Le elezioni tedesche si giocano sulla Grecia. Come prevedibile più si avvicina il 22 settembre, data della tornata elettorale in Germania, più si fa feroce la discussione intorno agli aiuti per Atene. Dopo alcune schermaglie all’acqua di rose, comprese le smentite di una ristrutturazione del debito sovrano ellenico, è il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble a rompere il silenzio. «Credo che ci sia un buco da 4,5-5 miliardi di euro nel programma di sostegno per la Grecia», ha detto oggi. Non proprio una novità, verrebbe da pensare. E infatti è opinione comune, negli ambienti finanziari, che questo sia l’inizio delle grandi manovre che porteranno all’ennesimo periodo nero di Atene.
LEGGI ANCHE: Il super duello televisivo tra la Merkel e Steinbrück
La situazione greca è nota da tempo. Sebbene siano stati fatti numerosi passi avanti nella gestione degli impegni legati al piano di salvataggio attualmente in divenire, sono ancora diverse le lacune. Dalle privatizzazioni al consolidamento fiscale, passando per la riscossione dei tributi e la lotta all’evasione e alla corruzione, molto è in ritardo rispetto alla tabella di marcia. E se l’attuale cancelliere tedesco Angela Merkel, nonché favorita alle prossime elezioni a capo della Cdu, insiste su una linea dura fatta di rispetto degli impegni presi dalla Grecia con la troika (Fondo monetario internazionale, Banca centrale europea, Commissione Ue), lo sfidante dell’Spd Peer Steinbrück ha sposato una strada fatta da più solidarietà e misure per la crescita economica per lo Stato più travagliato dell’eurozona. «È vero che devono continuare con il consolidamento fiscale, ma non si può pensare di uccidere un Paese», ha detto Steinbrück. «Gli sforzi fatti finora non sono abbastanza e se Atene vuole uscire dall’emergenza occorre che vengano rispettati gli impegni presi», ha risposto la Merkel. Considerando che mancano ancora venti giorni al voto, è facile immaginare che questo sia solo il preludio a un dibattito ancora più intenso.
L’ipotesi di una nuova ondata di aiuti per la Grecia è tutt’altro che irreale. Anzi. Il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem ha oggi ribadito che considera realistica la possibilità di un ulteriore sostegno finanziario per il Paese. Non ci sono ancora cifre certe, e sarà la prossima missione della troika a verificare l’esistenza o meno di un buco di bilancio, ma nei corridoi della Commissione europea sono ritenuti verosimili i numeri di Schäuble. Se così fosse, la prospettiva per il premier ellenico Antonis Samaras e il suo governo è quella che ha caratterizzato gli ultimi tre anni. Il circolo vizioso fatto di sprechi, cattiva gestione dei fondi erogati, impegni realizzati a metà e immobilismo nelle riforme potrebbe continuare. In pratica, uno scenario conosciuto. Del resto, il target resta sempre uno solo: un rapporto fra debito e Pil del 120% entro il 2020.
Unito al nuovo, e probabile, piano per il ritorno alla sostenibilità della Grecia, ci potrebbe essere ciò che finora è stato sempre evitato. Si tratta dell’Official sector involvement (Osi), cioè la partecipazione dei creditori ufficiali alla ristrutturazione del debito ellenico in loro possesso. Sui circa 300 miliardi di euro di bond esistenti, poco più del 70% è in mano alla troika. Come? La parte maggiore è da ricondurre ai prestiti erogati dallo European financial stability facility (Efsf), il fondo salva-Stati temporaneo, affiancato poi dallo European stability mechanism (Esm). Parlando in termini percentuali, circa il 18 per cento. Poi ci sono i prestiti bilaterali erogati dagli Stati membri dell’eurozona, i bond comprati sul mercato obbligazionario secondario dalla Bce tramite il Securities markets programme (Smp) e i finanziamenti arrivati dal Fmi. E su proprio questa mole di debito verte la discussione maggiore. Dopo la prima ristrutturazione, effettuata nel corso del 2012 e avente come oggetto i bond detenuti dai creditori privati (banche, società finanziarie, fondi d’investimento, hedge fund), appare evidente che per raggiungere gli obiettivi della troika ne urga una seconda.
Per farlo sono necessari altri soldi, in modo da prendere altro tempo. Già nel novembre dello scorso anno il rapporto della troika aveva fatto notare che il conto finale del pacchetto di salvataggio sarebbe stato rivisto al rialzo di circa 33 miliardi di euro a fine 2020. Cifre smentite da una analisi interna di Goldman Sachs, che preconizzava un esborso maggiorato di 80 miliardi di euro rispetto alle previsioni, sempre nello stesso orizzonte temporale.
Negli ambienti finanziari è noto che l’Osi sulla Grecia sia necessario, ma in Germania c’è una certezza. Sebbene le elezioni tedesche stiano mettendo in luce le divisioni fra Cdu e Spd, nessuno vuole introdurre variabili in grado di rompere l’attuale calma degli investitori internazionali. In altre parole, il no a nuove azioni invasive sul debito di Atene è bipartisan. Non è un caso, visto che a inizio luglio la casa d’affari londinese Lombard Street Research aveva scritto in una nota che «Angela Merkel non può permettersi di andare di fronte ai suoi elettori dicendo che si farà un’altra operazione di ristrutturazione del debito ellenico». Detto, fatto.
Il timore della Merkel è che si possa tirare il freno a mano dopo l’euforia per i primi segnali di una ripresa nell’area euro. Alla luce di questo mutamento della congiuntura, le derive possono essere svariate. «La crisi non è ancora finita, ci vorranno ancora tanti sforzi per ultimare il percorso iniziato, al termine del quale l’eurozona sarà più sicura», ha ribadito poche settimane fa il cancelliere tedesco. Il problema, semmai, è quello di convincere i contribuenti tedeschi che non ci saranno altri oneri sulle loro spalle e farli convivere con questa nuova normalità. Il tutto con sullo sfondo il Fmi che chiede, in maniera più o meno esplicita, l’Osi. Non sarà facile né per Angela Merkel né per Peer Steinbrück.