Marino, Doria e la crisi dei sindaci punch-ball

Primi cittadini e responsabilità

Forse non sarebbe importante la gomitata incassata ieri in consiglio comunale da Ignazio Marino, sindaco di Roma ,colpito ieri alla testa dal consigliere di Fratelli d’Italia Dario Rossin, se non ci fossero già state le botte in Aula a Marco Doria, sindaco di Genova, la settimana scorsa. E forse né il primo, e nemmeno il secondo episodio, sarebbero importanti, se non si verificassero entrambi in un clima di difficoltà estrema, di crisi, di conti che non tornano, di folle inferocite, e di aziende municipalizzate impossibili da risanare. 

Solo pochi giorni fa lo stesso Marino si è sentito dire dalla sua stessa tesoreria che non poteva garantire economicamente per i soldi necessari alla prosecuzione dei cantieri della metropolitana perché non c’è un euro in cassa, e la nuvola di Fuksas – che doveva essere l’opera simbolo del nuovo millennio per la Capitale, è destinata ad essere incompiuta se non arriveranno altri 150 milioni di euro (doveva essere consegnata nel gennaio scorso!). Per non parlare del dramma del teatro dell’Opera, dove rischiano di saltare tutte le repliche dell’Ernani diretto da Riccardo Muti: gli orchestrali sono in sciopero perché mancano i soldi per gli stipendi (e addirittura per i contributi).

sindaci punch–ball, insomma, da un capo all’altro del paese, sono l’immagine eloquente di questa crisi, di un’Italia a rischio fallimento, in cui i trucchi delle leggi di stabilità continuano a scaricare sugli enti locali i buchi dei bilanci dello stato centrale, o a rendere insostenibili i già cospicui disavanzi locali. Non è un mistero che il comune di Roma sia in condizioni disperate e abbia tempo fino al 30 novembre per chiudere il suo bilancio (quello del 2013). La giunta deve adempiere a questo obbligo malgrado l’ostruzionismo dell’opposizione, oppure rischiare di arrivare al commissariamento prefettizio. È noto che a a Genova l’azienda dei trasporti, senza l’iniezione di fondi della Regione sarebbe fallita.

non è molto dissimile il disagio dei sindaci sardi colpiti dall’alluvione, ad esempio quello di Olbia Gianni Giovannelli, che si ritrova in città sedici quartieri abusivi e non può usare un solo centesimo dei soldi che ha in cassa per il risanamento, perché il patto di stabilità glielo impedisce. Giovannelli aveva addirittura scritto al governo per poter ottenere una deroga e non ha nemmeno ottenuto – in un anno – una risposta. Alla catena dei calvari va aggiunto forse anche un altro caso di queste settimane, quello del sindaco di Salerno Vincenzo De Luca, che dopo l’ennesimo coinvolgimento in una indagine legate alla sua attività amministrativa si è sfogato con la Repubblica: «Dimettersi se indagati? In un paese nel quale le iniziative giudiziarie durano 15 anni e si concludono nel nulla? Sarebbe pazzia, barbarie giudiziaria. Ci si dimette per condanne definitive, salvo che per ipotesi di reato infamanti, io non mi dimetto». E che dire di un ex sindaco come Antonio Bassolino, prosciolto solo in questo giorni con formula piena dopo una lunga inchiesta sui rifiuti?

primi cittadini erano diventati il simbolo del rinnovamento italiano, e avevano il privilegio – rispetto ai premier – di essere eletti direttamente. Avevano grande prestigio, grande visibilità e grandi responsabilità, ma adesso sono rimaste solo le responsabilità: il sindaco che un tempo raccoglieva gli allori adesso diventa il bersaglio e il parafulmine di ogni disagio. Per questo i pugni e le gomitate non sono un dettaglio di colore ma un simbolo: il dramma dei sindaci è la fotografia fedele della crisi dell’Italia

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