Altro che assottigliamento. La Federal Reserve non cambia la propria politica monetaria, come da previsioni. Il Federal open market committee (Fomc), ovvero il braccio armato della Fed, ha deciso per mantenere inalterati gli stimoli monetari. Troppo incerta è la situazione economica degli Stati Uniti. Troppi sono i rischi legati a un precoce tapering del Quantitative Easing (QE), che rimane fermo agli acquisti mensili di 85 miliardi di dollari, divisi fra 45 miliardi di Treasury e 40 miliardi di Mortgage-backed security (Mbs). Il target ora è per dicembre o, al più tardi, il marzo del prossimo anno.
Sarà, con ogni probabilità, Janet Yellen a dover procedere con la nuova strada della Fed. Non ci sono novità, non ci sono cambiamenti, non ci sono prove di ritiro degli stimoli erogati per ribilanciare il mondo dopo il collasso di Lehman Brothers. Ben Bernanke ha valutato che non è ancora ora. Come lui l’intero Fomc, tranne il presidente della Fed di Kansas City, Eshter George. La liquidità deve restare elevata, la presenza della Fed sui mercati pure. E l’orizzonte temporale dell’inizio dell’exit strategy si sposta sempre più in là.
La grande attesa era per settembre. Ma poi qualcosa è cambiato. I dati sulla disoccupazione hanno dimostrato che ci sono ancora diversi problemi. Il target della Fed è compreso fra il 6 e il 6,5%, quindi molto distante dal livello attuale. Infatti, secondo il Fondo monetario internazionale (Fmi), solo a partire dal 2014 il tasso di disoccupazione scenderà sotto quota 7%, per arrivare al 5,4% nel corso del 2018. Fino a quando non ci sarà un livello adeguato di disoccupazione non ci saranno cambiamenti. O meglio, come dice PIMCO, il più grande fondo obbligazionario mondiale, «l’intera operazione di riduzione degli stimoli monetari dipenderà dalla congiuntura». In altre parole, sottolinea PIMCO, il ritorno alla normalità sui mercati potrà essere più lungo del previsto.
A peggiorare la situazione, e procrastinando l’assottigliamento del QE, è arrivato lo shutdown. Con il blocco dei pubblici uffici i dati economici non sono arrivati. Il Bureau of Labor Statistics (Bls) non ha erogato alcun dato, facendo deragliare ciò che tutti gli operatori si attendevano. Come ha spesso ricordato Ben Bernanke, infatti, l’obiettivo è quello di monitorare con attenzione ciò che succede sul mercato interno, per evitare che ci possano essere. In assenza di dati, si è dovuto andare in base ai modelli utilizzati dalla Fed per anticipare i mercati finanziari e l’andamento congiunturale. Basta? No. Servono più informazioni per evitare di turbare i mercati tramite un ritiro repentino della liquidità finora erogata.
Quello che doveva avvenire in settembre, potrebbe avvenire già in dicembre. È questa l’opinione di Goldman Sachs, che in una nota di ieri ha lanciato la sua previsione. «Il QE potrebbe essere ridotto di circa 10 miliardi di dollari in dicembre, ma solo se i dati macroeconomici saranno positivi», spiegano gli strategist di Goldman Sachs. Lo stesso pensa Bank of America-Merrill Lynch, che ritiene ancora possibile che il tapering arrivi «entro la fine dell’anno». Di contro, Citi ipotizza che il mutamento della politica monetaria sia completato entro marzo del prossimo anno. Tutto dipende dai dati, ancora una volta. Secondo le aspettative di Citi, il QE sarà ritirato in toto nel settembre 2014. Una visione condivisa dalla maggior parte degli operatori.
Tutto inizierà nel 2014, quindi? Forse sì. Un sondaggio di Bloomberg, concluso nella giornata di martedì, ha evidenziato che il consensus vede il tapering del QE iniziare nel marzo del prossimo anno, con un riduzione di 10 miliardi di dollari sugli acquisti di Treasury e di 5 miliardi per quanto riguarda i Mbs. La riduzione dei volumi del QE sarà conclusa fra settembre (Treasury) e ottobre (Mbs). L’assottigliamento sarà discontinuo: più veloce per i titoli di Stato, più lenta per le Mortgage-backed security. Questo perché, come spiega HSBC, lo stress sul mercato immobiliare è ancora elevato. Ecco quindi perché, da aprile a ottobre, saranno più elevati gli acquisti di Mbs rispetto a quelli di bond governativi. Secondo le aspettative, la discrepanza dovrebbe essere di 5 miliardi di dollari. In realtà c’è un motivo in più che porterà a questa decisione.
Gli Mbs fanno paura alla Fed. Colpa dei mREIT, i mortgage real estate investment trust, particolari fondi che acquistano, impacchettano e vendono mutui sia residenziali sia commerciali. Un mercato che è cresciuto in modo rilevante negli ultimi cinque anni: dagli 85 miliardi di dollari del 2008 agli oltre 460 miliardi del primo trimestre dell’anno. La Fed ha alimentato questo mercato, quello degli Mbs, garantendo una presenza sugli acquisti che nessun operatore privato poteva permettersi. In altre parole, le banche d’investimento hanno creato mREIT in base alla presenza della Fed sul mercato degli Mbs. Un azzardo morale non da poco, specie la fragilità dell’economia statunitense. Quando queste misure straordinarie saranno terminate, spiega Wells Fargo, «lo stress rimarrà e diversi investitori vorranno avere un minor grado di rischio sui propri portafogli». Questo significa un addio agli mREIT? Forse no. Tuttavia, quando Bernanke parlò per la prima volta di tapering, l’effetto sugli Mbs fu repentino. Annaly Capital, Armour Residential e American Capital Agency, tre fra i maggiori fondi di questo segmento, il giorno dopo le parole del numero uno della Fed hanno perso oltre il 10% a Wall Street. Un segnale da non sottovalutare.