«Baristi, camerieri, ambulanti, sciampiste, agricoltori, edili. Aiutano le famiglie povere e impossibilitate ad assicurare un futuro scolastico ai propri figli». Sono gli adolescenti italiani costretti a lasciare gli studi per lavorare. Almeno 260mila minori di sedici anni. Un fenomeno da terzo mondo, che pure non risparmia il nostro Paese. A sollevare la questione è il deputato di Sinistra Ecologia e Libertà Gianni Melilla, che ha recentemente presentato un’interrogazione a Montecitorio. I dati sono sconcertanti. Secondo un recente rapporto di Save the Children citato nel documento parlamentare, «il 2,7 per cento ha meno di 11 anni, l’8,5 per cento meno di 12 anni, il 13,8 per cento meno di 13 anni».
Almeno 30mila, poi, i minori tra 14 e 15 anni a rischio sfruttamento. «Si tratta di ragazzi e ragazze – si legge nella ricerca realizzata con l’associazione Bruno Trentin – che fanno un lavoro pericoloso per la loro salute, sicurezza o integrità morale, lavorando di notte o in modo continuativo, con il rischio reale di compromettere gli studi, non avendo neppure un piccolo spazio per il divertimento o per il riposo necessario».
Per i 260mila piccoli lavoratori italiani si tratta di impegni saltuari solo nel 40 per cento dei casi. Per la maggior parte sono occupazioni continuative. E non sempre legali. «A volte – denuncia Melilla – (i ragazzi, ndr) vengono reclutati in attività criminali: piccoli pusher, piccoli ladri, piccoli rapinatori fanno l’apprendistato alla delinquenza». In realtà ad essere illegali sono anche le professioni più comuni. La legge italiana al riguardo è categorica. Lo spiega il ministro del Lavoro Enrico Giovannini, che proprio tre giorni fa ha risposto all’atto di sindacato ispettivo. «Attualmente – si legge nel documento depositato a Montecitorio – i requisiti richiesti per la valida e corretta instaurazione di un rapporti di lavoro con un soggetto minorenne sono due: il compimento dell’età minima prevista dalla legge, fissata a 16 anni, e l’assolvimento dell’obbligo scolastico per almeno dieci anni».
Fino a qualche tempo fa gli adolescenti potevano iniziare a lavorare a 15 anni. Con la legge finanziaria del 2007 il governo ha rivisto, seppure di poco, il limite. Un impianto rigoroso, necessario per dare seguito alla convenzione Onu sui diritti del fanciullo, ratificata in Italia nel 1991. E in particolare all’articolo 32 del trattato, che tutela «il diritto del minore ad essere protetto contro lo sfruttamento economico ed ogni forma di lavoro pregiudizievole per la sua educazione, la sua salute e il suo sviluppo psico-fisico».
Il ministro Giovannini racconta un’altra realtà. I dati provengono dai risultati dell’azione ispettiva delle direzioni territoriali del lavoro, coordinate dalla direzione generale per l’attività ispettiva del dicastero del Welfare. Ebbene, solo nel 2012 «sono state riscontrate 897 violazioni di rilevanza penale, con riferimenti, in particolare, al settore del terziario in cui maggiore risulta la percentuale di impiego dei minori». Solo nei primi tre mesi dell’anno in corso, invece, il ministero ha scoperto altre 200 violazioni penali. Numeri imbarazzanti e molto parziali. Cifre che non tengono conto di tutti quei minori impegnati a tempo pieno in attività illegali. E una prima sorpresa arriva dalla diffusione geografica del fenomeno. Non solo meridione. La maggior parte delle violazioni sul lavoro minorile si è registrata in Lombardia, con 130 casi. Seguono Puglia (125) ed Emilia Romagna (105).