È il 1913, Arthur Wynne ha 41 anni e la faccia da perfetto americano: mento squadrato, sguardo sveglio, capelli bianchi sulle tempie ma ancora castani sulla fronte. Ma non è americano: è inglese, emigrato 22 anni prima dalla fredda e rumorosa Liverpool della seconda rivoluzione industriale. Arthur Wynne lavora al New York World, uno dei giornali più letti di quegli anni, come responsabile delle pagine fun, quelle con gli enigmi e i puzzle. E ha un problema: il suo direttore gli ha chiesto di inventarsi qualcosa di nuovo, un gioco nuovo.
Arthur è seduto davanti a un foglio bianco con la scritta fun nel mezzo, ci pensa e ripensa da giorni. Disegna tre quadretti attorno alle lettere F, U e N. E gli torna in testa un gioco che gli ha insegnato suo nonno, quando ancora stava in Inghilterra. Si chiama word square (quadrato di parole) ed è un gioco in cui bisogna creare un quadrato di lettere che formino delle parole leggibili sia in orizzontale sia in verticale (è più facile da vedere che da spiegare). Cerca di ricostruirlo, ne studia i meccanismi e si chiede se non ci sia un’altro modo di sfruttare quell’incrocio di parole e lettere. Parte dal fun già scritto sul foglio e, piano piano, gli costruisce intorno una griglia di caselle a rombo, vuote. Nel gioco di Arthur le parole da inserire non sono scelte dal giocatore ma devono essere scoperte, a partire da un indizio. Sopra al nuovo puzzle, Arthur, scrive word-cross (croce di parole).
Il 21 dicembre 1913 il gioco viene pubblicato sull’edizione domenicale del New York World. Sono nate le parole crociate.
Croce di parole o parole crociate?
Il termine inglese per parole crociate è crossword e non word-cross come aveva scritto Arthur sopra al suo gioco. Alla parola che oggi definisce il gioco enigmistico siamo arrivati per errore: dopo alcune settimane di pubblicazione del puzzle di Arthur qualcosa è andato storto durante l’impaginazione di New York World e word e cross vengono invertite di posizione, creando: crossword (parole crociate). Quando il New York World si accorge dell’errore, cerca di sistemare e di tornare al titolo originale scelto da Arthur. Ma i lettori si erano già così affezionati alla parola da costringere il giornale a tornare sui suoi passi. Il nome, come il gioco, aveva già fatto breccia nel cuore (e nel tempo libero) di parecchi americani.
L’Angry Birds degli anni Venti
Per alcuni anni l’unico posto in cui si potevano trovare le parole crociate erano le pagine Fun gestite da Arthur Wynne sul New York World. Non per mancanza di apprezzamenti del pubblico, ma perché erano difficili da scrivere e da controllare. Capitava spesso di trovare indizi sbagliati, parole che non entravano griglia, refusi. Le parole crociate erano difficili, da scrivere ancor prima che da risolvere.
Ma nella metà degli anni Venti, le cose già erano cambiate. Il successo di alcuni libri che raccoglievano centinaia di pagine di parole crociate convinse molti giornali a investire nella loro creazione e a pubblicarle. E, come spesso succede quando nasce un fenomeno pop, cominciarono ad arrivare anche le accuse. Le parole crociate erano l’Angry Birds dell’epoca: da una parte i critici odiavano la loro “inutilità”, dall’altra il pubblico non ne aveva mai abbastanza. Il corrispondente da New York del quotidiano inglese Times, nel 1924 scriveva: «trasformatesi da passatempo per ingegnosi fannulloni a istituzione nazionale [le parole crociate] sono una minaccia, perché si infiltrano negli orari lavorativi di ogni rango della società». E il New York Times: «[le parole crociate sono] una perdita di tempo che consiste nella futile ricerca di parole da inserire in una griglia più o meno complessa. Non è un gioco e non può nemmeno essere chiamato sport… [chi ci gioca] non ricava niente se non una primitiva forma di esercizio mentale […]». E infine, il New Republic, che scriveva: «fortunatamente la domanda se [le parole crociate] siano utili o dannose non ha bisogno di risposta immediata. La passione sta scemando velocemente e in qualche mese sarà dimenticata». E invece, come solo noi posteri sappiamo, sono state le critiche a scemare e le parole crociate a rimanere. Sui quotidiani e nell’immaginario collettivo.
Certo, ci è voluto la seconda guerra mondiale a far cedere al gioco il New York Times, che ha iniziato a pubblicarle solo nel 1941. Il merito è di Lester Marker, editor dell’edizione domenicale, che convinse i suoi capi del bene che potevano fare le parole crociate in periodo di guerra: «specialmente in vista delle possibili ore di blackout e, se non questo, per il bisogno [delle persone] di trovare qualche modo per rilassarsi». Oggi il New York Times ospita una delle pagine di parole crociate più amate e popolari del mondo.
La diffusione nel mondo
Nel corso degli anni Arthur Wynne perfezionò la sua invenzione, dalla forma a rombo, le sue parole crociate diventarono orizzontali e verticali. E anche l’aggiunta dei quadrati neri per separare le parole e dare uno schema alle parole crociate è attribuita a lui. Ma ogni cultura che ha conosciuto le parole crociate ha trovato la propria via. Dalla forma dello schema, all’uso (o meno) dei quadrati neri, dalla simmetria della struttura alla posizione degli indizi, gli enigmisti hanno adattato le parole crociate alle necessità e ai limiti della propria lingua.
In Italia abbiamo visto per la prima volta le parole crociate l’8 febbraio 1924, presentate sulle pagine della Domenica del Corriere sotto il titolo de “L’indovinello delle parole crociate”. Meno di 10 anni dopo, Giorgio Sisini fondava la Settimana Enigmistica, il settimanale che negli anni Sessanta divenne un fenomeno e popolarizzò ancora di più il gioco enigmistico (sul sito c’è persino un manuale d’istruzioni per giocare alle parole crociate). Stefano Bartezzaghi, nel suo libro Anche meno, dice che secondo una ricerca del 2004 le parole crociate occupano da sole il 70% dell’enigmistica italiana.