UsaBarack Obama e la falsa promessa del salario minimo

Protestano i lavoratori dei fast food

«Un aumento del salario minimo è il tonico di cui l’America ha bisogno», ha scritto Edward Luce sul Financial Times qualche giorno prima che Barack Obama rilanciasse, con l’ennesimo discorso, la sua intermittente campagna contro le diseguaglianze economiche. Naturalmente il salario minimo è stato evocato come un ritornello fra i paragrafi della visione economica del Presidente, il quale ha voluto dire un paio di cose di sinistra anche per occupare quello spazio politico in cui recentemente si sono infilati gli epigoni del progressismo più intransigente, da Bill de Blasio alla senatrice anti-Wall Street Elizabeth Warren. Le proteste in un centinaio di città americane dei dipendenti dei fast food che chiedono un trattamento economico migliore sono l’occasione in più per riaprire il fronte lasciato sguarnito per mesi.

Nel discorso sullo stato dell’Unione, all’inizio dell’anno, il Presidente aveva promesso di portare il salario minimo da 7,25 dollari a 9 dollari l’ora. Incurante della popolarità in calo e dei sondaggi impietosi anche sui suoi gruppi demografici di riferimento, Obama ha rilanciato appoggiando la proposta di alcuni democratici al Congresso: 10,10 dollari l’ora. Il voto con cui il New Jersey – stato democratico ma governato da un repubblicano – ha largamente approvato un innalzamento statale (9,25 dollari l’ora) ha messo altra benzina nel motore, così il Presidente si è trovato a ripetere, con il Financial Times e non solo, che un’iniezione salariale è quel che serve per curare l’economia malata di sperequazione. Ma davvero è la cura giusta?

Secondo l’economista David Neumark, esperto di politiche salariali, la regola funziona all’incirca così: per ogni incremento del 10 per cento nello stipendio minimo il tasso di occupazione dei teenager cala dall’1 al 3 per cento. Sono le fasce sociali più deboli e i lavoratori meno qualificati, dice Neumark, a subire le conseguenze immediate di una manovra del genere. I professori della Texas A&M Jonathan Meer e Jeremy West scrivono che un ritocco in alto degli stipendi non produce effetti negativi sull’occupazione nell’immediato, ma deprime le prospettive di assunzione e scoraggia l’impiego, specialmente quello a lungo termine. I datori di lavoro sono incentivati così a orientarsi verso contratti part time e forme episodiche di collaborazione, riducendo gli investimenti sul capitale umano.

Obama conosce benissimo il rischio economico intrinseco di una battaglia sul salario e quello congiunturale che deriva dalla crescita ancora troppo debole; e se il Presidente non ne è al corrente certamente lo sa il professore che per due anni ha guidato il suo consiglio economico, Alan Krueger, il quale ha scritto uno studio proprio sull’influenza del salario minimo sull’impiego nel settore dei fast food. Krueger sosteneva che la misura non è depressiva per il mercato del lavoro, salvo poi essere smentito da un controstudio sugli stessi dati e poi costretto alle scuse.

La disuguaglianza è un fenomeno reale, certo, così com’è reale la sproporzione fra i salari e il costo della vita; ma diversi economisti, dal conservatore Michael Strain al liberal Ed Glaeser, propongono di scaricare la questione dall’eccessivo peso politico e sindacale e di agire sul potere d’acquisto concedendo crediti d’imposta. Si tratta, in buona sostanza, di aggiungere un sussidio pubblico allo stipendio dei lavoratori, ma a differenza del controllo diretto dei salari questa misura non ha effetti negativi sulla forza lavoro e non disincentiva gli imprenditori.

Il governo potrebbe controllare in modo perfettamente trasparente e centralizzato l’erogazione dei crediti invece di affidarsi a riforme in cui finiscono sempre scambi e pasticci più o meno occulti. Il problema, dal punto di vista di Obama, è che senza la formula magica “salario minimo” la battaglia perderebbe immediatamente tutto il suo potere simbolico e la forza d’immagine. Un credito d’imposta non si può vendere al pubblico con quel severo tono da battaglia per i diritti civili che Obama tatticamente ostenta ogni qualvolta ha bisogno di dare una scossa; dunque il Presidente si affida al canone retorico che gli si confà, gioca con i termini che il suo elettorato può assimilare facilmente. E poco importa se il salario minimo rimane minimo.

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