Un manifesto per sensibilizzare l’opinione pubblica contro la pratica dell’utero in affitto. Parte dal Parlamento la battaglia della deputata Eugenia Roccella contro la maternità surrogata. La parlamentare del Pdl ha presentato a Montecitorio il comitato “Di mamma ce n’è una sola” A breve partirà una raccolta firme per raccogliere adesioni tra Camera e Senato. «Utero in affitto, gestazione conto terzi, gravidanza su commissione: sono diverse le espressioni che raccontano un fenomeno in espansione in tutto il mondo – spiega il comitato – . Donne che, a pagamento, affrontano una gravidanza e un patto sapendo che poi cederanno il neonato a qualcuno che glielo ha commissionato, più o meno legalmente».
La posizione del comitato presieduto da Eugenia Roccella e coordinato dalla consigliera regionale del Lazio Olimpia Tarzia è drastica. «Perché – così spiega la deputata Pdl – nessuno può obbligare una donna a cedere il figlio che porta in grembo». Il manifesto è ancora più diretto. «Una società che permette di sfruttare il corpo della donna e svilirne la dignità, considerandola un mero contenitore di un figlio altrui, è una società che non sa più da dove viene né verso dove vada – si legge – . Il carattere mercantile delle pratica dell’utero in affitto rappresenta nettamente un tradimento dei fondamentali diritti umani». Dopotutto, spiegano gli organizzatori, sono i bambini che hanno diritto a una famiglia. «E non viceversa».
► Quanti bambini nascono fuori dal matrimonio?
Al di là delle posizioni del comitato, il documento presenta una serie di interessanti statistiche che aiutano a inquadrare il fenomeno. In India, una delle mete preferite del “turismo procreativo”, si stima un indotto complessivo di circa due miliardi di dollari l’anno. «Il costo di una maternità in affitto va dai 10mila ai 35mila dollari, a fronte di 80-100mila dollari negli Stati Uniti». Almeno un migliaio le cliniche che forniscono il servizio, nonostante nel Paese asiatico non ci sia ancora una legge che regola questa pratica.
Il comitato punta l’indice contro il fenomeno. «Le condizioni delle donne indiane che accettano una gravidanza “conto terzi” sono note grazie a inchieste di ong, indiane e internazionali, e report giornalistici. Povere e illetterate, neppure in grado di firmare (e tanto meno di leggere) il contratto stipulato con la coppia committente, spesso trascorrono il periodo della gravidanza nelle stesse cliniche in cui partoriranno, in stanze apposite, lontano dai mariti per evitare rapporti sessuali potenzialmente portatori di malattie infettive, e lontano dalle famiglie che non potrebbero garantire loro nutrizione e condizioni igieniche adeguate. In caso di aborto spontaneo potrebbero non essere pagate affatto». In ogni caso alle donne che accettano di portare a termine la gravidanza «arriverà l’1 o il 2 per cento della cifra totale pagata dai committenti».
Se nei Paesi poveri la gravidanza su commissione sta diventando un vero e proprio business, così denuncia il comitato, non mancano esperienze anche in Europa. In Gran Bretagna la pratica della maternità su commissione è regolata fin dal 1985. Qui dal 1995 al 2007 sono stati rilasciati dai 33 ai 50 Parental Order all’anno. Si tratta di particolari atti pubblici che trasferiscono la responsabilità legale del neonato dalla partoriente ai genitori committenti. «Quando nel 2010 l’accesso alla gravidanza “conto terzi” è stato esteso anche alle coppie non sposate sia omo che eterosessuali – si legge ancora – il numero dei Parental Order è aumentato: 83 nel 2010, 149 nel 2011».
Da noi, invece, quello dell’utero in affitto resta un fenomeno illegale. Come in Bulgaria, Francia, Germania, Malta, Portogallo e Spagna. Eppure «per i cittadini italiani è comunque possibile ricondurre in Italia i figli e le figlie avuti attraverso questa pratica all’estero». Difficile fare calcoli. A Parigi «un’associazione che offre questo servizio con donne residenti all’estero ha dichiarato che il numero di bambini nati in questo modo è in crescita: 120 nel 2007, 125 nel 2008, 150 nel 2009, 170 nel 2010». Altri dati parlano di cifre leggermente più alte.
Un aspetto della vicenda evidentemente prioritario per il comitato guidato da Eugenia Roccella riguarda le adozioni da parte delle coppie gay. Il documento presentato alla Camera denuncia come «una spinta alla diffusione del fenomeno sta arrivando dalla moltiplicazione dei diversi tipi di riconoscimento di unioni omosessuali, che consentono l’accesso all’adozione e alla procreazione assistita». Il fenomeno sarebbe particolarmente evidente in Gran Bretagna, dove recentemente il British Surrogacy Center «ha aperto un ufficio dedicato alla coppie omosessuali». Non a caso, si legge, Oltremanica «oggi circa il 21 per cento delle gravidanze su commissione sembra essere relativo alle coppie gay».