Caro Direttore,
il Porcellum: questione ancora insoluta. Non riusciamo a farlo morire. Non è l’unico problema che l’Italia si trascina dal 2005, ma attualmente è il più grave. A causa del Porcellum stiamo vivendo in un Paese privo di libertà. Esatto, di libertà, e non è esagerazione retorica.
Viviamo in un Paese emotivo. In cui domina la “mobilitazione generalizzata” di Ernst Jünger. Ci commuoviamo giustamente per ogni tragedia: Lampedusa, Siria, i cantieri che non si aprono, l’anziano in difficoltà, il bambino abbandonato, la donna offesa, umiliata e violata. Mentre ciò accade, però, tributiamo l’inerzia attraverso la morte del cuore, delle passioni, della conoscenza, del perché vale la pena vivere, battersi e possibilmente vincere.
Ci accontentiamo invece della “retrospettiva rosea”: com’era bello nel tempo passato. Ma è solo finzione, placebo, esclusione dagli occhi di ciò che è più conveniente non vedere per non soffrire. È lo Zeitgeist, lo spirito del tempo italiano in questo inizio di Millennio.
Il nostro Paese è in lutto di decisioni, forti e magari impopolari, piegato su egoistiche convenienze che si alimentano. E galleggiano. È un Paese di rivoluzionari e innovatori che però non mettono mai in gioco la testa. Cioè, né rivoluzionari, né innovatori. Siamo insomma in una morsa accidiosa e quindi peccatrice, bisognerebbe dire ai tempi di Papa Francesco.
C’è bisogno di una scossa, di un vaso caduto da un balcone che schivi per buona sorte la testa, facendoci rinsavire e rinascere.
La morte del Porcellum è gran parte della nostra rinascita, e noi saremo in lutto sino a quando qualcuno non lo ammazzerà.
Mi capita spesso di pensare alla maniera di un palombaro, andando a perlustrare ciò che sta sul fondo per meglio capire ciò che emerge. Dagli ultimi giri in apnea ho scoperto un reperto: l’ordinanza della Cassazione di rimessione alla Corte Costituzionale del Porcellum.
Contiene “rimbrotti” puntuali sul premio di maggioranza e una frase sconvolgente per senso di realtà: «Vi è da chiedersi se possa ritenersi realmente “libero” il voto quando all’elettore è sottratta la facoltà di scegliere l’eletto», finendo per far assumere alla espressione “libertà di voto senza preferenza” …il significato di un drammatico ossimoro». Una congiunzione di contrari pesantemente drammatica.
La mancanza di libertà nel voto ha come conseguenza la tirannia travestita da democrazia, un carnevale, una messinscena storica, satirica ed ironica. Se solo non fosse drammatico, appunto.
Ciò si coglie non tanto nelle raffinate discussioni gius-costituzionaliste, ma nella realtà ed anche nel Pil: chi non è scelto con voto “libero” ha sempre un “padrone” a cui guardare, la sua scelta è suggerita dal vincastro, mai attraversato dal dubbio di dover ascoltare il suo elettore, chi l’ha portato sin lì, finendo per fermarsi dinanzi ad ogni bivio: Imu si o no? Iva si o no? Province si o no? Tribunali si o no? Tav si o no? … e via di seguito. Ed è così che la mancanza di libertà divora le riforme nette che ci aspettiamo e il molto materiale “star meglio” che auspichiamo.
E i giorni volano, improduttivamente, facendo perdere il senso del tempo sprecato e dei suoi costi. Allora, caro Direttore, sul fronte della libertà mi sembra di vederci tutti listati a lutto.
Se lo riterrà, listi a lutto per protesta e memoria la sua autorevole e antica testata.
Sino a quando la morte del Porcellum non ci farà rinascere a nuova vita. Almeno per un po’.
*pubblicato su La Gazzetta del Mezzogiorno, il 10 ottobre 2013