Lo spread dell’Italia? Burocrazia, fisco e giustizia

Questioni perennemente aperte

L’Italia è un Paese strano, in cui la crisi economica sembra ormai un ricordo, stando a sentire le dichiarazioni del governo, e in cui chiunque vada a Palazzo Chigi dichiari, dopo cento giorni, di aver fatto di tutto per evitare la catastrofe. E come ogni volta, come il quel simpatico film con Bill Murray, “Ricomincio da capo”, gli italiani si svegliano e devono rivivere la stessa identica solfa da oltre 20 anni. 7.300 e rotti giorni di déjà vu.

L’Italia è il Paese in cui le imprese non investono per via di un apparato burocratico lento e obsoleto. L’Italia è il Paese in cui gli investitori stranieri vengono fatti attendere per anni prima di poter vedere accettate le proprie richieste. L’Italia è il Paese in cui il fisco strozza le società più di quanto potrebbe fare la crisi economica. L’Italia è il Paese che spreca il tempo a sua disposizione e fa fuggire le risorse più importanti. L’Italia è il Paese che in modo del tutto autolesionistico non è stato in grado di formare una vera alternativa politica – seria, concreta e duratura – a quella che c’era vent’anni fa. L’Italia è il Paese in cui – eccezione più unica che rara fra i grandi d’Europa – non esistono una destra moderna e una sinistra altrettanto all’avanguardia. Ma l’Italia è soprattutto il Paese che vive sospeso fra chi è contro e chi è a favore di una persona. Dato per morto più e più volte, Silvio Berlusconi è il crocevia di qualunque discussione politica. Lo era, lo è e lo sarà. E invece che guardare a ciò che realmente serve al Paese, i suoi politici continueranno questo triste teatrino. Almeno fino a quando non ci sarà una nuova emergenza.

C’è stata un’occasione però superare queste divisioni e per portare avanti le riforme di cui il Paese necessita come l’ossigeno. Con uno spread fra Btp e Bund a oltre 500 punti base, che avrebbe causato un significativo innalzamento del costo degli interessi passivi sul debito pubblico, non c’era altra soluzione che fare ciò che ci era richiesto: rinnovarci. Eppure, il dogmatismo di Mario Monti, unito alle esigenze di breve periodo e a una classe politica incapace di comprendere l’emergenza in cui versava (e versa tutt’oggi) il Paese, non ha fatto altro che peggiorare la situazione. Certo, la perdita di credibilità con gli investitori internazionali e i policymaker europei è stata colmata, ma mai fino in fondo. Non è un caso che quantità di debito pubblico in mano agli esteri sia comunque minore che in passato. Colpa della scarsa fiducia nel Paese e nelle sue prospettive di lungo periodo.

A voler essere positivi c’era anche la possibilità che Beppe Grillo potesse cambiare qualcosa. In tanti, compreso l’ex ambasciatore statunitense in Italia David Thorne, speravano. In molti si auguravano che potesse esserci un sussulto talmente grande da innovare un Paese che veniva dal periodo più oscuro degli ultimi vent’anni. E sicuramente anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha sperato per qualche istante che ci fosse un mutamento nella politica italiana, in cui non si ragiona di lungo periodo ma si vive di un quotidiano tifo quasi calcistico fra chi è a favore e chi è contro Berlusconi. Invece è successo che, in modo gattopardesco, tutto è cambiato affinché non cambiasse nulla.

Ogni crisi economica può essere l’occasione per ricostruire quanto non va. Può essere funzionale a una ripartenza, a un erase/rewind che dovrebbe servire a comprendere dove si è sbagliato per ritrovare una strada virtuosa. Così non è stato per l’Italia, che è invece ancora bloccata in un limbo mortale e tenuta in vita dal fatto di essere troppo grande e troppo importante per fallire.

Due anni fa la Banca centrale europea (Bce) ha inviato una dura lettera all’Italia. L’obiettivo era quello di smuovere gli animi, colpire le coscienze e vincolare un Paese nel tentativo di dagli una mano sostenendolo sui mercati obbligazionari. Come abbiamo osservato, le promesse italiane sono state disattese più e più volte. E in due anni la sensazione è quella di impotenza. Invece che correre, o anche solo trottare, per uscire quanto prima da una situazione che nel lungo termine avrebbe portato al suicidio, si è deciso di abbracciare la scelta di attendere e vivere alla giornata.

L’Italia di oggi è un Paese ostaggio di se stesso e delle sue paure, della sua scarsa lungimiranza, del suo immobilismo e di quella strana attitudine a non affrontare i problemi. Il risultato è ciò che vediamo coi nostri occhi quotidianamente. E poco importa se Tesoro e Banca d’Italia dicono che la recessione italiana – otto (8) trimestri di contrazione consecutivi, ovvero due anni, 24 mesi – sia ormai finita. Senza la droga della Bce l’Italia sarebbe già defunta. E mentre il declino continua e potrebbe peggiorare, dato che lo shock fiscale di fine anno derivante da IMU e Iva potrebbe deprimere i consumi ancora una volta, l’Italia deve anche fare i conti con le querelle fra magistratura e Berlusconi, come dimostra il caso del magistrato Antonio Esposito, delle sue dichiarazioni e del polverone che si è sollevato. Questo è il vero spread del Paese.  

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