Largo ai quarantenni. Parlare di rivoluzione forse è eccessivo, eppure il Palazzo della politica sembra aver decisamente invertito la rotta. Con l’elezione di Matteo Renzi alla guida del Pd, anche in Italia c’è aria di rinnovamento. Intendiamoci, quello che da noi è un inedito altrove è realtà già da un pezzo. Ed è altrettanto evidente che i dati anagrafici non sostituiscono le qualità umane. Insomma, si può essere tranquillamente incapaci di guidare un partito anche se si è nati negli anni Settanta. Ma almeno per una volta perché non riconoscere il giusto merito ai politicanti nostrani? Il ricambio generazionale è pur sempre un ottimo inizio. Così per la prima volta la tanto vituperata politica si mostra più meritevole del resto della classe dirigente. Si può dire che, anche in questo caso, il Palazzo non sembra in linea con il resto del Paese. E non si “salva” nemmeno il clero, visto che l’età media dei vescovi è di 67 anni, seconda solo all’età dei dirigenti dei gruppi bancari.
I tre leader di partito recentemente incoronati sono tutti under 45. Matteo Renzi, ad esempio. Il neosegretario del Partito democratico ha trentotto anni. Quando è nato era già esploso lo scandalo Watergate, era finita la guerra del Vietnam e i Pink Floyd avevano già pubblicato The dark side of the moon, tanto per dirne qualcuna. Renzi ha insediato al Nazareno la sua segreteria: età media 37 anni. Da pochi giorni, invece, Matteo Salvini ha iniziato a guidare la Lega Nord. Lui ha da poco compito quarantanni e al congresso del Carroccio ha stravinto contro l’ultrasettantenne Umberto Bossi. Nato nel 1970, Angelino Alfano di anni ne ha quarantatré. Vicepresidente del Consiglio da qualche mese, titolare degli Interni, da poche settimane è alla guida del Nuovo Centrodestra.
Dai leader di partito ai parlamentari. Molto si è raccontato dei Cinque Stelle. Un movimento spesso descritto come una setta alla mercè del sessantacinquenne Beppe Grillo. Chissà, forse è anche vero. Ma è impossibile negare la grande novità imposta dai pentastellati alla politica italiana. I gruppi parlamentari eletti lo scorso febbraio sono pieni di giovani. Inesperti, ma anche pieni di voglia di fare. Alla Camera gli oltre cento deputati sono nati tutti prima del 1973. Ben cinque hanno compiuto da poco l’età minima per occupare il seggio: 25 anni. A Palazzo Madama l’età media si alza sensibilmente, fino a 46 anni. Ma solo perché la Costituzione fissa i 40 anni come la soglia minima per diventare senatori.
E poi c’è Enrico Letta. Il presidente del Consiglio è nato nell’estate del 1966. Ha quarantasette anni. Un bambino, stando agli stagionati standard della politica italiana. Carte di identità alla mano, l’età media della sua squadra di governo supera di poco i cinquantanni. Con alcune particolarità: la trentottenne titolare della Politiche agricole Nunzia De Girolamo e la quarantaduenne ministro della Salute Beatrice Lorenzin. Insomma, stavolta la politica italiana sembra aver davvero scoperto un nuovo trend generazionale. Inedito, ma non privo di eccezioni. Ad esempio Silvio Berlusconi. Il settantasettenne eterno leader di Forza Italia è stato da poco riconfermato alla guida del suo movimento politico. Più volte presidente del Consiglio, il Cavaliere è il protagonista della vita istituzionale italiana da almeno vent’anni. È nato nel 1936. L’Italia fascista aveva appena proclamato il suo impero.
Con il sistema delle graduatorie e dei punteggi, che il corpo insegnante italiano sia datato appare quantomeno naturale. Se a questo poi aggiungiamo il blocco del turnover e lo spostamento in avanti dell’età pensionabile, il risultato è la permanenza nel mercato del lavoro dei lavoratori più anziani e l’assenza del ricambio generazionale. Nel nostro Paese più della metà (59,3%) degli insegnanti delle scuole ha più di 50 anni, mentre solo lo 0,5% ha meno di 30 anni. Non si salva neanche la fascia d’età 30-39 anni, che fa registrare una presenza del solo 9,5 per cento. Le cose non migliorano tra chi è alla guida degli istituti scolastici. L’età media di direttori e presidi neo assunti nelle scuole è di 50 anni; per quelli in servizio, invece, la media sale fino a 59 anni.
Non è giovane neanche il mondo accademico italiano, che – ancora peggio della scuola – prevede un lungo percorso di concorsi, dottorati, cooptazioni e raccomandazioni prima di arrivare alla famigerata cattedra. Tra i professori universitari la media d’età è di 63 anni, mentre quella dei ricercatori “scende” a 51 anni. Attualmente un ordinario su tre nelle nostre università ha più di 60 anni (in Francia sono solo il 10%, in Gran Bretagna l’8).
Tra i rettori, la media sale sopra ai 61 anni. Il 75% ha un’età superiore ai 58 anni. Prendiamo i principali atenei: Luigi Frati, inossidabile Rettore della Sapienza di Roma, ha 70 anni tondi tondi; Gianluca Vago, rettore dell’Università statale di Milano, ha 53 anni; Ivano Dionigi, alla guida dell’Università di Bologna, ha compiuto i 65 anni; Alberto Tesi, rettore a Firenze, ha 56 anni; Massimo Marrelli, rettore a Napoli, ha 68 anni; Roberto Lagalla, rettore di Palermo, ne ha 58; Gianmaria Ajani, rettore Università di Torino, ha compiuto anche lui i 58.
E se coloro che hanno un lavoro sono anziani, anche chi li rappresenta, cioè i sindacati, non sono per niente giovani. Forse non solo biologicamente. Susanna Camusso, segretaria della Cgil, è del 1955; Luigi Angeletti, Uil, e Raffaele Bonanni, Cisl, sono del 1949. Età media dei segretari delle principali tre sigle sindacali: 62 anni. Non sono da meno i segretari regionali, che hanno in media 56 anni; mentre quella dei delegati oscilla tra i 45 e i 50 anni. I pensionati, non a caso, continuano a essere una componente importante degli iscritti ai sindacati, mentre le sigle che cercano di radunare giovani e lavoratori precari non hanno finora raggiunto grandi numeri di iscritti. Non stanno meglio le rappresentanze dell’industria e del commercio, con una età media di 58 anni.
È di 58 anni esatti l’età media dei membri degli ordini professionali, secondo l’ultimo rapporto della Coldiretti dedicato all’invecchiamento della classe dirigente italiana, la più vecchia in tutta Europa. Cifre politicamente rilevanti, se si considera che gli ordini rappresentano quasi due milioni di persone/elettori (esclusi tutti i praticanti e i dipendenti degli studi professionali). Il rapporto Censis del 2007 riporta che gli iscritti agli ordini e ai collegi professionali sono, complessivamente, 1.990.30912.
Ma se andiamo a guardare i vertici di alcuni dei 31 ordini e albi professionali italiani, gli anni di chi vi siede vanno ben oltre la media dei membri. L’avvocato Piero Guido, Presidente del Consiglio Nazionale Forense ha 66 anni e occupa la carica dal 2004. I vicepresidenti dello stesso ordine, Ubaldo Perfetti e Carlo Vermiglio hanno rispettivamente 64 e 66 anni.
Enzo Iacopino, Presidente dell’Ordine dei Giornalisti, ha 64 anni, il suo vice, Santino Franchina ne ha 55. Si abbassa leggermente l’età dei vertici del Consiglio nazionale degli Architetti. Leopoldo Freyrie ha 55 anni, il suo vice 54. Guardando ai presidenti dei vari dipartimenti, tuttavia, solo sei persone su quattordici hanno meno di sessanta anni. Va reso merito all’ordine la scelta di istituire una figura dedicata alla Professione iunior, Lisa Borinato, 37 anni. Tra i medici l’età media di chi ricopre le principali cariche è di 62 anni. Ne ha 65 il presidente, Amedeo Bianco nato nel 1948 e senatore della Repubblica dal 15 marzo scorso.
«Viviamo in un periodo di crisi – commenta a Linkiesta il demografo Livi Bacci – ed è naturale che le categorie organizzate tendano a difendersi rafforzando le barriere e ostacolando l’accesso dei più giovani». «La crisi minaccia anche il reddito dei professionisti», spiega.
Due casi su tutti: avvocati…
Nel mondo dell’avvocatura la questione giovanile non è tanto legata all’accesso alla professione (tra 1997 e 2007 le iscrizioni sono passate da 7.209 a 9.751) ma, come si legge nel rapporto “Urg! Urge ricambio generazionale”, piuttosto alla difficoltà di riuscire ad affermarsi da un punto di vista lavorativo, raggiungendo un’indipendenza economica. Difatti, solo una piccola minoranza dei giovani che si affacciano all’avvocatura ha la possibilità di poter effettivamente esercitare la libera professione in tempi ragionevoli.
AlmaLaurea nel 2007 ha dimostrato che è a causa di tirocini e praticantati obbligatori per poter accedere alle professioni legali, che i laureati in giurisprudenza raggiungono una piena occupazione più tardi dei laureati in altre discipline. Così, a un anno dal conseguimento del titolo, i laureati in giurisprudenza che lavorano sono il 26,5% rispetto al 53% del totale dei laureati italiani.
Non che le cose vadano meglio dopo il raggiungimento dell’abilitazione. Il solo fatto di aver conseguito il titolo di avvocato non assicura certo un lavoro dignitoso al neo-professionista: a meno che non sia particolarmente temerario o lautamente sovvenzionato dalla famiglia, difficilmente potrà aprire uno studio tutto suo. Ma, nella maggior parte casi, il futuro dei neoavvocati non avrà nulla a che vedere con quella che è la più grande attrattiva per i giovani laureati in giurisprudenza che aspirano all’avvocatura: la possibilità di gestire autonomamente il proprio lavoro, sfruttando al massimo le potenzialità creative di questa professione intellettuale».
… e medici
I medici con non più di 35 anni in Italia sono poco meno del 12 per cento. La fetta più ampia, il 56%, è costituita dai medici iscritti all’Albo con più di 50 anni. Mentre più dell’11,5% supera i 65 anni. Si tratta di un’evoluzione recente: nell’arco di un decennio i medici con meno di 35 anni si sono praticamente dimezzati.
Responsabile dell’invecchiamento è soprattutto la politica del numero programmato, attualmente adottata dalle università italiane. Per accedere alla facoltà di Medicina e Chirurgia è necessario sostenere un test d’ingresso che permette di ottenere un posto sui banchi universitari solo al 15,5% dei partecipanti alle prove. Altro scoglio per gli aspiranti medici è l’esame di Stato, cui si accede con un versamento di 300 euro (dato aggiornato al 2009) e che prevede un tirocinio pratico della durata complessiva di tre mesi, cui segue una prova scritta. Una volta superato l’esame di Stato, è possibile effettuare l’iscrizione all’Albo e ottenere, finalmente, l’abilitazione alla professione.
I medici abilitati possono fare qualche sostituzione del medico di famiglia, oppure i prelievi in un laboratorio di analisi. Per poter effettivamente esercitare la professione medica, dopo il conseguimento della laurea, occorre frequentare una scuola di specializzazione (che può durare fino a sei anni come nel caso di Chirurgia Generale), oppure il corso di medicina generale (di durata triennale). Una scelta che solo in parte dipende dalla volontà dei giovani, visto che i posti disponibili nelle varie scuole sono limitati.
Ma nemmeno il termine degli studi specialistici implica la possibilità di arrivare a esercitare la professione in senso compiuto: ai più si prospetta un lungo periodo di precariato, nel corso del quale devono accontentarsi di lavorare con contratti a progetto o a termine. Una fase che «è destinata a durare anche dieci anni: facendo un rapido calcolo risulta evidente che a professione medica vera e propria (ovvero stabile) ha inizio solo intorno ai quaranta anni, e cioè quando ormai non si è più giovani».
Nella galassia finanziaria italiana comandano ancora loro, gli arzilli vecchietti. I quarantenni? Non pervenuti. Tanto negli istituti di credito quanto nel braccio finanziario del Tesoro, la Cassa depositi e prestiti. E nelle partecipate, Eni ed Enel. Ancora, in Telecom Italia e Alitalia, per citare le privatizzazioni sbagliate a cui si è riferito Renzi domenica scorsa. Carlo Messina, il consigliere delegato di Intesa Sanpaolo – la principale banca domestica – è del ’62 mentre il suo predecessore, Tommaso Cucchiani, è del ’50. Eppure i power broker che tirano le fila di Ca de’ Sass sono da trent’anni Giovanni Bazoli e Giuseppe Guzzetti, classe rispettivamente 1932 e 1934. A guidare Unicredit, l’altro campione nazionale, è Federico Ghizzoni, 58 anni. Continua a leggere.