Poche ore fa Neelie Kroes affidava alla sua bacheca su Facebook questa dichiarazione
”Today we all worry about unemployment – every citizen and every politician. Yet there are huge online opportunities on offer – for men and women, young and old. Here’s why the Internet and the digital sector matter for European jobs”
Secondo la Kroes internet e lo sviluppo del settore digitale sono centrali nella lotta contro la disoccupazione; verrebbe da dire: “ovvio”.
In realtà, quando nel canale Innovazione&Tech abbiamo inaugurato con questo articolo un percorso di indagine sulle attività dell’agenda digitale italiana, abbiamo constatato il livello di arretratezza tecnologica del sistema Europa nei confronti di Asia e America e di come l’Italia fosse a sua volta in ritardo rispetto al resto dei membri della UE. Scopo di questo secondo intervento è di circostanziare le osservazioni mosse e, attraverso i dati di Europe 2020, presentare una foto della situazione Italiana rispetto ai pilastri su cui poggia il programma dell’Agenda europea.
Sono sette i pillars in cui è stato diviso il piano europeo di sviluppo tecnologico, per facilitare la creazione di task tematiche e parcellizzare l’azione legislativa da un lato e l’attività di analisi dei risultati dall’altro. La creazione di un mercato digitale europeo, la pianificazioni di interventi strutturali e la diffusione della cultura del digitale sono alcuni degli obbiettivi-quadro. In questo rapporto abbiamo tralasciato il comportamento dell’Italia in riferimento alla creazione di standard e protocolli per l’interoperabilità, e allo sviluppo delle tecnologie di sicurezza (pillars II e III), a cui vogliamo dedicare un analisi di dettaglio.
Mercato unico digitale
Da tempo l’ ADE e Europe 2020 stanno puntando il dito contro i particolarismi degli stati europei che rallentano la creazione di un sistema economico fondato sul digitale, stabile e remunerativo. La lotta alle ingiustificabili tariffe telefoniche in roaming, o il tentativo di armonizzare la legislazione sul copyright e di unificare le norme per il pagamento elettronico, sono solo alcune delle attività in corso. Lo sforzo di coesione è incoraggiato dalla diffuzione di una cultura dello scambio e dell’accesso attraverso la disclosure delle informazioni in formato open e gli incentivi al commercio elettronico.
Osservando la situazione del commercio elettronico in Italia i dati sono scoraggianti. Che solo il 17% di tutti gli italiani faccia acquisti online non sorprende, che la percentuale arrivi solo al 29% tra gli utenti attivi online lascia perlplessi. Questa situazione non è contrastata dagli imprenditori, che continuano a non investire in un settore globalmente in espansione. Solo il 4,2% delle PMI vende online i propri beni (13,4% la media UE). La percentuale cresce fino al 19,8% considerando le grandi imprese ma aumenta anche il gap con la media comunitaria: 34,8% sul totale.
Infrastrutture ed accesso
La telefonia mobile sembra essere una delle tecnologie più diffuse nel paese. Il 97% del territorio è coperto dalla rete 3G, e sono 160 i dispositivi mobili attivi ogni 100 abitanti. Il dato dissonante è che solo 14,30 dispositivi per 100 abitanti sono utilizzati per la connessione dati. Anche il digital divide sembra essersi ridimensionato, con quasi il 98% del territorio coperto da banda larga. Il problema è la lentezza delle connessioni. Solo il 14% della rete è di ultima generazione e meno dell’1% ha una velocità superiore a 30 mbps . La Francia nel frattempo ha il 4% della rete cablata a 100 mbps. Con queste premesse non stupisce se l’utilizzo della rete sia scarso. In effetti solo il 63% delle famiglie ha accesso ad internet e solo il 53% degli italiani lo usa regolarmente. Allarmante l’indicazione che solo il 10% sfrutta connessioni mobile (25,2% la media UE)
Ricerca e sviluppo
Con una situazione così debole dal punto di vista della penetrazione tecnologica e delle abitudini di utilizzo, la speranza risiede nella capacità degli amministratori di fare innovazione ed evangelizzazione attraverso degli investimenti mirati. La voce di bilancio “ricerca e sviluppo” acquista sempre più un ruolo centrale nella capacità di costruire un percorso evolutivo solido. L’Italia in questo momento (rilevamenti del 2012) investe l’1.2% del Pil, di cui solo il 6% è destinato al settore ICT . Sono genericamente sotto la media europea l’accesso ai fondi per progetti FP7-ICT, ma non è dato sapere se l’accesso ai fondi è scarso per mancanza di richieste o per il loro valore. Da notare anche le scelte programmatiche sul tema della ricerca: l’italia prevede di passare dall’1,2% attuale all’1,5% nel 2020 contro i goal fissati al 2% dalla Spagna e al 3% da Francia e Germania. L‘obbiettivo comunitario di raggiungere il 3% è già stato superato da Danimarca, Finlandia e Svezia. Sembra incredibile, ma sono stati definiti degli obiettivi in perdita con quasi 10 anni di anticipo.
Mercato delle competenze
Ovvio che il mercato delle competenze di settore stenti a decollare. Prendiamo il dato che il 9% della popolazione abbia scritto del software come una conquista enorme, anche se il valore è comunque inferiore alla media comunitaria; meno incoraggiante invece è che solo il 44% della popolazione possieda qualche skill tecnologica, e che ancor meno (37 % contro una media del 45%) usi il pc a lavoro. La situazione precipita se analizziamo il comparto scolastico. Da 17,80 pc ogni 100 studenti in età adolescenziale si scende fino a 6,20 su 100 nei primi anni formativi. Il trend è addirittura in calo nella fascia 16/17 anni, con una diminuzione di circa due punti pecentuali in 6 anni, in controtendeza rispetto al trend in crescita nel resto d’Europa.
Benefici del mercato ICT
I benefici derivati dagli investimenti nel comparto ICT sono davvero pochi. Senza una cultura del digitale non si generano competenze: di conseguenza l’indotto non cresce. Le esportazioni di beni e servizi generati dal comparto ICT sono rispettivamente l’1% e il 2% del totale, mentre le importazioni salgono al 5% e al 2%. Le esportazioni si trovano al di sotto della media UE mentre le importazioni di servizi sopra. Invertire questa tendenza dovrebbe diventare uno degli obiettivi per il nuovo direttore dell’Agenzia per l’Italia Digitale. Essere competitivi nel mercato ICT durante il dominio della Knowledge economy diventa strategico e significa non rimanere ancorati a mercati oramai in declino.
Prossimi appuntamenti
Per questo motivo ho intenzione di proseguire il percorso di indagine sulle attività dell’Agenzia Digitale prima con l’analisi sugli investimenti fatti dalla “cabina di regia”, poi con quelli erogati dall’Agenzia per l’Italia Digitale. Il ritorno di quegli investimenti va discusso pubblicamente per dare il via ad un dialogo propositivo tra politica e società civile. L’unico modo per verificare se le promesse degli anni scorsi hanno avuto seguito è quello di mettere le mani (e il naso) nelle tasche della politica.
Successivamente presenterò un confronto tra “agende digitali”: cosa sta o non sta facendo l’Italia rispetto agli altri paesi? Alla luce dell’analisi sugli investimenti fatti, cercheremo di capire come si sono mossi fino ad ora gli altri paesi cercando di individuare il percorso ottimale per uscire dalla stagnazione.
Ai temi dell’ eGov e dell’ eHealth verranno dedicate delle monografie.
Alla prossima puntata