Bruxelles striglia Roma, ma a far paura è il rating

Reazioni ai moniti dell’Ue

«C’è un po’ di sorpresa, ma siamo tranquilli». Così commentano a caldo con Linkiesta due diverse fonti di Palazzo Chigi dopo i dubbi espressi dalla Commissione europea sulla sostenibilità della Legge di stabilità italiana per il 2014. La verità è che il pugno di ferro di Bruxelles arriva dopo diversi segnali, dopo evidenti strigliate. Le implicazioni possono essere significative. Da un lato cè il rischio che il ritracciamento del governo di Enrico Letta possa creare frizioni nella precaria coalizione. Dallaltro cè il timore che i mercati finanziari, così come le agenzie di rating, possano giudicare in modo negativo il Paese ancora una volta. 

La bocciatura della Commissione europea non è da considerarsi una bocciatura. Non secondo il Tesoro, perlomeno. Dopo i moniti dei mesi scorsi, quando il commissario Ue agli Affari economici e monetari Olli Rehn si recò a Roma per discutere con Fabrizio Saccomanni della situazione italiana, è arrivato il primo cartellino giallo. Ed è giunto sul debito. «Gli obiettivi di rientro sul fronte del debito pubblico sono troppo vaghi», conferma a Linkiesta un funzionario della DG Ecfin della Commissione europea. Il Tesoro dice di no. «Tutte le misure prese negli ultimi mesi dal governo Letta sembra che non siano state prese in considerazione», afferma piccata una fonte del ministero dell’Economia. Inoltre, fa notare la fonte (proprio come ha ripetuto lo stesso ministero tramite un comunicato stampa), «tutte le azioni di governo sono state assunte con la piena conoscenza di Bruxelles». Dal pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione alla rivalutazione delle quote del capitale della Banca dItalia, «la Commissione Ue era costantemente informata», ripete il funzionario del Tesoro. 

Eppure, quello che dicono da Bruxelles sembra essere in disaccordo con ciò che riferisce il Tesoro. La Commissione Ue avverte che esiste «un rischio che la legge di stabilità per il 2014 non assicuri il rispetto delle regole del Patto di Stabilità e Crescita. In particolare, le previsioni della Commissione sottolineano il rischio che la legge di stabilità non consentirà la riduzione del rapporto debito/PIL in linea con il benchmark di riduzione del debito». Parole pesanti, che però vengono smentite da Saccomanni. Il ministro dell’Economia ricorda che la stessa Commissione Ue ha fatto notare che «le leggi di bilancio di tutti i Paesi dell’area Euro non violano in maniera sostanziale gli obblighi del Patto di Stabilità e Crescita e che non è necessario richiedere revisioni dei piani di bilancio». Tutto a posto? Non proprio.

È vero che non ci sono richieste ufficiali di revisione, ma in via ufficiosa il risultato è questo. Due i punti su cui dovrà agire il governo. Il primo è trovare un succedaneo per i 3 miliardi di euro, già contabilizzati, che dovevano arrivare dallInvestment Clause, ovvero il tesoretto per chi non supera la soglia del 3% nel rapporto deficit/Pil. Italia e Slovacchia non sono eligibili. La prima per via del debito troppo elevato, la seconda per un deficit non ridotto in maniera durevole. È quindi possibile che torni lIMU, come aveva suggerito Olli Rehn? Forse. Su questo versante le bocche a Palazzo Chigi sono cucite. 

Il secondo versante su cui dovrà agire il governo saranno privatizzazioni e dismissione del patrimonio pubblico. Il tutto per ridurre il debito in modo credibili. Il contrario di fatto finora, insomma. Ma non solo. Grande rilevanza lavrà loperato di Carlo Cottarelli, il funzionario del Fondo monetario internazionale a cui è stato affidato il compito di supervisionare la spending review italiana. Ai tempi della nomina di Cottarelli diverse fonti governative definirono loperazione come lavvio di una vigilanza un po’ più profonda da parte delle istituzioni internazionali. In altre parole, una versione edulcorata della troika. La riprova di questo è latteggiamento della Commissione europea, che attende con impazienza lesito del lavoro di Cottarelli, come già fonti europee avevano detto a Linkiesta durante lultimo Consiglio europeo.

L’accoglienza di Palazzo Chigi è stata tiepida. «Di certo, si sapeva che cerano ancora molte cose da fare, tuttavia non pensavamo che ci fosse un meccanismo di comunicazione di questo tipo», dice a Linkiesta un funzionario governativo. Lidea deriva dal fatto che gli impegni assunti presi dal governo «anche se non formalmente inseriti nella Legge di stabilità», come ha detto il Tesoro. Il problema, ora, è che i tempi sono sempre più stretti e, complice la mole di emendamenti, cè il pericolo che si finisca a fare un lavoro incapace di soddisfare Bruxelles. 

La reazione dei mercati finanziari non è stata positiva, specie a Piazza Affari, ma il peggio deve ancora venire. Di fronte a uno scenario così incerto, potrebbe avvenire ciò che il governo Letta teme da alcuni mesi: il taglio del rating sovrano italiano. Se è vero che Fitch ha confermato il rating BBB+ di Roma lo scorso 25 ottobre, è altrettanto vero che Moody’s e Standard & Poor’s devono ancora farlo. La prima lo ha affermato lultima volta lo scorso 26 aprile, la seconda a inizio anno. Alla luce dei rischi evidenziati dalla Commissione Ue, una nuova scure potrebbe abbattersi sull’Italia.

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