Lo scorso 21 settembre, il giorno prima delle elezioni federali, nelle cassette delle lettere di 41 milioni di appartamenti tedeschi è stata recapitata una copia di BILD, il quotidiano più diffuso della Germania.
La testata diretta da Kai Diekmann non è nuova a questo tipo di iniziative: già nel 2012, in occasione del suo sessantesimo anniversario, BILD aveva effettuato la stessa operazione promozionale, facendo siglare una tiratura record che gli valse una menzione d’onore sul Guinness dei Primati. Non paragonabile in termini di quantità, ma comunque ragguardevole, il traguardo raggiunto qualche mese fa dal Die Zeit, diretto dall’italo-tedesco Giovanni di Lorenzo: ad aprile, il settimanale di Amburgo ha fatto segnare il più alto numero di copie vendute dalla sua fondazione, 519.573.
Chi pensa che la stampa in Germania goda di ottima salute, però, s’inganna. Dietro all’apparenza scintillante si nasconde un’altra verità: che la crisi dei giornali non ha confini. Persino nella florida Germania, la Germania delle banche solide, dei rating in crescita, della disoccupazione in calo. Lo stato di Angela Merkel deve fare i conti con un panorama editoriale sempre più povero, numericamente e qualitativamente parlando. Tante le redazioni che hanno dovuto tagliare gli organici negli ultimi mesi, diverse le testate che hanno ridotto, riorganizzato, cassaintegrato, dislocato, chiuso.
Il terremoto non ha risparmiato neanche il quarto quotidiano più letto del paese, la Frankfurter Rundschau, che, dopo aver dichiarato bancarotta nel 2012, è stata salvata (ma non senza conseguenze) dall’intervento della Frankfurter Allgemeine Zeitung e della Frankfurter Societät. Peggio è andata al Financial Times Deutschland, che ha cessato le pubblicazioni a dicembre dell’anno scorso, dopo 12 anni di onorato servizio. Dopo la chiusura le vecchie stampe, le scrivanie e i memorabilia della redazione, i ricordi del periodo di attività giornalistica della testata sono stati messi all’asta, lasciando cadere un velo triste su una delle poche realtà editoriali di grandi ambizioni nate in terra tedesca in tempi recenti.
Nel 2013, come avvenuto già nel 2012, gli introiti pubblicitari dei giornali in Germania caleranno del 10 per cento. La circolazione delle copie, nella maggior parte dei casi, è declinata drammaticamente; in media, gli ultimi 10 anni le testate hanno perso lungo la strada il 30 per cento dei lettori. Il crollo di vendite ed introiti pubblicitari è inarrestabile, le grandi corporazioni editoriali lo sanno. Ad agosto, il colosso Axel Springer ha annunciato la vendita dell’Hamburger Abendblatt, storico giornale di sua proprietà da 200mila lettori al giorno, insieme ad altre testate periodiche: la proprietà ha scelto di cedere gran parte dei suoi migliori cavalli di carta, per investire più risorse nell’online.
Questo grafico di Der Spiegel, realizzato con i dati di vendita dei quotidiani tedeschi tra il 1998 ed il 2013, fotografa meglio di tante parole la situazione attuale.
Che le testate tedesche stiano rivolgendo sempre di più la loro attenzione all’online, lo conferma anche la nascita dei paywall. Un giornale online ogni dieci ne ha già implementato uno; l’ultimo è stato proprio BILD, che ha creato un sistema, BILD+, che ricalca quello inaugurato dal tabloid britannico The Sun pochi mesi prima. La FAZ inaugurerà all’inizio del 2014 un paywall ibrido, sul modello di alcuni quotidiani americani, mantenendo un terzo dei contenuti fruibili gratuitamente e imponendo un abbonamento per tutto il resto del giornale. L’abbonamento costerà tra i 31 e i 35 euro mensili, e permetterà accesso libero al sito, alle app del giornale, alla copia digitale del quotidiano.
Dopo la FAZ, sarà il turno della Süddeutsche Zeitung, qualche mese più avanti. A quel punto, tutti i principali quotidiani tedeschi avranno il paywall: una tendenza che, come spiega Ken Doctor sul sito di Nieman Lab Journalism, sarebbe stata generata da un tacito accordo tra i principali editori tedeschi. Come dire: “Farlo assieme, farlo tutti”, nel tentativo di non rimanere ostaggio dei tempi e di non regalare i propri lettori alla concorrenza. In Italia qualcosa di analogo potrebbe avvenire prossimamente: il terreno fertile tra le testate creato dal grande accordo costitutivo di Edicola italiana potrebbe essere il primo passo verso un grande paywall comune.
La domanda, in Italia come in Germania, è sempre quella: possono i sistemi di pagamento online supplire al declino delle entrate pubblicitarie? Oppure si assisterà ad una migrazione verso i contenuti gratuiti, che avrebbe a medio termine la conseguenza indiretta di impoverire ancora di più il panorama editoriale del giornalismo di qualità? Lo sviluppo di nuovi canali di distribuzione appare un punto focale nel processo di salvataggio dei giornali, così come la necessità che le testate reinventino dalle fondamenta se stesse e il loro rapporto coi lettori. Una sfida tutt’altro che semplice, in un’industria di enormi dimensioni come quella dell’informazione in Germania. Il panorama appare davvero fosco. «L’unica consolazione», scrive Cordt Schnibben sullo Spiegel, «è che non possiamo delocalizzare le redazioni e fare scrivere i giornali ai cinesi». Un’amara constatazione. Ma con un fondo di verità.
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