Con l’Asia sempre più assetata di energia, il baricentro della domanda globale di idrocarburi si sta spostando verso l’Oriente. Secondo un report dell’Asian Development Bank le economie asiatiche cresceranno con un tasso medio del 6 per cento all’anno, così da rappresentare il 44 per cento del Pil globale nel 2035 – è uno scenario che comporterebbe un forte aumento della quota regionale del consumo di energia, con un incremento stimato circa del 30 per cento nel 2010, per arrivare al 51-56 per cento nel 2035. L’ingresso nel secolo asiatico dell’energia è confermato anche dai numeri del “World Energy Outlook”dell’Agenzia Internazionale dell’Energia. Nel rapporto si sostiene che entro il 2020 l’India supererà la Cina come principale fonte dello sviluppo della domanda petrolifera globale. Dal 1990 il Sud-Est asiatico ha aumentato di due volte e mezzo la domanda di energia.
La rivista finanziaria Arabian Business mette in evidenza come i Paesi esportatori di petrolio del Medio Oriente stiano ingaggiando una battaglia sempre più agguerrita per i mercati asiatici, in rapida crescita rispetto a Europa e Stati Uniti. La lotta per il mercato petrolifero asiatico da anni vede il predominio degli esportatori mediorientali, ma l’espansione delle fonti non convenzionali come il gas e il petrolio di scisto hanno cambiato le carte in tavola riducendo la domanda di forniture energetiche. La crisi economica che ha fatto contrarre la domanda dell’Europa e i prezzi bassi dello shale oil e dello shale gas costringono gli esportatori del Golfo a vendere sul mercato nordamericano a prezzi inferiori di 20 dollari al barile rispetto a quelli praticati in Asia. «Questa dinamica dei mercati», assieme all’incremento della produzione in Iraq e al reinserimento dell’Iran sul mercato globale, «sta portando i membri dell’Opec a gareggiare tra loro», ha spiegato alla Reuters Victor Shum, analista di IHS. Così i produttori mediorientali si sono visti costretti a puntare forte sui mercati asiatici. Nel 2014 l’Iraq diventerà il quinto fornitore energetico della Cina, superando l’Iran, grazie ad una politica dei prezzi molto aggressiva. Teheran venderà il proprio greggio a condizioni migliori rispetto a quello dell’Arabia Saudita, primo fornitore dei cinesi. Ma gli iracheni non sono gli unici a praticare condizioni più vantaggiose. Iran, Emirati Arabi e Kuwait offrono contributi sulle assicurazioni delle petroliere e rimborsi per i temi di attesa nei porti.
Le sfide energetiche asiatiche (Fonte, Asian Developement Bank)
La conquista dei mercati dell’Est non è priva di rischi. «L’Asia è un prisma multicolore con impressionanti diversità storiche, culturali e politiche che gli investitori sarebbe bene prendessero in considerazione», chiarisce a Linkiesta Emanuele Schibotto, Director for Development per l’Asian Century Institute, Direttore Editoriale del Centro Studi Equilibri.net. «Proprio in ragione di ciò, i fattori di rischio sono molteplici. Citiamo l’instabilità politica in Pakistan, la pesante carenza infrastrutturale in Myanmar, un clima di nazionalismo diffuso in Indonesia, l’ingente dipendenza dalla domanda esterna in Vietnam. Inoltre, non dimentichiamo i rischi– comuni ai Paesi in via di sviluppo– legati a fenomeni di corruzione, tangenti, mancato rispetto del contratto e talvolta opposizione della popolazione locale a progetti infrastrutturali energetici ».
Ma non sono soltanto i produttori del Medio Oriente a voler cavalcare la crescita asiatica. Paolo Scaroni, ad esempio, ha illustrato con grande enfasi la «strategia asiatica» dell’Eni. «L’Africa è stata il centro della nostra attività da sempre. Oggi cominciamo a guardare una nuova frontiera, cominciamo a guardare l’Asia e in particolare il Sud est asiatico».L’Eni è il primo produttore in Pakistan. Un paese con molte incognite ma con grandissime potenzialità. Basti pensare a Karachi, megalopoli da 18 milioni di abitanti costretta quasi quotidianamente a subire lunghi black out elettrici. Nel “paese dei puri” il Cane a sei zampe ha scoperto ricchi giacimenti di gas ed è pronta a cominciare le esplorazioni nel Golfo del Bengala. Più a Est, Eni è presente dal 2001 anche in Indonesia dove ha fatto grandi scoperte in due blocchi esplorativi che secondo Scaroni assicureranno una «presenza molto forte nei prossimi anni». La multinazionale italiana punta forte anche sulla Cina dove ha raggiunto un accordo per lo sviluppo di un importante giacimento di shale gas nella regione del Sichuan. In Vietnam, Eni sta lavorando a tre blocchi offshore dove sono già state fatte significative scoperte di giacimenti di gas.
C’è poi il Myanmar, che dopo gli anni di isolamento e delle sanzioni economiche di Europa e Stati Uniti ha bisogno di aprire all’Occidente per inserirsi a pieno titolo nelle relazioni internazionali ed attirare investimenti. Anche qui l’Eni si è mosso in anticipo. Ha vinto tre blocchi offshore e già progetta di poter stabilire una grande base. L’ex Birmania attrae anche altri big dell’energia. Il Financial Times riporta che a novembre l’americana Exxon Mobil, l’olandese Shell, e la norvegese Statoil hanno partecipato a un asta per fissare i prezzi del gas. Inoltre, in Myanmar operano già la francese Total e l’americana Chevron. Il Myanmar è un paese ricco di opportunità per le multinazionali dell’energia ma il tasso di incertezza è piuttosto elevato. Il governo sta ancora costruendo le normative necessarie ad accelerare sulla modernizzazione delle discipline economiche. Nel settore dell’energia sarà possibile operare solo con joint venture con il governo.