“Bisogna dividere l’Europa per unirla di più”

Intervista a Carlo Altomonte

Unione bancaria, futuro dell’eurozona, euroscetticismo. Sono tre temi che continuano a tenere banco nel dibattito economico continentale. E dato che ora l’emergenza è passata, meglio pensare a come ricostruire l’unione monetaria. In tutte le fasi di transizione, il dibattito è cruciale per capire da dove arriviamo, dove siamo e dove vogliamo andare. Ne abbiamo parlato con Carlo Altomonte, docente di Economia dell’integrazione europea della Bocconi e non-resident fellow del Bruegel. E lo abbiamo fatto, come successo con Alberto Bisin, di fronte a un Negroni, giusto per essere più informali che mai. 

Partiamo dagli stress test della Banca centrale europea. Se guardi l’eurozona, cosa ti attendi da questa operazione su cui Mario Draghi ha investito tantissimo?

C’è un enorme premessa storica che deve essere fatta. Gli Stati Uniti hanno risolto il loro problema bancario, ovvero tutti gli asset tossici che avevano in bilancio, non appena questo si è presentato. Dopo Lehman Brothers, quindi a cavallo di 2008 e 2009, gli americani si sono ritrovati con il Troubled Asset Relief Program (TARP) con cui inizialmente non era ben chiaro cosa fare. Alla fine la soluzione fu trovata. La Federal Reserve si è presa gli asset tossici usando il TARP come garanzia, le banche hanno scritto perdite a bilancio e i mercati hanno avuto una flessione significativa, ma poi si sono ripresi. Perché?

Facile, perché hanno fatto ciò che l’Europa non ha fatto.

Esatto. Le banche americane hanno ripulito i propri bilanci, a costo irrisorio per il contribuente. Tutto il contrario dell’eurozona, dove invece si è creato un incredibile vincolo, un doom loop, fra Stati e banche. Non c’è stata pulizia dei bilanci, ma anzi si è incrementato questo circolo vizioso. E quindi ci ritroviamo con un sistema bancario ipertrofico, da un lato, e con più difficoltà strutturali, come i bad asset (tra cui il debito di alcuni paesi europei), o i bad loans. 

Sì, lo sappiamo cosa è successo con le aste a tasso fisso e i due Ltro della Bce. Le banche hanno comprato i titoli di Stato per sostenere le singole tesorerie. E dato che nessuno si fidava di nessuno, i francesi hanno comprato i bond francesi, gli italiani quelli  italiani e via dicendo. Frammentazione totale.

Non solo frammentazione, ma anche costi di finanziamento più elevati. È chiaro che poi gli istituti bancari non prestano denaro alle imprese. Non con mercati finanziari così divisi, perlomeno. In più, i rimedi che hanno provato a introdurre i policymaker europei sono stati discutibili. Basta pensare al private sector involvement sul debito greco, che ha tolto fiducia al mercato, o ai due stress test dell’European banking authority…

Quelli in cui le banche italiane non avevano bisogno di nuovo capitale. 

Appunto. Il problema è che c’è stata una gestione dei test poco centralizzata. Tutto era in mano alle authority nazionali, non c’è stato un rafforzamento completo. E questo è un modello che non sta più in piedi. Anche perché c’è mancanza di solidarietà fiscale e per costituzione la Bce non può comprare debito pubblico. Ora con l’Asset quality review ci sarà un cambio di paradigma. Perché deve esserci un cambio di paradigma. In altre parole la Bce deve sapere cosa c’è nei bilanci delle banche della zona euro per iniziare una sorveglianza adeguata. 

E poi è il primo pilastro dell’unione bancaria. Anche perché se è vero che lo stress finanziario si è ridotto, è altrettanto vero che esistono ancora problemi. Qual è il maggiore?

Io ritengo che ci sia un trilemma irrisolto di unione monetaria. Vedi, oggi in Europa ci sono banche nazionali, debito nazionale e manca un prestatore di ultima istanza. Queste cose non possono più stare insieme. Ma non si può usare la Bce perché nessun sistema federale permette alla banca centrale di acquistare debito dei singoli Stati, ma solo debito federale. Il tutto per un semplice problema di rappresentanza fiscale. È chiaro che se una banca centrale compra titoli di Stato greci, in ultima analisi redistribuirebbe le risorse di tedeschi, italiani e degli altri cittadini dell’eurozona (i cui Stati possiedono il capitale della BCE) per aiutare i greci. Ma chi ha votato la Bce?

Ci sarebbe quindi un evidente problema di legittimità. Che poi porta ai risultati che conosciamo.

Vero. E comunque non si può fare perché è contro i trattati. Chi sostiene oggi in Italia che la soluzione è la Bce che compra il debito nazionale di uno Stato non capisce niente di come funziona costituzionalmente un sistema federale. Ecco perché la Germania ha tutto sommato avuto ragione a  interrogarsi anche sullo European stability mechanism (Esm). 

Occhio, che poi ti danno del filo-Merkel. A parte gli scherzi, quale soluzione per questo trilemma?

La soluzione preferita da Germania, ma anche Italia, sarebbe la messa in comune di parti della politica fiscale. In altre parole, gli eurobond. Si mettono in comune risorse, specie per investimenti strutturali e anticiclici, ma si condivide anche lo sforzo sugli impegni. La Germania vuole questa via, perché è il creditore per eccellenza nell’eurozona e sa che, al contrario che con l’unione bancaria, nella quale la centralizzazione del potere l’avrebbe la Bce, con gli eurobond sarebbe lei ad avere maggiore voce in capitolo.

Non diciamolo agli anti-euro, quindi…

Beh, è chiaro che la Germania direbbe agli Stati “Io vi trasferisco parte delle mie risorse, raccogliamo debito europeo e lo mettiamo a disposizione per misure anticicliche, ma come ogni governo federale che si rispetti, pretendo impegni chiari e decisi, che saranno rispettati”. Non solo. La Germania in cambio di questo, potrebbe e vorrebbe decidere come vengono spesi questi soldi.

Ok, ti vuoi inimicare diversi italiani, è evidente.

Ma no, a noi farebbe molto comodo una situazione del genere. Le riforme ci verrebbero di fatto imposte, ma ci verrebbero anche in parte finanziate. Il problema è semmai che la Francia è contraria a questo tipo di unione fiscale. Non vuole cedere di una virgola. 

Per motivi storici, soprattutto. Ricordi la rivalità tra Parigi e Berlino?

Appunto, forse questo tipo di unione fiscale non si vedrà in questa generazione. Anche se in effetti in questi cinque anni ho visto cose che non avrei ritenuto possibili in cinquant’anni. 

Vero, e quindi come si risolve il trilemma?

Abbiamo visto che la Bce non potrà essere prestatore di ultima istanza, l’unione fiscale è difficile per via dei dissidi fra Germania e Francia, quindi rimane solamente l’unione bancaria. Con buona pace di Berlino, che non ha molta voglia che si guardi nelle banche tedesche. Specie perché l’Asset quality review dovrà essere pesante, e significativa.

Non è un caso che Mario Draghi ha detto che se una banca deve essere bocciata agli stress test, sarà bocciata.

Chiaro. La Bce deve dimostrare di fronte al mondo di essere credibile. Un esempio sono le aspettative di mercato. Secondo un sondaggio di Goldman Sachs, le sorprese negative potranno arrivare da Italia e Germania. È chiaro che se nessuna banca italiana, magari di medie dimensioni, viene bocciata, il mercato la vedrebbe male. Molto male. 

Quindi si tornerebbe a una sfiducia generalizzata…

Esatto. L’aspettativa di mercato è che una qualche banca italiana o tedesca tra quelle incluse nell’Aqr dovrà essere bocciata e dunque ricapitalizzata. Se non si riesce a farlo sul mercato, magari si potrebbe usare il modello bail-in, non come a Cipro ovviamente ma in modo infinitamente meno brutale, o potranno esserci fusioni e acquisizioni. Magari ci sarà un po’ di volatilità, ma non ai livelli del novembre 2011. Però i mercati sono già posizionati. Sanno che Draghi userà il pugno di ferro. E una volta finita l’Aqr gli investitori andranno long netti sull’eurozona. 

Poi tutto sarà a posto? E forse si potrà finalmente parlare di unione fiscale?

Tutto a posto, credo di no. Perché la Germania ha tutto l’interesse che la soluzione definitiva alla crisi non sia l’unione bancaria. La Germania vuole gestire la situazione. Se l’unione bancaria è perfetta, chi controlla le leve del potere sarà la Bce. E in questo contesto Berlino conta poco, troppo poco. Se invece l’unione bancaria è imperfetta, allora i mercati chiederanno di più. Ergo, unione fiscale. In questo caso, ci sarà Berlino a guidarla, per i motivi di cui abbiamo parlato. Ecco perché nell’unione bancaria non ci sarà mai un meccanismo di redistribuzione fiscale al suo interno, così come non ci sarà mai un fondo comune di garanzia sui depositi. Berlino non li accetterebbe mai. È questa la partita a scacchi di Angela Merkel: apre sull’unione bancaria, ma non del tutto, in modo da costringere la Francia a cedere sulla politica fiscale. E la Merkel si giocherà questa partita nel suo secondo mandato. 

Però non è da vedere per forza come una cosa negativa. Anzi, se la Germania assume la leadership europea, perché no?

Anche la Germania è in una situazione difficile, perché da un lato la classe politica ha raccontato male la crisi ai suoi cittadini, e dall’altro ha capito in ritardo che questa non è solo una crisi fiscale, ma soprattutto di bilancia dei pagamenti. Teniamo conto che tutti, nel Governo tedesco, erano consapevoli che non si poteva lasciare cadere l’Italia, perché siamo troppo fondamentali per loro. Ma non si poteva raccontarla così ai loro elettori, ecco il perché di questo atteggiamento ondivago nel corso della crisi italiana. Mettiamola così, ci sono le condizioni affinché ci sia una spinta per le riforme dell’Ue. Nessun Paese grande ha elezioni nel 2014, è un buon momento per l’eurozona

A proposito di questo, ci sono le elezioni europee. Cosa ne pensi? 

Non bisogna sbagliare, su questo fronte. E la Merkel è pronta a un cambio di rotta nel suo marketing politico, a un mutamento proprio in vista di prendere la leadership europea. C’è il problema dei populisti, ma la questione è forse più profonda.

In che senso?

Marine Le Pen può essere un problema, ma bisogna saper parlare chiaro anche con gli euroscettici. Da un lato c’è un rischio molto forte, ovvero che l’operazione di marketing della Germania, che diventa improvvisamente buona e si intesta la ripresa in Europa, sia vista malamente. C’è il rischio di shock politici, che potrebbero vanificare quanto di buono fatto finora. In altre parole potremmo trovarci il Parlamento europeo con diversi partiti euroscettici. Dall’altro c’è il buono della situazione, ovvero un voto molto euroscettico ma non troppo, potrebbe essere un segnale per i policymaker. 

Un segnale positivo?

Sì, perché significherebbe che c’è un dissenso, da ascoltare e non reprimere. Ci sarebbe una dialettica fra euro-ottimisti ed euroscettici.

Aspetta, io direi che ci sono tre vie: euroscettici, euro-ottimisti ed eurorealisti, cioè quelli che sanno che questa unione monetaria è imperfetta e deve essere modificata, non abolita.

Concordo, si creerebbe per la prima volta all’interno delle stesse istituzioni comunitarie una dicotomia esplicita fra chi vuole più Europa e chi ne vuole meno. Dopo gli sforzi fatti finora, sul piano finanziario ed economico, questo darebbe lo slancio per interrogarsi sulla realistica rappresentanza politica in più da dare all’Europa. 

Dividere per unire? È come nelle coppie: in un preciso momento, di fronte a crisi e scelte, bisogna decidere se continuare insieme o no. 

Sì, perché forse solo così si potrà maturare. I tedeschi non dicono di no alle riforme dei trattati Ue, anzi. Ma tieni conto stiamo lavorando ai limiti di quella che è la sovranità che un governo può esercitare in Europa a Costituzioni e Trattati invariati. Ecco perché i tedeschi non dicono no ai cambiamenti, ma dicono prima: “Fateci cambiare la costituzione, fateci interrogare sulla rappresentanza che vogliamo dare all’Europa. Siccome da noi non capita lo stesso, i cittadini votano Beppe Grillo forse anche perché percepiscono di non avere controllo sui mutamenti che la classe politica sta decidendo per loro.

Ma anche perché nessuno spiega cosa accade in Europa, non trovi? Ecco poi perché c’è così tanta ignoranza finanziaria e nascono correnti anti-euro sempre più marcate, ma senza fondamenti economici rilevanti.

È un fenomeno fortissimo. E i policymaker devono comprenderlo. Senza l’euro noi saremmo penalizzati. Abbiamo guadagnato tanto con l’entrata nell’euro, e ci siamo pure mangiati molto di quanto guadagnato. La risposta all’euroscetticismo è più Europa politica, senza dubbio. Dovremmo dunque fare le riforme costituzionali per avere più Europa dentro le istituzioni nazionali, e dunque, paradossalmente, riprenderci un pezzo di sovranità popolare. La prossima legislazione del Parlamento europeo potrebbe essere una legislazione costituente. Sarebbe un sogno, speriamo diventi realtà. 

Senti, qui il Negroni è terminato, quindi ultima domanda a risposta secca: come vedi l’eurozona fra cinque anni?

Le previsioni post – Negroni vengono benissimo: finanziariamente fortissima, con fondamentali macroeconomici a posto e molto più area monetaria ottimale rispetto a oggi. Tuttavia, con ancora un gap di competitività nel confronto con gli Stati Uniti. Una volta spento l’incendio, bisogna ripiantare gli alberi. E questi ci mettono un po’ a crescere.

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