Ho saputo della morte di Alberto Musy ieri a tarda sera dal messaggio di un amico, mentre stavo sfogliando un libro meraviglioso: lo Straborghese di Sergio Ricossa, ricevuto in dono da un altro amico poche ore prima. Per chi crede nelle coincidenze è una nemesi pazzesca perchè Ricossa, torinese proprio come Alberto, ha descritto magnificamente in questo e in tanti altri suoi libri l’autenticità dello spirito borghese. La borghesia come tipo umano più che il fuoco fatuo di una classe sociale; quel carattere borghese che Alberto incarnava come pochi, mosca bianca in questa povera Italia litigiosa, paludata, invidiosa, dove chi si professa borghese spesso lo fa standosene accucciato nella rendita comoda al posto della dura intrapresa, coltivando il proprio orticello senza alcuna passione civile, tra un weekend al mare e uno in montagna.
Alberto era distante da tutto questo. Una condizione assorbita dalla sua famiglia, la moglie e le sue bambine, in questi lunghi mesi di calvario, dopo l’agguato infame di marzo 2012. Alberto era allegro, colto, etico, mosso da un entusiasmo contagioso con il suo vocione squillante sempre un tono sopra quello degli altri. E non era solo per la sua voce.
Non mi piace mettere in piazza pudori e sentimenti, non vorrei mai usare il giornale per fatti che possono sembrare privati o quasi (Alberto era socio di questo giornale) ma in realtà la sua vicenda assume per forza di cose uno spessore pubblico per il suo approccio alla vita e al lavoro – “industry, frugality, honesty” -, esattamente per come Ricossa descrive il tipo umano: “borghese è chi vuol farsi da sé. Non accetta né le caste né l’egualitarismo. La responsabilità per lui è sempre individuale ed è disposto a imputare a sé stesso il proprio eventuale fallimento, senza cercare scuse. Non accetta chi emerge senza merito, per privilegi o per affiliazione clientelare. Vendo, non mi vendo, è il suo codice d’onore.” Il borghese, quello vero, non chiede nulla alla società se non conta di restituire con gli interessi. In questo senso è un vero rivoluzionario. E Alberto, sposando questo breve manifesto di vita, a modo suo lo era.
C’è un capitolo, nel libro di Ricossa, che sembra scritto stamattina. S’intitola “Perchè è inutile ammazzare i borghesi.” Ne cito qualche passo perchè merita davvero: “Il carattere borghese è in parte innato e in parte coltivato. C’è chi nasce mezzo borghese e se ne ha la volontà lo diventa del tutto, applicandosi da autodidatta. Non contano molto i soldi e la posizione sociale che il figlio eredita dal padre. Contano un po’ di più le bizzarre probabilità del patrimonio genetico dei genitori che si eredita quando mancano i soldi e la posizione sociale. Pertanto si può nascere mezzo borghesi in una famiglia contadina od operaia così come in una famiglia nobiliare; in una famiglia povera così come in una famiglia ricca.” E infine: “Non solo i borghesi possono nascere ovunque: possono nascere in ogni tempo e di fatto sono nati in ogni tempo. Perciò è inutile ammazzarli. Ne spuntano sempre di nuovi…”. Vale anche in questa squassata Italia, così povera di classe dirigente. Almeno finchè l’esempio e il ricordo di persone come Alberto non verranno dispersi.