Non è facile la posizione del Pd nella vicenda Berlusconi. Da un lato le oscillazioni del Cavaliere, chiaramente incapace di decidere una linea di condotta, dall’altro le pulsioni alla distruzione del nemico, presenti con tutta evidenza nella base del partito ma anche in molti suoi esponenti, rendono la situazione molto scivolosa. Procedere senza esitazioni e senza indugi a votare la decadenza significherebbe con quasi certezza riportare il paese in una condizione pericolosissima di instabilità politica. Non votarla non è possibile, perché non si può ignorare una sentenza definitiva. In questo dilemma, il Pd sceglie, in modo piuttosto pilatesco, di non farsi carico del problema politico, affermando che non è affar suo. Ma un grande partito sentirebbe la responsabilità di tentare una via d’uscita e non lascerebbe questa responsabilità esclusivamente nelle mani del presidente Napolitano.
Ora, nessuno può seriamente pensare che, se si arriva al voto sulla decadenza, il Pd possa non votarla. Non per strumentalità politica, ma proprio per l’intima convinzione che lo stato di diritto imponga di dare seguito alle sentenze della magistratura. E’ quindi irricevibile la polemica del Pdl sulla presunta politicizzazione che farebbe della giunta un plotone d’esecuzione. E’ vero invece che nella maggior parte dei casi i parlamentari interessati da una causa di decadenza si sono dimessi, proprio per evitare lo scontro politico. In questa direzione bisognerebbe lavorare, per mettere Berlusconi nelle condizioni di dimettersi. E’ presumibile che lo stia facendo il Quirinale; dovrebbe farlo anche il Pd, se davvero avesse a cuore le sorti del paese. Non si tratta di intavolare una trattativa, si tratta di creare le condizioni per una uscita non distruttiva da una grave impasse della vita politica.
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Berlusconi chiede confusamente molte cose. Alcune di queste sono impossibili, altre forse no. E’ impossibile che il Quirinale o il Parlamento annullino una sentenza della Cassazione inventando una cosiddetta soluzione politica, sia in relazione alla incandidabilità prevista dalla legge Severino sia in relazione alla interdizione dai pubblici uffici. Questa richiesta esprime una visione illiberale della sovranità popolare, che si vorrebbe sovraordinata ai rapporti tra le istituzioni. In un quadro liberaldemocratico la logica delle istituzioni non consente di annullare una sentenza, anche se ritenuta ingiusta, se non attraverso strumenti definiti dalla Costituzione e dalla legge. Si apre qui uno spazio, come ha indicato Luciano Violante. E’ giusto riconoscere a Berlusconi il diritto a tentare tutte le vie di difesa che gli sono consentite dall’ordinamento. Violante si è limitato a suggerire di discutere la possibilità del ricorso alla Corte costituzionale, esponendosi a un virtuale linciaggio. Altre vie sono forse possibili.
Il partito democratico però fa muro, trincerandosi dietro l’eguaglianza di tutti i cittadini: argomento in realtà non pertinente. Il diritto alla difesa infatti è di tutti e quindi anche di Berlusconi; d’altra parte stiamo parlando di un parlamentare, al quale la Costituzione – come ha ricordato Michele Ainis in un coraggioso articolo sul Corriere della Sera – assegna prerogative, anche di difesa, che non sono di tutti. Non perché si dimentichi dell’eguaglianza dei cittadini, ma perché il parlamentare ricopre il delicato ruolo di rappresentante. Con ciò veniamo al nocciolo del problema tra Berlusconi e il Pd. Il primo rivendica in realtà il riconoscimento del suo ruolo di leader politico che rappresenta da vent’anni metà degli elettori. Il secondo ripete che bisogna distinguere la questione giudiziaria da quella politica: una formuletta buona forse per i comizi, ma del tutto inadeguata alla complessità del problema. Perché il problema Berlusconi è proprio nella impossibilità di distinguere tra questi due aspetti.
Il Pd dovrebbe mostrare di rendersi conto del dramma vissuto dal partito suo avversario e oggi alleato, evitando di banalizzarlo o peggio di disprezzarlo. E quindi aprire alla difesa di Berlusconi tutte le maglie che è possibile aprire senza violare lo stato di diritto.