Fed, con Bernanke finirà l’era della super liquidità

Si ritira Summers, voci su Janet Yellen

È l’evento più atteso dagli investitori internazionali. Fra domani e dopodomani, al meeting del Federal open market committee (Fomc), il braccio operativo della Federal Reserve, si dovrà decidere se e come iniziare l’exit strategy dal Quantitative easing (Qe), il programma straordinario di erogazione della liquidità tramite l’acquisto di titoli sul mercato secondario. La discussione verte su quando comunicare il tapering, cioè l’assottigliamento, del volume mensile di acquisti del Qe, 85 miliardi di dollari. Le indicazioni che arrivano da Wall Street vedono una forward guidance ancora più spinta e un possibile annuncio del tapering. Il tutto mentre si ritira dalla corsa per la poltrona della Fed l’ex segretario del Tesoro Larry Summers (considerato il candidato numero uno al post Bernanke), che però non aveva convinto alcuni critici e andava incontro a difficoltà nel processo di conferma della nomination. A questo punto, per la successione del 31 gennaio 2014, prende quota il nome di Janet Yellen, vice di Bernanke: sarebbe la prima donna alla Fed.

Cinque anni fa il mondo prese coscienza, ancora una volta, che anche le banche più celebri possono fallire. Nel settembre 2008 Lehman Brothers faceva tremare il mondo e il suo crollo, culminato con la richiesta d’iscrizione al Chapter 11 dello U.S. Bankruptcy Code, finì per l’impattare con violenza su qualsiasi segmento finanziario. Fu in quel momento che la Federal Reserve e il suo numero uno, Ben Bernanke, decisero che serviva mettere in campo una rete di protezione mai vista, né sperimentata, prima. Lo spettro della crisi del 1929 era reale. E Bernanke aveva studiato troppo le mosse di Roy Young, il capo della Fed dal 1927 al 1930. Bernanke decise di intervenire con forza. Con il suo placet furono lanciati prima il Term Asset-Backed Securities Loan Facility (Talf) e poi il Troubled Asset Relief Program (Tarp), infine il Quantitative easing.

Dopo una serie di Qe – siamo arrivati alla terza edizione – iniziata a cavallo di 2008 e 2009, è quasi tutto pronto per il graduale ritiro delle misure straordinarie. A testimoniarlo è la congiuntura macroeconomica. Il Fondo monetario internazionale (Fmi) in giugno ha stimato che l’America crescerà dell’1,9% nel 2012, del 2,7% nel 2014 e del 3,5% nel 2015. Lo spauracchio di tutti i banchieri centrali, cioè l’inflazione, non rappresenta un pericolo. Per il Fmi sarà compresa fra un tasso dell’1,8% previsto per l’anno in corso e un tasso del 2,2% stimato per il 2017. In calo, invece, il tasso di disoccupazione, che rappresenta il vero target della Federal Reserve. Il Fmi ha calcolato che si passerà dall’8,1% fatto segnare nel 2012 al 5,4% nel 2018.

Quello che deve preoccupare è la mole di liquidità rilasciata sui mercati finanziari dal 2007 a oggi. Un esempio di questo si può scorgere osservando il bilancio della Federal Reserve e come si è espanso. Alla vigilia di quella che è considerata la data di inizio della crisi subprime, ovvero il 9 agosto 2007, il bilancio della Fed vedeva asset complessivi per 869 miliardi di dollari. Poi, fra i vari interventi di salvataggio degli attori del sistema bancario americano, la crescita è stata esponenziale. Due giorni dopo il collasso di Lehman Brothers, avvenuto il 15 settembre 2008, il bilancio della Fed già sfiorava i 1.000 miliardi di dollari, toccando quota 995,093 miliardi. Nella settimana successiva il sorpasso di tale quota. Il 24 settembre 2008 gli asset in pancia alla Fed salgono a 1.211,825 miliardi di dollari, una settimana dopo 1.503,989 miliardi. Un mese dopo, il superamento dei 2.000 miliardi di dollari: il 5 novembre 2008 la Fed ha 2.074,205 miliardi di asset in bilancio. Dopo, l’espansione ha iniziato il suo rallentamento. Ma non è mai terminata. Anzi. L’ultima rilevazione, datata 4 settembre 2013, vede un bilancio della Fed pari a 3.654,182 miliardi di dollari.

Le incognite su cosa succederà dopo sono tante. Dall’impatto sui Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), passando per quello sul mercato statunitense, finendo con gli effetti sulla zona euro, sono diverse le conseguenze di un improvviso dietrofront dal Qe. Il timore di economisti e policymaker è che a seguito della politica monetaria espansiva della Fed si siano create delle bolle su determinate classi di asset, che siano bond o che siano valute. A fugare le paure ci ha pensato la scorsa settimana John Williams, numero uno della Fed di San Francisco: «Le bolle sui prezzi di certi asset, come anche i possibili scoppi di queste, sono qui per restare, fanno parte della natura umana». Chiaro il riferimento a quello che potrebbe succedere una volta che sarà utilizzata una forward guidance più aggressiva e mirata di quella usata finora.

Il meeting di settembre dovrà forse servire proprio a questo. Secondo l’opinione di Goldman Sachs, la Fed annuncerà ufficialmente il tapering del Qe, comunicando agli investitori in quali modalità, forse con un taglio di 10 miliardi di dollari. Opinione analoga per le altre principali banche di Wall Street. È possibile che già prima della fine dell’anno venga deciso di assottigliare il volume degli acquisti mensili, ma non si esclude che queste operazioni siano condotte solo a partire dal primo trimestre del prossimo anno. C’è infatti un monito che Bernanke e gli altri banchieri centrali statunitensi non possono non considerare.

«La Federal Reserve non può ignorare il rischio delle ripercussioni negative del tapering del Qe sui Paesi emergenti». Così il direttore generale del Fondo monetario internazionale (Fmi), Christine Lagarde, dal Workshop Ambrosetti di Cernobbio. Ed è per questo che Williams ha ribadito pochi giorni fa che le comunicazioni delle azioni della Fed saranno tempestive, precise e incontrovertibili. In una sola parola: chiare. Del resto, durante il G20 di San Pietroburgo i Brics hanno lanciato un fondo di protezione dagli effetti del post-Qe sul mercato valutario, dato che il dollaro statunitense rimane la principale valuta di riserva al mondo. Valore totale? 100 miliardi di dollari.

C’è poi l’ultima incognita. Sarà Bernanke a fischiare l’inizio del ritiro della liquidità? Oppure sarà il suo successore? Il risiko per il futuro governatore della Fed vedeva in pole position Summers, con al secondo posto Janet Yellen, attuale vice di Bernanke e preferita dal mondo accademico. Con la dipartita di Summers, tutto è da rifare. E potrebbe però essere una terza persona a sedersi sulla poltrona della banca centrale americana. Un’altra incertezza per gli investitori.

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