Nel 2010 Richard Stengel prese una decisione importante e molto discussa. Per la copertina più attesa dell’anno, quella del Time, preferì il «connector» Mark Zuckerberg all’anti-autoritario Julian Assange; il quale con Wikileaks aveva sfidato il segreto di Stato, nella convinzione che l’informazione e la trasparenza totale fossero le condizioni per una rivoluzione democratica. Assange vinse la nostra simpatia ma perse la sua battaglia: non cambiò le regole dei grandi attori—banche, Stati e grandi aziende hanno continuato indisturbate ad agire come se nulla fosse accaduto. Assange ha divulgato migliaia di documenti senza provocare nessuno scandalo o rivoluzione.
Quest’anno tra i candidati a persona dell’anno — insieme a Papa Francesco, all’attivista per i diritti gay Edith Windsor, al dittatore siriano Bashar al-Assad e la reginetta del twerk Miley Cyrus, per nominarne alcuni — figura anche Edward Snowden, il responsabile del datagate, ovvero della presa di coscienza pubblica di un dispositivo di sorveglianza di massa. Come per Assange anche Snowden gode della simpatia di tutti noi. (Tra i giornalisti, e soprattutto tra i politici repubblicani, molto meno). Sicuramente gode di quella dei lettori del Guardian, un po’ di parte, che lo hanno votato come uomo dell’anno (ogni giornale ha le proprie liste). Condivide con Assange anche l’effetto dello svelamento: sapevamo tutti di essere tracciati — è la natura dei meta-dati, piccolissimi eppure pieni di informazioni su chi siamo — tuttavia averne la certezza è molto diverso.
Sì, saperlo è diverso. Ne è una dimostrazione lo scambio di battute tra il Repubblicano Mike Roger e il professore di diritto Stephen Vladeck dello scorso ottobre. Quando Vladeck incalza Roger sulle modalità illegittime di sorveglianza del caso NSA, questi risponde così: «You can’t have your privacy violated if you don’t know about it». Intendeva dire che il problema non è che il governo spia — lo si accetta come parte della sicurezza — ma che le informazioni siano state diffuse da una talpa, infatti: «Nessuno ha mai considerato la propria privacy violata in dieci anni». Come dire che da domani potete filmare Mike Roger in qualsiasi momento della sua vita, potete spiarlo, potete collezionare dati su di lui: a patto di non farglielo sapere.
Se a una lezione di Yoga darebbero ragione a Roger, il diritto non gliela dà, e il quarto emendamento è lì a dimostrarlo. C’è poi un trascurabile dettaglio: noi ora lo sappiamo di essere sorvegliati. E non si può più fare finta di nulla. O no?
Appena tre anni fa Zuckerberg e Assange erano due facce della stessa medaglia. Come scrisse Stengel: «entrambi esprimono un desiderio di trasparenza. Ma mentre Wikileaks attacca le grandi istituzioni attraverso una trasparenza involontaria con l’obiettivo di depotenziarle, Facebook dà la possibilità agli individui di condividere volontariamente informazioni. Con l’idea di dare loro più potere». La persona dell’anno è infatti legata all’idea di potere, anche in senso negativo. (E quindi, coerentemente, quest’anno dovrebbe essere quello della NSA). In realtà si stava premiando il creatore del più grande dispositivo di controllo mai creato: Facebook. E con il nostro consenso ai termini di servizio — che abbiamo candidamente ignorato.
In realtà, tutte quelle informazioni che abbiamo coscientemente (o meno) condiviso non ci hanno rafforzato, non ci hanno reso più potenti. Nonostante anche questa volta non ci sia una reazione forte da parte dell’opinione pubblica, ad alzare la voce ci sono proprio 8 tech giant della Valley (Aol, Facebook, LinkedIn, Google, Microsoft, Twitter, Yahoo, Apple). I quali hanno deciso di unirsi nel progetto reformgovernmentsurveillance.com per chiedere una regolamentazione governativa che tuteli le informazioni sugli utenti. (E non faccia fare la parte dei dispositivi di sorveglianza, quali sono, Facebook e Twitter e compagni). In una lettera aperta chiedono di non dover essere costretti a consegnare dati in massa sugli utenti al governo; un maggiore controllo indipendente dei sorveglianti; una maggiore trasparenza alle richieste governative (come fa Google), e di evitare un conflitto tra governi e giurisdizioni differenti. Chiedono cose ragionevoli.
È curioso che siano proprio questi soggetti a sollecitare il governo per una regolamentazione sui dati, dal momento che il fatto stesso che la NSA sia riuscita a ottenerli (anche senza consenso) è dovuto al fatto che erano stoccati. Se vivessimo in un sistema che dimentica per default e ricorda solo se specificato non si sarebbe posto il problema. Ogni nostro click sarebbe finito nell’oblio. Ma il valore di quelle aziende è basato anche sul valore di quei dati, quindi è anche colpa loro.
È curioso che siano proprio lo Zuckerberg del public by default o il Google sotto processo per violazione della privacy di paesi europei a chiedere maggiore trasparenza. Più che curioso: sospetto.
La verità è che forse Edward Snowden non apparirà sulla copertina del Time per un solo motivo, di lui non ci sono abbastanza foto. (L’uomo che ha condiviso più informazioni di tutti su milioni di persone è quello di cui non abbiamo neppure una gallery decente). E qui facciamo una previsione: gli preferiranno la più virale e onnipresente Miley Cyrus.
«L’informazione è potere. Ci ha protetti dai comunisti nel 1919 e da allora la nostra FBI ha continuato sapientemente a raccoglierla, organizzarla e custodirla», diceJ. Edgar Hoover nell’omonimo film di Eastwood. E quindi, per noi, il più potente non è il twerk della Cyrus né il leak di Snowden ma la temibile e pervasiva NSA.