(Matteo Renzi su Vanity Fair, Instagram Matteo Renzi)
Mesi fa, di ritorno da Roma durante i giorni dell’elezione del Presidente della Repubblica, quelli in cui il giovane coguaro Giorgio Napolitano si era nascosto nella boscaglia, mi sono fermato a Firenze a salutare un amico. A un certo punto questo se ne è uscito con un «devo moderare la presentazione di un libro, vieni anche tu così ti presento una persona».Mezz’ora dopo ero in ascensore a Palazzo Vecchio con Matteo Renzi e non avevo ancora finito di pensare “Cosa farebbe Herbert Marcuse al posto mio?” che quello mi aveva stretto la mano e si era presentato come «Matteo». Prima che potessi rispondere «Come il prete della televisione?» la porta si era aperta e l’avevamo seguito in bagno in una specie di walk and talk alla West Wing con l’aggiunta di un incongruente blogger con le sembianze di uno degli attentatori dell’Undici settembre. Io.
L’avevo osservato lavarsi le mani senza cantare «tanti auguri caro Boris» e la mia breve conoscenza del futuro segretario del Pd si era rapidamente conclusa quando gli era suonato il cellulare e aveva detto «Oh scusate questo è Monti, devo prenderla» per poi sparire in una stanzetta urlando «Oi Mario!».
In realtà a quel punto lo stavo studiando già da un po’. Avevo scritto un pezzo sul suo intervento ad Amici, e sapevo che prima o poi avrei scritto ancora su di lui. Nel bene e nel male Renzi è una delle cose più interessanti capitate alla politica italiana negli ultimi anni, ha i numeri per vincere le elezioni e al tempo stesso spaventa i tesserati del suo partito ben più degli avversari. E tutto questo a 38 anni in uno dei luoghi più gerontocratici del mondo dopo la sceneggiatura di Cocoon. Sentivo il bisogno di approfondire.
Nei mesi successivi sono tornato qualche volta a Firenze e ho conosciuto alcuni politici ed esponenti della società civile che a vario titolo e a distanze variabili dall’epicentro provano o fanno effettivamente parte della variegata galassia in espansione dei Renziani. In una di quelle occasioni ho anche assistito a una specie di terapia di gruppo di esponenti del Pd. Quando due giorni dopo ho smesso di ridere, ho deciso che ne volevo ancora, stava succedendo qualcosa di grosso e dovevo studiarlo.
Non ho più incontrato Renzi a quattr’occhi ma mi sono recato in incognito alla Leopolda, mimetico come un mucca viola della Milka in mezzo a quello che una mia collega italiana che lavora per un giornale americano ha definito un luogo pieno di «successful people». A un certo punto ho anche incrociato Baricco, ma si è girato prima che potessi consigliargli di usare dei font più grandi, aumentare un po’ l’interlinea e alzare un po’ il prezzo di copertina.
Non pago, quando giovedì scorso ho saputo che Renzi sarebbe venuto a Bologna, ho preso la macchina, ho sfidato le gang di pinguini fuori dall’Unipol arena, evitato i parcheggi dei comitati renziani a 5 euro, lasciato la mia mail ai volontari ([email protected]) e sono entrato ad ascoltare. Più o meno a metà del suo intervento ho capito che se avessi fatto ulteriori ricerche prima di mettermi a scrivere sarei diventato professionale quanto un giornalista anglosassone, un rischio che in questo Paese non vuole correre nessuno.
(Matteo Renzi a Bologna)
Ecco quindi alcune cose che credo di aver capito.
Chi paragona Renzi a Berlusconi ha compreso molto poco del fenomeno. Semplicemente. Renzi può non piacere, io ad esempio ho diverse riserve nei suoi confronti, ma con Berlusconi non c’entra nulla. Per tutta una serie di motivi.Il primo fondamentale è che Renzi non ha un enorme apparato economico e mediatico a sua disposizione e non ha conosciuto (almeno per il momento) il fenomeno dell’asservimento prima volontario e poi coatto della grande maggioranza dei giornalisti italiani. Forse è solo una questione di tempo ma ad oggi nemmeno l’house organ del Pd la Repubblica lo supporta apertamente. Si è definito Berlusconi un grande comunicatore, io l’ho sempre ritenuto solamente discreto ma avvantaggiato da un controllo quasi totale dei mezzi d’informazione e dall’incapacità patologica dei suoi avversari, Prodi escluso. Il grande mito di Berlusconi comunicatore è servito a giustificare alternativamente o la servilità di chi gli si è genuflesso davanti prima ancora che gli venisse chiesto di farlo o l’irrilevanza politica di chi non ha saputo fermarlo.
Renzi è un comunicatore decisamente migliore di quanto Berlusconi con il suo eterno ritorno de «Comunisti feat Magistrati VS Regno della libertà» non sia mai stato.
Non si ciba solo di ritornelli ripetuti all’infinito, varia e ha una capacità di sentire il clima politico e improvvisare che gli altri esponenti del centrosinistra non sanno neppure dove sta di casa. È un talento e questo fa rodere il culo indispettisce parecchie persone. Ha pure una discreta faccia da sberle e questo dà ancora più noia a chi sente minacciato il proprio regno e ha i baffi.
Durante le mie ricerche ho scoperto che ha anche una notevole, e raramente evidenziata dai media, capacità di cooptare tutte le idee che sente in giro e che ritiene possano funzionare rispetto al suo progetto politico. In questo è rapace ed efficentista ma decisamente non autoreferenziale, un’altra cosa che lo rende atipico nel panorama della sinistra italiana.
Più studi Renzi più ti accorgi che è tutt’altro che un manichino vuoto, è un uomo ambizioso, machiavellico e determinato a prendersi quello a cui sente di avere diritto, in questo caso la leadership del Paese.
Altra differenza con Berlusconi è che dal vivo Renzi è molto più efficace che in televisione o nelle citazioni all’interno delle sterminate praterie di carta che i quotidiani italiani dedicano ai retroscena politici. Berlusconi era un format pensato appositamente per la tv, Renzi è un misto fra un boy scout e un tizio che tiene banco al bar del Paese, parlando di calcio, figa e buone intenzioni. È nato in piazza e si vede. Per questo in tv paga spesso l’eccessivo autocompiacimento, come è successo durante l’ultimo confronto su Sky, dove è apparso troppo narcisista e al tempo stesso incapace di graffiare permettendo a Civati di vincere il dibattito.
D’altro canto una buona narrazione è fatta anche di debolezze, Renzi lo sa e non le nasconde. Molti commentatori lo crocifiggono per questo ma il paese reale entra in empatia con lui, che nonostante tutto non solo ci prova ma ha anche buone possibilità di riuscirci.
A nemmeno quarant’anni Renzi si appresta a diventare il segretario del Pd, per impedirglielo le hanno provate tutte a parte mettergli una trans minorenne in macchina (mhh, spero di non aver dato un’idea a qualcuno) ma lui ha resistito e ora è prossimo al traguardo.
«Essere uno come gli altri, ma migliore» è la base di ogni efficace comunicazione politica contemporanea, e Renzi in questo è molto abile, specie da quando ha scaricato quello che oggi definisce con una buona dose di ferocia il «Guru-Gori». In effetti quella fase Publitalia è archiviata, eppure buona parte dei militanti di sinistra non sembra intenzionata a perdonargliela.
E questo introduce a quello che poi è il grande nucleo teorico del dibattito attuale attorno al sindaco di Firenze:Renzi è o non è di sinistra?
Ora questa domanda sarebbe legittima se si riferisse alle politiche che Renzi intende attuare, ma l’impressione al contrario è che il dibattito ruoti la maggior parte delle volte attorno a una questione che nell’impostazione è in modo reattivo figlia dell’egemonia culturale berlusconiana, ovvero
«Può uno che quando fa i comizi fa ridere e si fa capire dalle persone, essere di sinistra?»
Il fastidio epidermico che provano molti militanti nei confronti di Renzi deriva dal concetto di «sacralità della sinistra» molto più che dalle idee economiche di Renzi. Il militante di sinistra passa metà del tempo a dire che «ama il popolo» anche se «il popolo è stupido e non capisce» e l’altra metà a chiedersi come mai nonostante ce la metta tutta, stia sul cazzo al popolo. Io ad esempio che ritengo il mondo un coarcervo folle di entropia con al massimo 20 anni davanti prima di diventare una siliciocrazia non mi pongo tutti questi problemi, quindi non sono un militante.
Renzi è uno che dice che le persone non vanno cambiate, semmai rappresentate e organizzate verso il cambiamento. E questo nei salotti de sinistra è un’eresia intollerabile. Personalmente trovo questo accanimento patologico e rivelatore di quello che è diventata la sinistra italiana: poco più di un rito vuoto officiato però con una serietà talebana.
Il Pci è sempre stato una chiesa laica, ma mentre con il passare del tempo si svuotava di valori, le volte portanti dei suoi riti e delle sue parole chiave sono rimaste in piedi diventando sempre più spettrali e ipocrite.
Mi sono sempre chiesto quanto potesse sopportare il militante piddino senza incazzarsi, e la storia recente con le larghe intese ci ha insegnato che la risposta è «quasi tutto». A patto però di rimanere entro i limiti di un discorso che veniva mano a mano destituito di senso, conservandone però attentamente le forme.
La parola sinistra è una di queste, in Italia ha smesso per molti di avere a che fare con la lotta per condizioni di vita migliori per diventare piuttosto una lista di precetti da osservare per essere sufficientemente ortodossi.
(esplicitazioni giovanilistiche dell’ortodossia presa da facebook)
Quelle forme ad esempio che hanno permesso a molti di affermare senza tema di ridicolo che Bersani fosse più di sinistra di Renzi, e adesso ripetere l’equazione con Cuperlo.
Io al contrario credo che tutti e tre siano esponenti del centrosinistra più moderato d’Europa, e in quanto a posizioni politiche siano sostanzialmente equivalenti: quello che fa la differenza è che Renzi non appartiene alla stessa oligarchia che ha controllato il partito con tutti e due gli occhi puntati sulla gestione del potere interno e la schiena saldamente rivolta all’Italia.
Se le forze che sostengono Cuperlo avessero davvero a cuore la questione della «sinistra», fossero cioè mosse da una questione ideologica e non da un problema di egemonia interna, avrebbero sostenuto Civati. Punto.
(noto esperto di cinema)
Chi si chiede se Renzi ucciderà la sinistra dovrebbe forse cercare di ricordare se era nella giungla con il subcomandante Marcos quando gente come D’Alema, Veltroni, Fassino o Bersani manteneva saldamente il controllo del partito, facendone sostanzialmente una cosa a metà fra un comitato d’affari e un organo di protezione dei garantiti, disinteressandosi totalmente di enormi fasce di popolazione e in ultima analisi del futuro. A funzionare da gigantesco alibi c’era lo spettro del Berlusconismo o il male assoluto con il quale giustificare qualsiasi mancanza.
Al contrario del militante, però, l’elettorato è meno sensibile alle eucarestie e più alla vita reale, ha votato il Pd sempre più a malincuore oppure lo ha abbandonato. Basti pensare a quanto rappresenti universalmente un ossimoro l’espressione «il gioioso elettore del Pd».
(Immagine da What is left)
Nel recentissimo ed emblematico documentario What is left di Gustav Hofer e Luca Ragazzi, la voce narrante, una donna empatica come un eritema, s’innervosisce fra le altre cose perché le sezioni del Pd oggi si chiamano «circoli». Per quanto le parole siano fondamentali, oltre un certo limite di ossessione semantica si passa dalla produzione di senso alla pura ritualità, al settarismo.È davvero questo il tema che appassionerà gli italiani e li proietterà verso un futuro migliore?
Questa è quella che si dice una domanda retorica.
Sempre nello stesso documentario una parlamentare di Sel spiega che secondo lei lo scopo primario della sinistra è stare «dalla parte degli ultimi» quindi carcerati, immigrati ecc. Ora, se sicuramente questi temi devono fare parte del programma di un partito di sinistra, vorrei sapere: esattamente in quale punto della storia ci si è dimenticati della maggioranza?
Io ho sempre pensato che più che alla lotta di classe e alla fede nel proletariato come portatore della ragione universale, un’idea definitivamente uccisa dalle persone che cliccano mi piace sugli status di Andrea Scanzi, la sinistra dovesse puntare a tutelare la variabilità di interessi della maggior parte della popolazione. Molto semplicemente. Non per una questione morale, ma per una pura questione di rappresentanza. Un partito deve avere una visione d’ampio respiro, nazionale e internazionale, un progetto e un’idea della società che comprenda la tutela delle minoranze più deboli, ma non si esaurisca lì.
Oggi la sinistra italiana è divisa fra queste posizioni che tendono sostanzialmente a mantenere un piccolo patrimonio elettorale in continua erosione e una parte maggioritaria che spesso è più realista del re, totalmente piegata all’egemonia culturale neo-liberista e alla società dello spettacolo (vedi aborti de sinistra come Masterpiece) e che, forse proprio perché conscia della sua ipocrisia di fondo, non può tollerare un leader giovane, ambizioso in grado di parlare alle masse senza paura di esplicitare la natura intimamente riformista e moderata del Pd.
È come se la forma del vecchio burocrate di apparato fosse l’unica barriera frapposta alla presa di coscienza del centro sinistra italiano e dei suoi sostenitori di essere diventato da oltre vent’anni un partito moderato di area liberale.
Renzi è il politico che chiude il cerchio, ed elimina questa contraddizione. Facendolo rientra in sintonia con una maggioranza della popolazione che non seguirà il dibattito politico come prima occupazione, ma ha sviluppato una discreta ipersensibilità nei confronti dell’ipocrisia negli ultimi tempi.
Ho ascoltato Renzi a lungo, studiato i suoi documenti ufficiali, e a parte una confezione molto più efficace e una discreta e ammirabile dose di foga anti-sistemica, non ci ho trovato stravolgimenti radicali rispetto alle linee del Pd degli ultimi anni. Una differenza sostanziale pero è che lui può vincere le elezioni e forse ha anche una dose di cinismo politico, credibilità e una visione sufficiente a fare quello che dice di voler fare una volta al potere.
(Renzi alla leopolda via @fattoquotidiano)
Il suo problema rispetto al suo schieramento, che diventa vantaggio strategico rispetto all’elettorato nel suo insieme, è che Renzi è meno ipocrita rispetto alla funzione del partito e della politica.
Il Pd nelle regioni rosse ha sempre fatto da filtro fra imprenditori e lavoratori, schierandosi a parole sempre dalla parte di questi ultimi ma in pratica sempre nel mezzo quando non dall’altra parte. Così, invece che dire una cosa e farne un’altra, Renzi dice esplicitamente di volersi mettere nel mezzo fra le parti sociali, fare la politica che regola cercando una mediazione fra le parti sociali. Supera la doppia morale del PD e in questo senso è pornografico, perché attacca dei tabù che durano da tempo immemore, erode il vero articolo uno della costituzione italiana che è il trasversalissimo si fa ma non si dice.
Chi lo accusa di voler uccidere il partito nato a Livorno nel 1921 sbaglia per il semplice fatto che quel partito lì non esiste più da decenni, è solo una parte dei suoi militanti, gli stessi che peraltro hanno avvallato la sua scomparsa, a vivere nel suo ricordo.
Quello che Renzi uccide semmai è il fantasma di un partito di sinistra che aleggia sopra un partito riformista. Questo spiega perché i militanti del Pd siano perennemente impegnati in infinite sessioni di autoanalisi per cercare di ricomporre un’identità scissa, un’attività senza speranza di successo che gli impedisce di pensare al futuro. In qualsiasi forma.
L’egocentrismo che permette a Renzi di sobbarcarsi tali compiti in questo senso ha un paio di meriti: 1. Non è patologico come quello di Berlusconi (o non lo è ancora, diamogli tempo) 2. Gli dà la forza sufficiente per provare a compiere veramente un cambiamento.
Ed è a questo livello che dovrebbero nascere adesioni o resistenza al suo progetto politico: sui contenuti.
Renzi ha un vantaggio strategico: fottendosene allegramente dell’ortodossia si guadagna uno spazio di libertà propositiva. Si muove in equilibrio fra gli umori degli italiani e la coerenza interna della sua proposta e lo fa con abilità.
Ed è con questa autonomia che ha veramente la possibilità di costruire qualcosa che può diventare sia una nuova sinistra, sia una versione edulcorata del liberismo. Due poli fra i quali al momento rimane furbescamente sospeso.
Se si va a vedere su alcuni temi come la scuola, il valore immateriale della cultura, i giovani, la meritocrazia si dimostra ben più solido dei suoi oppositori. Su altri ancora si dimostra di una sensatezza e di un respiro che sembravano persi da tempo come quando parla del progetto di egemonia italiana sul mediterraneo. Su altri temi anche centrali, come il lavoro, rimane invece una pericolosa incognita («semplificare» ok, ma come?), o latita del tutto (cosa fare contro l’aumento delle disuguaglianze?), mentre fallisce apertamente sul rifiuto di una patrimoniale o sulla timidezza cattolica sui diritti civili.
Questa è un’analisi, mentre dire Renzi è di destra perché ai comizi fa vedere dei video (tra l’altro, i Simpsons sono di destra? E soprattutto ha senso farsi una domanda del genere?) impedisce di concentrarsi sugli aspetti fondamentali della sua proposta politica. Ormai mi chiedo se chi scrive queste cose i comizi li ha visti veramente. Quello che ne ho ricavato io, andandoci, è che la retorica di Renzi è molto più modellata su quella di Obama che su quella di una convention aziendale, anche se questo suona come un’eresia per un popolo esterofilo come il nostro. Il problema è anche che quando nel giornalismo italiano s’impone un pattern interpretativo a buon mercato, rimane quello per i secoli dei secoli.
(piacione d’Oltreoceano)
Potremmo discutere di quanto Obama si sia poi dimostrato un flop (o anche peggio, considerati lo scandalo NSA e la guerra dei Droni), e infatti non sto dicendo che Renzi sia il mio politico ideale, perché non lo è, né sto consigliando di votarlo alle primarie.
Dico però che sarebbe più sano giudicarlo sul merito della sua proposta più che sui feticci e sui quei due-tre schemi mentali ultra semplificati e buoni per tutte le stagioni. In quest’ottica è interessante osservare come chi accusa Renzi di superficialità lo giudichi sulla base di altrettanta superficialità.
Credo che chi cerchi la sinistra vera e propria debba semplicemente cercarla altrove (ma è così già da anni, insensato svegliarsi ora) e che al di là dei tabù Renzi sia un politico abile, con una visione (condivisibile o meno), e carisma a sufficienza per vincere le elezioni, ma capisco anche che a una parte del suo schieramento questa possa sembrare un’intollerabile mancanza di eleganza.