“L’Iran apre sul nucleare perché si sente accerchiato”

La teocrazia e la contesa con gli Usa

I due presidenti hanno parlato. Non tra di loro ma di fronte all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. A voler dare credito alle loro parole sembra che il lento avvicinamento tra Usa e Iran debba proseguire. Obama ha sottolineato la centralità, nell’agenda americana, della questione del nucleare iraniano. Ha ribadito il suo via libera a un programma civile e l’assoluta ostilità ad uno militare. Inoltre ha sostenuto che l’America non vuole ingerire nelle questioni interne dell’Iran per ribaltare il regime. Se poi la trattativa sul nucleare dovesse andare a buon fine, «tutto nelle relazioni tra i nostri Paesi potrebbe cambiare».

Miele per le orecchie di Rohani. Il presidente iraniano, proseguendo la sua campagna di restyling dell’immagine della Repubblica Islamica, ha condannato l’Olocausto come “crimine riprovevole” commesso dai nazisti, marcando la distanza dal proprio predecessore negazionista Ahmadinejad. Quanto al nucleare ha promesso nuovamente che l’Iran intende sviluppare la tecnologia dell’atomo «solo a scopi pacifici» e che è pronto a riaprire le trattative con gli Stati Uniti «in un periodo di tempo vincolante». Ma le sanzioni che stanno affossando l’economia iraniana devono essere eliminate.

Il timore degli Stati Uniti, e non solo, è che l’Iran voglia intavolare una trattativa solo per guadagnare tempo, magari ottenere un allentamento della pressione internazionale – utile anche per far riguadagnare consenso al regime degli Ayatollah in patria – e intanto proseguire segretamente i suoi esperimenti. Le credenziali di Rohani in questo senso non sono le migliori. Nel 2006 dichiarò in un consesso ristretto – ma la notizia fu poi diffusa dal Telegraph – che quando guidava le trattative con Francia, Germania e Inghilterra l’anno precedente, in realtà stava traccheggiando per consentire il completamento delle installazioni nucleari a Isfahan.

Non stupisce quindi lo scetticismo con cui diversi esperti guardano alle recenti aperture. Raymond Tanter, presidente dell’Iran Policy Committee e membro del National Security Council staff durante l’amministrazione Reagan, in un articolo pubblicato da Foreign Policy arriva a sostenere che Ahmadinejad e Rohani abbiano stili diversi ma la stessa sostanza: nessuna reale concessione sul nucleare e repressione di chi si oppone alla teocrazia. La critica potrebbe risultare ingenerosa, ma dà voce ai timori di quanti temono il doppio gioco di Teheran. Lo stesso Obama davanti all’Onu ha sottolineato che alle parole ora devono seguire i fatti. Perché su quelli l’America deciderà che tipo di rapporto avere con l’Iran.

«Io non penso che si tratti di un bluff», dice Pejman Abdolmohammadi, docente di storia e istituzioni dei Paesi islamici all’Università di Genova. «Rohani ha avuto il disco verde dall’Ayatollah Khamenei a trattare. Deve ottenere un allentamento delle sanzioni e la non ingerenza degli Stati Uniti nelle questioni interne. Da questo punto di vista Obama ha rassicurato Teheran».

Quindi è pensabile che il regime iraniano baratti la rinuncia a un programma nucleare militare con la garanzia della propria stabilità?
Assolutamente sì. L’Iran è pronto a collaborare con gli Stati Uniti per stabilizzare la regione, non solo trattando sul nucleare ma anche intervenendo in Siria, in Iraq e in Afghanistan. In cambio chiede più stabilità, per sé e per l’intero asse sciita.

Possibile che gli Stati Uniti, dopo le delusioni dell’area sunnita del mondo arabo, specialmente delle primavere arabe e dei Fratelli Musulmani, decidano di ribilanciare i propri interventi, dando più credito all’area sciita?
No, non credo. Gli Stati Uniti rimangono al fianco dell’Arabia Saudita nel tentativo di limitare quanto più possibile Iran, Siria di Assad, Hezbollah libanese e fanatici sciiti iracheni. Ma infatti la tregua, la trattativa, convengono più agli Ayatollah che agli Stati Uniti. Khamenei e i vertici dell’esercito, in particolare dei Pasdaran, hanno paura del rollback che stanno portando avanti gli americani contro di loro, come già fecero con l’Urss a suo tempo.

Come si può definire il rollback?
Gli Usa cercano di indebolire Teheran colpendone gli alleati e i punti di appoggio esterni. Sono intervenuti pesantemente su Hamas, hanno colpito di recente Hezbollah inserendone l’organizzazione militare nella lista dei gruppi terroristi – con pesanti ripercussioni economiche per il movimento – ora colpiscono Assad in Siria, nella zona irachena stanno concentrando gli sforzi contro i sadristi (le fazioni sciite fanatiche legate al leader Muqtada al-Sadr, ndr) e stanno cercando di dare più potere a Sistani, l’Ayatollah sciita di Najaf che predica moderazione e distinzione tra politica e religione. Tutto questo viene vissuto dalla Repubblica Islamica come un accerchiamento. Per romperlo stanno offrendo agli Stati Uniti una collaborazione, visto che parlare di alleanza è impensabile, per stabilizzare nel breve la regione. Innanzitutto in Siria ma, come dicevo, non solo.

Quindi la trattativa è più nell’interesse della teocrazia iraniana che non degli Stati Uniti.
Esatto. Se Rohani riesce a far sopravvivere la Repubblica Islamica per i prossimi 8 anni (due mandati), probabilmente questa potrebbe durarne altri trenta.

Cosa glielo fa dire?
In particolare la questione demografica. In Iran su 70 milioni di persone 50 milioni sono under 35. La maggior parte nella fascia compresa tra i 18 e i 25 anni. Quando tra pochi anni la generazione degli attuali trentenni avrà l’età giusta per diventare la guida di un’eventuale opposizione al regime, questi ragazzi oggi ventenni sarebbero il serbatoio di consenso necessario per abbattere la teocrazia. Se nei prossimi 8 anni la Repubblica dovesse stabilizzarsi, delusi o rassegnati, i giovani forse non sarebbero più abbastanza forti e determinati da causare un cambio di regime.

Le nuove generazioni non crescerebbero altrettanto insofferenti al potere teocratico?
Sicuramente sì, ma sarebbero molti di meno. In Iran dalla seconda metà degli anni ’90 c’è stato un drastico calo delle nascite.

Tornando alla trattativa con gli Stati Uniti, non è pensabile che l’Iran stia facendo la faccia buona per poter continuare il suo programma di nascosto?
Attività segrete è sempre possibile che ci siano, ma penso che saranno costretti a una certa trasparenza se vogliono ottenere una tregua.

E l’eventuale tregua potrebbe durare?
Penso che sarebbe una tregua nel breve periodo. Con Obama può proseguire, ma se il prossimo inquilino della Casa Bianca fosse un Repubblicano le cose probabilmente cambierebbero.

Twitter: @TommasoCanetta 

X