classe media. Per questo dico che Sisi è un nasserista: per i suoi valori, i suoi modi, le sue scelte.
La Fratellanza ha un futuro politico?
Contro la Fratellanza è necessaria una sfida culturale e non militare. Questa competizione deve essere democratica. Non si può fare neppure di tutta l’erba un fascio: i leader islamisti hanno preso decisioni tragiche e sbagliate, sfidato la volontà degli egiziani e usato armi contro lo Stato. Ma i manifestanti pacifici sono cittadini egiziani. Hanno il diritto di essere parte di un processo politico. Ma se questo significa permettere di nuovo la formazione di partiti politici basati sulla religione, la mia risposta è un «no» categorico. L’Islam è la componente più importante della cultura egiziana, prodotto di musulmani, cristiani e anche ebrei in alcuni periodi. La sovrastruttura deve rispettare queste infrastrutture culturali: i valori religiosi. C’è un abisso tra questo principio e la formazione di partiti politici su basi religiose. Perché i cosiddetti islamisti monopolizzano questo patrimonio culturale comune? Questo abuso dell’Islam per il beneficio di un partito è dannoso per entrambi: la religione e il popolo.
Il Fronte nazionale di Salvezza continuerà a esistere dopo Baradei? E quali sono le sue priorità?
Penso che Baradei prenda decisioni secondo valori personali. Gli abbiamo dato questa possibilità e non concentriamoci sulle sue scelte perché non inficiano il Fronte: anche il suo partito Dostour va avanti. Gli egiziani sono indipendenti dai leader politici. La nostra agenda prevede la partecipazione alle elezioni parlamentari con una lista unitaria. Ma non posso anticipare se parteciperò o meno alle presidenziali. Prima di tutto, una legge per l’indipendenza dei sindacati dallo Stato, per il beneficio di lavoratori e contadini. Inoltre ci vuole una legge che liberi la società civile, per le organizzazioni non governative. E poi una legge elettorale per libere elezioni parlamentari e presidenziali, per questo è necessaria una Commissione indipendente. Su questo ci può aiutare l’esperienza politica e tecnica indiana. E poi, nella nuova Costituzione sono necessari articoli per diritti economici e sociali chiari.
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