Ogni generazione ha la sua storia. Quella nata in Italia nel 1910 ha condiviso la scuola dove la M era la lettera di mamma e di Mussolini e le parate militari il sabato, quella nata nel 1930 ha potuto ricominciare a parlare col tu e andarsi a vedere il film di De Sica a Rossellini al cinema, quelli nati nel 1950 hanno litigato con i genitori pur di mettersi la minigonna e i jeans attillati; per quelli nati nel 1970 invece c’è stata un’unica esperienza fondante, in un’adolescenza sospesa tra evanescenti luci della Milano da bere e la nera angoscia della scoperta dell’Aids e della nuvola di Chernobyl: fare zapping.
In uno di quei lunghissimi pomeriggi in cui ci si scioglieva davanti a una televisione finalmente a colori e con più di cinquanta canali, si poteva incrociare la faccia di Gorbaciov simile a quella di un attore hollywoodiano e ascoltarlo raccontare il viale del tramonto del sogno collettivo sovietico, oppure commuoversi per la cinquantesima puntata in cui a quel piccolo orfano giramondo di Remì gli fanno fuori i cani (Zerbino e Dolce), o assistere inermi ai bombardamenti di Reagan su Bengasi… A molti di quelli che erano lì, davanti al teleschermo, un giorno è capitato di conoscere Giorgio Mendella.
La prima volta che compare in video è un ragazzo, ha poco più di trent’anni, è magro, dinoccolato, con i capelli buttati da un lato come un pilota dei robot e delle occhiaie da portiere di notte. Sembra uno di noi, un uomo del popolo, parla a mitraglietta come un piazzista forestiero appena arrivato in città, e sta vendendo un bene che nessuno aveva pensato si potesse smerciare. Sta vendendo soldi.
Se dall’altra parte dell’oceano è già cominciata l’era dei broker, se le aziende ma anche i bar di provincia si stanno popolando di consulenti finanziari con le camicie sblusate e giacche con le spalline, Giorgio Mendella ha una qualità in più: è un visionario, è esagerato, ha carisma. È capace di parlare per ore e ore, con un tono coinvolgente, ironico, caldo. Promette ricchezza. Molta. Dice che esiste un eldorado. Dice che c’è un posto allora praticamente sconosciuto che si chiama Romania, dove ora che il regime di Ceaușescu sta per crollare si potranno comprare case, interi palazzi a prezzi da sogno. Dice che conosce un modo d’investire i soldi lui in cui si guadagna il 25, il 27, il 29%. Gli fanno da testimonial gente del calibro di Alberto Sordi e Nino Manfredi, Gino Bartali e Gina Lollobrigida. Si presenta su un Concorde per la conferenza stampa che dà il via a una televisione nazionale, Retemia. Fonda una finanziaria dove raccoglie centinaia di miliardi di lire.
La sue attività si diversificano, si moltiplicano. Fa tutto: tv commerciale, conferenze all’americana, finanziamenti dal basso. Si lancia in ogni campo ed è in anticipo su tutto. Costruisce un centro commerciale in Romania dove vendere prodotti italiani. Diventa presidente della squadra di calcio del Viareggio, vuole comprare il Torino e la Fiorentina, nel frattempo si consola con una compagnia assicurativa e una banca, quella di Tricesimo. La gente lo acclama. Il suo giro d’affari supera i mille miliardi. In un Paese governato ancora dalle dinastie della finanza, sembra il primo capitalista con la faccia di un cantante della new-wave. Le sue convention straripano di gente, le sue prediche televisive raccolgono consenso, e il consenso vuol dire molti altri soldi. Gli investitori di Intermercato arrivano a 14mila.
E lui non si ferma: acquista un satellite, Primosat, per diffondere il segnale di Retemia. Dice di avere in mano una decina di brevetti, tra cui una rivoluzionaria siringa anti-Aids. Ha messo gli occhi su altre due emittenti televisive: Odeon e Telemontecarlo. La sua ascesa è inarrestabile, è un ragazzo con la giacca mezza sgualcita che però vuole mettersi seduto nel salotto buono. È abituato a sfidare tutto e tutti, è uno che a quattordici anni è scappato di casa.
Finché arriva il 25 giugno 1990, e i corvi del malaugurio che aveva scacciato fino a allora riappaiono in stormo. La Consob stoppa le sue trasmissioni perché, dice, vendono senza autorizzazione prodotti finanziari. La Procura di Lucca gli fa piovere addosso una gragnola di accuse: associazione per delinquere, truffa, sollecitazione abusiva del pubblico risparmio, esercizio abusivo della professione bancaria, falso in bilancio. Per Giorgio Mendella è la vendetta dei poteri forti. Sapeva che sarebbe capitato, e ora puntella le mura del fortino.
Può resistere, i telespettatori di Retemia sono anche i risparmiatori di Primo mercato e sono anche i fedeli delle sue convention. I giudici dicono che li ha imbrogliati, con il classico schema di Ponzi. Promettere alti interessi e ripagarli con i soldi di altra gente a cui si promettono alti interessi. Ma la gente gli crede, pensa che sia un perseguitato, gli crede. Almeno finché non gli viene recapitato un mandato d’arresto. «Potrei fare il deputato con sufficiente facilità grazie alla televisione», dice, «ma non lo farò mai. Io non ho voglia di finire imbavagliato. È già capitato a mio padre cinquanta anni fa».
È un perseguitato? È un truffatore? Qualunque cosa sia, decide di fuggire. Porta con sé decine di miliardi. Viene raggiunto da un mandato di cattura internazionale. È l’aprile del 1991, quando invia alla stampa una sola dichiarazione. Annuncia il suicidio, lo fissa per l’otto maggio. Non si toglierà la vita, ma cercherà anzi di risorgere dalle ceneri. Capisce, forse tardi, che ha bisogno di un sostegno politico. Ma ha il sangue dell’outsider, si sceglie sempre la minoranza, pensa di candidarsi con un gruppo di fuoriusciti leghisti, sperando di ottenere un salvacondotto. Il progetto non gli riesce, il 27 gennaio 1994 torna in Italia e accetta le manette. Entra in carcere, a Lucca. Solo poche ore prima un uomo con una storia molto simile alla sua ha fatto un discorso molto simile ai suoi dallo schermo di una televisione commerciale. Ha detto: «Questo è il Paese che io amo, qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti».
Mentre l’Italia viene abbacinata dalla luce di un nuovo miracolo italiano, Giorgio Mendella scompare nell’ombra. Si susseguono i processi. Gli amici lo rimuovono, più che abbandonarlo. Se quello che prima toccava diventava un fiume d’oro infinito, ora sembra che dovunque sia passato abbia lasciato tracce da decontaminare. Le sue società decine chiudono una dopo l’altra, come scatole cinesi che si ripiegano su se stesse. Entra in carcere da solo. Quando riesce, subisce altre condanne e rientra. Per bancarotta fraudolenta la condanna passa in giudicato. Nel 2004, si suicida il figlio, e a lui non viene accordato il permesso per andare al funerale. È un uomo invecchiato. Le sue occhiaie non sembrano più quelle dovute a una vitalità febbrile, ma quelle di un furore assopito dagli psicofarmaci. La sua parlantina è come se fosse ormai animata dall’ansia del risentimento piuttosto che dall’afflato della visione.
Ma in prigione è rimasto innamorato del mondo. E vendere è l’unica cosa che probabilmente sa fare. Si adatta a quello che c’è di fuori. Internet, il marketing customizzato, i social network, la pubblicità on line. Se Facebook e Google sono riuscite a farsi quotare per miliardi in borsa quando ancora non si capiva come facessero utili – insomma non diversamente dalla situazione di Retemia vent’anni fa –, Mendella ha pensato in prigione a un modo per fare soldi facendo guadagnare chi consuma. E ha bevettato il Decoder Fenix 3 (qui il sito), un congegno che collegato al tuo televisore ti dà 3 centesimi per ogni minuto di pubblicità che vedi. È un’idea simile a quella che vuole sperimentare Mark Zuckerberg per far funzionare la pubblicità personalizzata su internet.
Ma Mendella parte dal piccolo, dal margine: non ha agganci politici, non ha mai avuto protettori, non è mai stato benvoluto dalla stampa. Per adesso la sta commercializzando in quella Polonia che sboccia con un boom finanziario tipo quello italiano negli anni ’80. È un profeta che hanno trattato da Cassandra, ma giura di volersi rifare. Del resto, nonostante quel fisico ingrassato e la faccia da pugile a riposo, si capisce che non si vuole fermare. Forse perché in un mondo che ha paura dei disastri economici o dell’apocalisse dei Maya, chi è capace di creare illusioni non è mai un uomo finito.
Twitter: @christianraimo