Renzi, il piccolo Silvio alla prova fatale

Somiglianze e differenze tra due leader

Dal fondo del teatro stracolmo di pubblico, giornalisti e telecamere s’ode all’improvviso una vocetta strozzata, un lamento, quasi un singhiozzo: “Spostatevi, non vedo niente”. E in un lampo, mentre Angelino Alfano concede uno sguardo vuoto ai fotografi e Bruno Vespa controlla la scenografia di quest’ultima attesa presentazione del suo libro, Matteo Renzi, sul palco, smette di parlare, osserva l’anziana donna cui appartiene quella vocetta strozzata, e sornione azzecca la battuta: “Non si preoccupi signora non si perde nulla”. Risate. E davvero questo trentottenne fiorentino possiede doti teatrali e tempi della commedia. Mentre parlano gli altri lui sempre si fa muto e irridente, strizza l’occhio alla platea, e dunque accentra l’attenzione anche quando non parla. Scavezzacollo e fulmineo come l’Italia ha conosciuto soltanto Silvio Berlusconi – “se avesse un filo di tette le mostrerebbe”, diceva Indro Montanelli – Renzi è un venditore e impresario di se stesso non meno abile del CavaliereNon racconta barzellette scollacciate, non ha le stesse ubbie giocose del Sovrano di Arcore, ma alimenta attorno a sé la medesima attesa scenica, e tutti, sempre, s’aspettano fuochi d’artificio dialettici, giochi di parole, paralogismi, analogie e metafore umoristiche: “Il mio confessore una volta mi ha detto: ‘Matteo, Dio esiste, ma stai tranquillo non sei tu”. E tanti anni fa invece Berlusconi chiese a Vespa di odorargli il polso della mano destra: “Sente?”; “Sì, ma cos’è?”; “E’ odore di santità”.

La politica è effetto di scena, diceva Karl Kraus, e l’Italia aveva finora conosciuto un solo cabarettista, simpatico e ruffiano, contraddittorio intrattenitore da crociera, magico e bugiardo. Ma adesso che un vero comico, Beppe Grillo, s’è fatto anche lui uomo politico, con Matteo Renzi gli affabulatori carismatici, così moderni eppure così antichi, nel nostro strano paese sono diventati tre. Eppure Grillo ha il suo vecchio stile arruffato e strillone, settario e assertivo, violento e indulgente alla volgarità, mentre Berlusconi e Renzi, narcisi, un po’ gradassi e sicuri di sé, seducenti e compiaciuti di sedurre, davvero sembrano fatti della stessa inafferrabile e ludica pasta, vogliono piacere a tutti, il loro marketing è rivolto alla famiglia italiana media. E sarebbe forse facile sociologia ricordare che Renzi è nato nel 1975, che canale Cinque è stato fondato nel 1974, che Renzi amava Mike Bongiorno al punto dall’aver voluto partecipare (vincendo) alla Ruota della Fortuna, e che insomma il segretario ragazzino del Pd è cresciuto a pane e televisione berlusconiana, uno spirito che gli scorre nel sangue, che forse rappresenta il suo orizzonte inconscio e sedimento più profondo. Giovedì scorso, a Roma, in Piazza di Santa Chiara, nel teatro gonfio che ospitava la presentazione del libro di Vespa, dev’essersene accorto anche Angelino Alfano, suo malgrado. L’ex gregario del Cavaliere, in poco più di un’ora di dibattito, è rimasto tramortito e imbambolato di fronte al bullismo protervo e giocoso di Renzi. Alfano, ridotto alla balbuzie, s’è visto travolgere da un turbinio di schiaffetti e sfotticchiamenti, allusioni, avanzate temerarie e improvvise ritirate, un sadico mobbing che non può non avergli ricordato gli anni vissuti alla corte di Arcore, la strategia e il passo crudele del suo vecchio padrino politico, il Cavaliere che lo dominava a suon di contundenti buffetti padronali: “Angelino è tanto bravo, però gli manca qualcosa. Gli manca il quid”.

E come Berlusconi, anche Renzi è contraddittorio, capace di capovolte e infingimenti, acrobazie e candide menzogne, il suo bronzo non è meno evoluto di quello berlusconiano. Quello che dice oggi non conterà mai come quel che dirà domani, ma l’acrobazia di domani è nulla in confronto alla capriola che verrà il giorno dopo. Il Sultano di Arcore è stato capace di alimentare una dialettica aggressiva contro Enrico Letta e il suo governo, ha spinto i suoi fedelissimi alle urla televisive, “non voteremo mai la fiducia”, ma poi, oplà, con eleganza di giocoliere, come tutti ricordano, si presentò in Aula al Senato dicendo il contrario esatto di quanto aveva affermato appena pochi minuti prima: “Voteremo la fiducia al governo, siamo responsabili”. E allo stesso modo Renzi ha promosso un’offensiva economica contro l’articolo 18, ha mandato avanti il suo povero consigliere Goram Gutgeld, salvo poi annusare l’aria dichiarando con innocenza che “le proposte sull’articolo 18 non sono mie”. Lo aveva già fatto prima del percorso a ostacoli che lo ha proiettato alla segreteria del Partito democratico, nei giorni che precedevano la campagna elettorale era sembrato poter concedere qualcosa al vecchio sentimento socialdemocratico, al pensiero comune e old labour, ma anche lì ha poi cambiato idea quando si è accorto che tra gli iscritti della Cgil, malgrado gli sforzi, lui raccoglieva pochissimi consensi. Ma se è vero che Berlusconi e Renzi si assomigliano, non è ancora dimostrato che per Renzi valga il principio assoluto del rapporto diretto costruito dal Cavaliere con i suoi elettori: a lui è perdonato tutto. E solo a lui è concesso di mentire e smentirsi senza mai soffrirne, accettare Monti e abbattere Monti, creare Letta e combattere Letta, nominare i ministri e disconoscerli (“Quagliariello? Mica l’ho messo io lì”), ritirarsi dalla vita politica e ritirare il ritiro. È lui l’unica opzione di se stesso, è lui l’offerta politica, è lui l’ideologia, è lui il partito, dunque può fare tutto e tutto gli viene perdonato, un despota inconoscibile, non esige che lo si nomini o preghi, è l’imprendibile, indiscusso creatore. Per Renzi non vale lo stesso principio. Lui non è il padrone, non è composto d’una luce immortale e d’un pingue portafoglio, ma è il segretario d’un partito che viene da una storia lontana e capace di prescindere dal carisma e dalla leadership. Così adesso il sindaco ragazzino è alla prova fatale, a lui non è concesso di sbagliare senza pagare dazio. S’è impegnato a modificare la legge elettorale per gennaio. E cosa ne sarà della sua rapida e fulgida parabola se non riesce?

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