L’ormai lunga vicenda Alitalia ha visto chiudersi i tempi supplementari dell’aumento di capitale, con la raccolta di 175 milioni sui 300 previsti. Ne mancano 50 alla soglia di 225, al raggiungimento della quale Poste Italiane si è impegnata a conferire i suoi 75. A quel punto arriverebbero anche 200 milioni di credito aggiuntivo da parte di Intesa Sanpaolo e Unicredit. È molto probabile che il meccanismo non si blocchi, quei 50 milioni mancanti verranno trovati con qualche escamotage, ma le buone notizie finiscono qui e le altre novità sono pessime.
L’attenzione mediatica sulla compagnia di bandiera è molto diminuita, anche perché è imperativo che ci sia un clima di fiducia che non levi ai passeggeri la voglia di comprare biglietti per il ricco periodo delle festività natalizie, che nessuno tema un blocco dei voli Alitalia. Buona parte dei soldi promessi è già entrata nelle casse della società, quindi non ci sono rischi nel breve periodo e, per quanto riguarda il fronte sindacale, come Penelope la compagnia aerea rimanda sine die i dettagli del piano industriale e dunque l’annuncio degli inevitabili tagli all’organico, che pure potrebbero mettere a rischio i voli, anche se gli scioperi sono vietati durante le feste natalizie.
Si legge a rotazione dell’interesse a rilevare Alitalia da parte di cinesi, arabi e russi ed è da registrare il comunicato durissimo di ieri della russa Aeroflot, che ha seccamente e nuovamente smentito ogni intenzione di intervenire. È in atto una propaganda, che aveva sfruttato l’occasione della visita in Italia del Presidente russo Vladimir Putin e nei prossimi giorni probabilmente l’attività di disinformazione riattizzerà le voci di interesse da parte della Etihad di Abu Dhabi.
L’aumento di capitale, dando pure per scontato che vada in porto come previsto, potrà solo finanziare le perdite dei prossimi mesi, dopodiché Alitalia sarà punto e a capo. Se non si riesce a raggiungere l’equilibrio di bilancio, qualcosa che compare sempre nei piani industriali ma non si avvera mai, si è andati in cerca di guai col presuntuoso rifiuto di cedere la compagnia aerea ad Air France alle condizioni offerte dai francesi, cioè a prezzo zero e senza debiti. Significativa è una dichiarazione dei giorni scorsi del potente Aurelio Regina, probabilmente il più influente lobbysta romano, secondo cui l’aumento di capitale ha consentito di evitare la “svendita degli slot” di Alitalia. Questo va di pari passo con gli altri luoghi comuni per cui “Alitalia è strategica” e che “bisogna salvare l’hub di Roma”.
Si tratta di tre fandonie che non diventano verità se ripetute mille volte. A volte si usa, molto impropriamente, la parola “slot” al posto di “diritti di traffico”. I voli all’interno dell’Unione Europea possono essere effettuati da qualunque compagnia comunitaria senza bisogno di autorizzazione alcuna e lo stesso principio vale con i Paesi con cui l’ Europa ha siglato accordi Open Skies, innanzitutto gli Stati Uniti, ma anche il Canada, il Marocco, Israele e negli ultimi giorni l’Ucraina. La tedesca Lufthansa può volare liberamente da Lisbona a Miami o Casablanca, ma solo una compagnia aerea italiana e una giapponese, detentrici dei diritti di traffico, possono volare dall’Italia al Giappone, solo una italiana e una brasiliana dall’Italia al Brasile. I trattati bilaterali più rigidi, come quello con i giapponesi, prevedono la “monodesignazione”, cioè solo Alitalia può volare fra le italiane e solo JAL fra le giapponesi, tuttavia il valore di questa esclusiva è nullo, come dimostra l’abbandono da parte di JAL degli storici voli per Roma e Milano.
Se per “slot” si intendono i diritti di traffico, il loro valore è molto modesto, nel complesso pochi milioni di euro, meno di quanto Alitalia perda in una settimana. Quanto agli slot veri e propri, cioè le finestre temporali in cui si ha diritto di far atterrare e decollare i propri aerei, valgono solo nei rari aeroporti dove sono così scarsi da essere oggetto di compravendite più o meno alla luce del sole. Alitalia ha già venduto la maggior parte di quelli più preziosi, cioè quelli del mattino a Londra Heathrow, mentre quelli di Tokyo Narita valgono molto meno da quando è stato riaperto al traffico intercontinentale il più centrale aeroporto Haneda. Restano Milano Linate, dove Alitalia sfrutta una posizione dominante solo aggirando le regole, mentre l’Enac guarda dall’altra parte e, credevamo, Roma Fiumicino.
Nel 2012 l’Antitrust pose, come condizione per l’assenso all’acquisto della compagnia siciliana WindJet, che Alitalia cedesse slot ai concorrenti, perché potessero effettuare voli fra Catania e Roma, scongiurando un monopolio. Alitalia rinunciò all’affare e WindJet chiuse i battenti dopo pochissimo tempo. Nonostante le tre piste dell’aeroporto romano consentano, calcolatrice alla mano, un numero di decolli e atterraggi ben superiore all’attuale, non erano disponibili a Fiumicino slot nelle ore più interessanti, per effetto dell’opaca gestione affidata ad Assoclearance, che non divulga dati schermandosi con la privacy, come se decolli e atterraggi dei vari vettori non fossero chiaramente visibili sui tabelloni degli aeroporti.
Dunque è stato una sorpresa l’annuncio dell’apertura di una nuova base a Roma Fiumicino della low cost Vueling, seguita da quello di una base Ryanair. Il mercato gioca su un forte ridimensionamento della compagnia tricolore, perché in pratica tutti i nuovi voli saranno in concorrenza con quelli di Alitalia, che davanti alla concorrenza di chi ha costi molto più bassi dei suoi, in un contesto dove i passeggeri cercano soprattutto tariffe economiche, non potrà reggere alla guerra dei prezzi che seguirà all’enorme aumento dell’offerta ad esempio verso Catania. Chi non può permettersi di perdere a lungo dovrà lasciare il campo e il più debole è appunto Alitalia.
Da dove sono usciti i tantissimi slot che saranno usati da Vueling e Ryanair? Meglio non chiederselo, ma dobbiamo osservare che, se Vueling e Ryanair li hanno trovati gratis e in quantità, il valore di quelli di Alitalia è zero. Certo non si rammarica Aeroporti di Roma, lo sbarco di Vueling a Fiumicino è stato sicuramente concordato per compensare i previsti tagli di Alitalia, ma con l’aggiunta imprevista dei nuovi voli Ryanair Alitalia perderà totalmente il controllo della propria base romana e le conseguenze potrebbero essere letali.
Le linee aeree tradizionali vivono di passeggeri in transito e del controllo dei voli punto a punto dalla propria base. Alitalia è debolissima nei transiti intercontinentali e, con l’aumentata concorrenza delle low cost, anche da nuove basi che verranno aperte in Sicilia, perderà gran parte dei transiti verso il resto d’Italia e d’Europa da Sud e Sicilia, prima obbligati per la carenza di voli diretti. Anche il traffico punto a punto da Roma sceglierà in buona parte le low cost, che fisseranno prezzi abbastanza alti da poter sopravvivere, ma troppo bassi perché Alitalia possa non perdere una fortuna. Riassumendo, la compagnia di bandiera ha perso uno dei pochi punti forti residui del suo business e davvero non si vede chi e perché potrebbe voler comprare una linea aerea che è molto difficile immaginare non in perdita nel futuro, perché non è competitiva nei voli a corto raggio in confronto alle low cost e non lo è in quelli a lungo raggio per le dimensioni esigue e la base a Roma, dove scarseggia il traffico ricco.
Alitalia è in vendita da tempo e nessuno, proprio nessuno si fa avanti, mentre i venditori cianciano di “valore degli slot”, “strategico”, “hub”. Fiumicino si avvia nei fatti ad un futuro meno da hub e più da aeroporto point–to–point. Resta il problema politico di annunciare un alto numero di esuberi, cui si ovvia inducendo Poste e banche a sacrificare altre centinaia di milioni sull’altare della disperata ricerca di uno zio d’America. Si corre il rischio di perdere anche l’unico compratore esistente, cioè quell’Air France che potrebbe compensare le perdite future con lo sfruttamento del lucroso traffico intercontinentale italiano attraverso due hub veri, quelli che controlla a Parigi e Amsterdam. A quel punto ad Alitalia non resterebbe che la chiusura.
Nessun osservatore internazionale si aspetta un esito positivo della vicenda, le compagnie aeree investono scommettendo sul suo fallimento, gli stessi Aeroporti di Roma attirano nuovi vettori per prenderne il posto, mentre il governo Letta e gli altri protagonisti finanziari si comportano da giocatori d’azzardo. È ora invece di lasciare il tavolo verde o almeno di iniziare a ristrutturare radicalmente la compagnia aerea, senza credere a baggianate come le presunte sinergie con le Poste.