Storie dal mondoCome la Fed è diventata la banca centrale globale

La prima “banca centrale” Usa è del 1781

Con l’indicazione del nome di Janet Yellen a capo della Federal Reserve da parte di Barack Obama, per l’amministrazione democratica si prospetta un altro scontro con il Congresso: i 60 voti necessari potrebbero essere difficilmente raggiungibili (i democratici ne hanno solo 54) perché i repubblicani vedono come il fumo negli occhi il fatto che la più potente istituzione finanziaria del mondo venga guidata da una neo-keynesiana e democratica convinta.

Ma l’istituzione stessa di una banca centrale negli Stati Uniti è sempre stata una materia esplosiva, controversa e divisiva. Sin dalle origini, quando venne fondata la prima banca con funzioni di banca centrale, nel 1781, in piena guerra rivoluzionaria contro la Gran Bretagna.

Bank of North America

In quel periodo, l’esercito di Sua Maestà Giorgio III controllava la costa, diverse città e la frontiera occidentale. In compenso, le Tredici Colonie erano indebitate per 25 milioni di dollari, la fiducia nel credito era ai minimi e da più parti si chiedeva un intervento risolutivo. Così, nel febbraio 1781 viene nominato il primo e unico Sovrintendente alle Finanze: il finanziere Robert Morris, che già aveva contribuito di tasca sua con un milione di sterline a pagare l’armata di Washington. Tre giorni dopo, con l’aiuto di un prestito di 10 milioni di livres (antica moneta francese NdA) concesso dalla Francia e di una donazione di 6 milioni di livres fatta personalmente da re Luigi XVI, Morris propone l’istituzione di una banca nazionale, sul modello della Bank of England, per riprendere a stampare moneta ed a finanziare la guerra con l’emissione di titoli di debito pubblico. La proposta di questa nuova banca viene approvata dal Congresso Continentale il 26 maggio 1781 e la Bank of North America viene inaugurata il 4 gennaio 1782. In questo periodo, le sorti della guerra cambiano e con essa le sorti della Banca, fortemente malvista da esponenti di primissimo piano del Congresso come Thomas Jefferson. Tra il 1783, anno del trattato di Parigi che sancisce la definitiva indipendenza degli Stati Uniti e il 1787, la banca diventa via via una banca commerciale, fornendo comunque una prima base per un sistema bancario. Ma un altro Padre Fondatore sosteneva la necessità di una Banca Centrale vera e propria: il suo nome era Alexander Hamilton, primo Segretario del Tesoro dell’amministrazione di George Washington.

Bank of the United States (meglio nota come “First Bank”)

Nei piani di Hamilton, la Banca aveva un triplice scopo:

  • Stabilizzare la valuta
  • Ridare fiducia al credito all’interno e credibilità alla giovane nazione
  • Pagare tutti i debiti dei singoli stati

Fautore di un forte stato centralista e ammiratore della potenza britannica, il segretario al Tesoro non poteva non incontrare una forte opposizione da parte del Congresso, dominato dai deputati della Virginia e rappresentati in seno al governo dal segretario di Stato Thomas Jefferson. Anche perché, dei dieci milioni del capitale azionario della banca, due dovevano essere forniti dal governo, che a quell’epoca non disponeva di quella somma e pertanto doveva chiedere un prestito alla banca stessa. In più, la Virginia, come stato agrario e fautore di un governo limitatissimo, aveva pochi debiti e non voleva farsi carico, tramite la banca, dei debiti degli altri stati meno accorti. Infine, un aumento delle tasse sulle importazioni di alcolici che doveva servire a capitalizzare la banca, non era ben visto da nessuno dei jeffersioniani più convinti, come il futuro presidente James Madison, all’epoca deputato, e che come Jefferson vedeva l’istituzione di questa banca come un favore fatto agli industriali del Nord, bisognosi di continui prestiti per espandere il loro business. Ma Hamilton fece alcune modifiche al suo disegno originario di basarsi sul modello inglese.

Intanto, nel disegno di legge del 1791 la banca non era pubblica, ma completamente privata. La banca poi non era permanente ma aveva durata ventennale, dopo di che doveva venire nuovamente approvata dal Congresso. Non poteva né comprare titoli di debito governativo, né ampliare la propria capitalizzazione, né indebitarsi in alcun modo. Così facendo, dopo il passaggio congressuale, si garantì la firma del presidente Washington, anche lui perplesso sulla costituzionalità di questa banca. In più, questa banca era responsabile solo del 20% dell’emissione della moneta circolante sul territorio americano, al resto provvedevano le vecchie banche statali. Ma ciò nonostante, quando Hamilton perse la carica di segretario al Tesoro, nel 1795, il destino della banca già sembrava segnato: il nuovo segretario Olivier Wolcott decise quasi subito di vendere lo stock governativo del capitale della banca per fare cassa anziché aumentare ulteriormente le tasse sugli alcolici, che l’anno prima già avevano provocato la ribellione del Whisky in Pennsylvania con diverse manifestazioni violente che avevano causato morti sia tra la polizia che tra i manifestanti. E nel 1811, il nuovo segretario al tesoro di Madison Albert Gallatin decise di non rinnovare la concessione alla banca le cui azioni vennero vendute al banchiere di origine francese Stephen Girard, il quale la trasformò in una banca commerciale che rimase attiva addirittura fino al 1983. Nel periodo successivo, con la nuova guerra combattuta contro la Gran Bretagna, l’inflazione andò di nuovo fuori controllo, tanto che il governo si trovò nuovamente costretto a emettere buoni del Tesoro che presto sarebbero nuovamente diventati carta straccia. E Madison si rivolse a Girard per ottenere i soldi necessari per la guerra. E nel 1816, colui il quale era stato un oppositore della prima ora di una banca centrale, ritornò sui suoi passi.

Second Bank of the United States

Il clima politico statunitense era nettamente cambiato e l’unità nazionale della cosiddetta “Epoca dei buoni sentimenti” consentì che la banca venisse istituita con una scarsa opposizione congressuale dei soli jeffersoniani duri e puri. E con la stessa struttura del banca di Hamilton. Inaugurata il 7 gennaio 1817, cominciò subito con l’erogazione di credito attraverso le sue filiali per assecondare sia gli affaristi del Nord-Est che l’espansione territoriale a Ovest. Nel 1819, come prevedibile, ci fu un crollo del mercato immobiliare statunitense, troppo pompato dalle politiche economiche della banca, cui seguì una politica monetarista molto rigida per stringere le maglie e stabilizzare finalmente l’inflazione che affliggeva il Paese ormai da troppi anni. Ma l’effetto collaterale fu la disoccupazione di massa e un crollo del valore immobiliare. Una pesantissima recessione si protrasse fino al 1822. E l’opposizione alla banca crebbe e trovò il suo campione nell’eroe della guerra del 1812–1815, il generale Andrew Jackson. Nel suo programma per le elezioni del 1828 c’era appunto la distruzione della banca, vista come un covo di corruzione e di clientele, citando il caso della filiale di Baltimora dove il direttore venne arrestato per corruzione e concussione.
Anche se nel quinquennio 1823–1828, sanche a detta di un fautore del free–banking come Albert Gallatin, la banca centrò gli obiettivi di stabilizzare la moneta e di creare le condizioni per uno sviluppo industriale duraturo. Ma la campagnia populista di Jackson per le presidenziali del 1828, per la prima volta prendeva in considerazione non più la sola borghesia industriale, agraria e mercantile come i suoi predecessori ma si focalizzava sui bisogni dell’ “uomo comune”, fece breccia nei ceti bassi della popolazione americana, consentendo all’anziano generale di essere eletto con il 55% dei voti.

Tra le motivazioni che il presidente Jackson scrisse nel 1832 per giustificare il suo veto al rinnovo del mandato della Banca le spiccavano le seguenti:

  • La Banca racchiude tutto il potere finanziario americano in una sola istituzione
  • Espone il governo ad interessi stranieri (la compravendita di azioni della banca era aperta anche a cittadini di altri paesi)
  • Serve a rendere più ricco chi già lo è
  • Tiene in scacco molti membri del Congresso
  • Favorisce gli stati del Nord–Est a scapito di quelli del Sud e quelli dell’Ovest.
  • La banca e le banche in genere sono controllate da poche famiglie.

La dismissione della banca con il ritiro dei fondi governativi provocò un ulteriore shock finanziario che, a differenza di quanto credeva Jackson, colpì soprattutto gli agricoltori e gli artigiani che lui si proponeva di difendere. Le banche cominciarono ad accettare solo depositi in oro e in argento, innescando una stretta creditizia che avrebbe tenuto ferma l’economia americana per molti anni ancora, con una vita media delle banche commerciali di cinque anni e fallimenti a ripetizione per banche che non potevano più ripagare i titoli emessi. A stabilizzare nuovamente la situazione provvide, come già accaduto, una guerra, la guerra civile americana

National Banks System

Quando la guerra civile scoppiò, gli Stati Uniti si divisero senza mai aver avuto un’unica valuta nazionale, ma solo una monetazione in oro e in argento. La guerra richiese da subito una quantità di denaro nettamente superiore alle precedenti, con l’introduzione delle navi da guerra di acciaio, dell’uso dei treni per il trasporto delle truppe e di nuove armi come le prime mitragliatrici e i fucili a canna rigata. L’amministrazione Lincoln attuò diverse misure: prima nel 1862 con il Legal Tender Act unificò finalmente la valuta nei “greenbacks”, i primi dollari stampati a fondo verde. Poi, con il National Currency Act del 1863, s’istituirono delle banche nazionali che dovevano emettere moneta con un cambio unificato e unanimemente riconosciuto. L’anno successivo, il sistema delle banche nazionali venne finalmente stabilizzato, tassando al 10% i titoli emessi dalle banche statali che in questo modo si convertirono per la quasi totalità in banche nazionali, stabilizzando così un’economia di guerra che aveva bisogno di sempre più finanziamenti per sconfiggere il nemico sudista. Sconfitta la Confederazione, rimaneva però in piedi l’avversario di sempre, l’instabilità finanziaria, che veniva acuita da periodiche crisi di liquidità. Ad esempio, poteva succedere il caso seguente: una banca rurale teneva i depositi dei conti correnti, abitualmente, nel forziere di una banca più grande. Durante certe stagioni, ad esempio quella della semina, la banca rurale doveva fornire più denaro del solito, appoggiandosi alla banca più grande. Ma se anche la banca più grande in quel periodo avesse avuto un periodo simile, mancando un prestatore di ultima istanza, s’innescava una crisi di liquidità cui si accompagnava una corsa agli sportelli bancari con conseguente crollo delle borse. Uno in particolare spostò l’opinione pubblica a chiedere a gran voce una banca centrale, quello del 1907, quando in seguito a una speculazione sul prezzo delle azioni di una società mineraria, la United Copper Company, la borsa di New York perse il 50% del suo valore in pochi giorni. I tempi erano maturi per l’istituzione di una banca centrale vera e propria.

Federal Reserve

Venne istituita una commissione interparlamentare guidata dal capogruppo repubblicano al Senato Nelson Aldrich per studiare il problema bancario, che con le sue oscillazioni stagionali affliggeva costantemente l’economia americana. Una prima stesura prevedeva una National Reserve con quindici filiali regionali e un consiglio di amministrazione di 46 direttori. Ovviamente, la Banca era prestatrice di ultima istanza, ma i suoi capitali dovevano essere privati e questo voleva dire lasciare la banca in mano alle stesse persone che dominavano da anni l’economia americana come J.P. Morgan e John D. Rockfeller e che avevano avuto un loro ruolo nel panico del 1907. I democratici si opposero con forza al piano Aldrich e quando il loro candidato Woodrow Wilson vinse le presidenziali del 1912, il disegno di legge venne rimodellato, dando maggior presenza al capitale pubblico, ora prevalente. Le filiali regionali vennero ridotte a 12 e, a differenza del piano Aldrich, ogni banca operante sul territorio americano doveva aderire al Federal Reserve System. Il piano passò agevolmente l’esame della Camera ma passò in modo risicato al Senato, dove passo grazie all’astensione di 27 senatori e a misure non proprio razionali come quella di porre due sedi della Fed in Missouri a Kansas City e Saint Louis per convincere il senatore James Reed a dare il suo voto favorevole. La legge passò con 43 voti a favore, 25 contrari e 27 astenuti. I poteri e i compiti della Fed non avevano precedenti nella storia americana: doveva garantire ai mercati un abbondante liquidità, tenere sotto controllo l’inflazione e mantenere tassi d’interesse non troppo elevati nel lungo termine. I poteri della Banca sarebbero poi aumentati negli anni, tanto da dovere attuare una politica monetaria che garantisca la “piena occupazione” secondo l’Employment Act del 1946. Ma gli oppositori della Fed non sono morti: l’ex deputato repubblicano Ron Paul ha addirittura impostato la sua campagna presidenziale per le primarie con lo slogan “End the Fed”. La Fed ha avuto le sue colpe sia nella crisi del 1929 che in quella del 2007–2008: questo è fuor di dubbio. Ma senza una banca centrale probabilmente gli Stati Uniti non sarebbero mai diventati una potenza globale. Perché quando la Fed sbaglia, poi può anche fornire la cura. Certo, la cura può essere più o meno dura dal punto di vista sociale. Ed è questo che divide ancor oggi democratici e repubblicani.

Twitter: @MatteoMuzio

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