Recensione immaginaria della prima de La traviata, opera andata in scena il 6 marzo 1853 al teatro La Fenice di Venezia e che aprirà stasera la stagione 2013/2014 della Scala di Milano. Lo spettacolo, evidentemente, non l’abbiamo visto.
Sembra che a Giuseppe Verdi interessi raccontare degli eroi e delle eroine popolari. Due anni fa, sempre qui a Venezia, ci ha stupiti con Rigoletto, il cui il protagonista era un buffone di corte. A gennaio, a Roma, il suo Il trovatore ha toccato il cuore del pubblico con il suo intenso intreccio di passioni amorose. E La traviata, la sua ultima fatica, non è da meno: la protagonista è una cortigiana che si oppone alle convenzioni ipocrite della società borghese del 1700 (ma i più attenti avranno intuito che è solo un furbo trucchetto per non incappare in tagli e censure). L’ispirazione è palese: lo spettacolo teatrale La Dame aux Camélias di Dumas figlio, già ispirato al romanzo del padre. Giuseppe Verdi ha passato gli scorsi mesi a Parigi e, probabilmente, la pièce gli ha dato uno spunto per la composizione. Al libretto ritroviamo l’eccellente Francesco Maria Piave che già ha lavorato con Verdi al Rigoletto.
Nonostante le premesse, però, l’opera non ha trovato il favore del pubblico. E il problema, secondo noi, è di casting.
L’opera è brillante, sia nei testi sia nella musica. Una tragedia sull’amore e sulla morte (si dice sottovoce che il titolo originale dell’opera fosse Amore e morte, prima dell’intervento della censura), che unisce leggerezza e dramma, lirismo e tensione. Verdi l’ha sempre detto di essere soprattutto «un’uomo di teatro». Ma sulle scelte dei cantanti c’è da ridire: la voce e la capacità ci sono, ma manca l’interpretazione. Basti l’esempio del baritono Felice Varesi: evidentemente annoiato nel ruolo di Giorgio Germont, non ha dato il meglio di sé durante lo spettacolo. Probabilmente perché stavolta il compositore non gli ha affidato parti importanti come nei precedenti Macbeth e Rigoletto.
E se alla fine del primo atto il pubblico ha chiamato alla ribalta il compositore con molti applausi, alla fine del secondo se ne è semplicemente rimasto muto e zitto (e non si può proprio negare di aver sentito anche qualche fischio). Alla fine dell’opera il compositore è stato chiamato sul palco per un saluto, non per encomio ma per cortesia: tutto il pubblico sapeva perfettamente che sarebbe ripartito da Venezia il mattino successivo. E sul viso di Giuseppe Verdi c’era del rammarico.
Qualche minuto dopo fermiamo Verdi appena fuori dal teatro. La prima cosa che dice è: «È stata un fiasco! Ma la colpa è mia o dei cantanti?». Quando — sorpresi dalla franchezza — non rispondiamo, Verdi incalza raccontando di aver provato per tutti i mesi precedenti a far cambiare il casting de La traviata, ma di non esserci riuscito per via del contratto della primadonna, Fanny Salvini-Donatelli. La Traviata, dice, avrebbe dovuto «essere una figura elegante, giovane e capace di cantare con passione». E dopo aver visto la signora Salvini-Donatelli — perdonate il gioco di parole — all’opera, tendiamo a dare ragione al compositore. Nelle sue fattezze fisiche era l’esatta antitesi della Violetta che doveva intepretare. E aveva ragione il pubblico a scoppiare a ridere dopo aver visto la giunonica protagonista morire sotto i colpi della tisi.
Giuseppe Verdi fa per rimettersi il cilindro, ci guarda sorridendo e dice «per me credo che l’ultima parola sulla Traviata non sia quella di stasera. La rivedranno e rivedremo!». Che dire? Augiriamo alla Traviata grande successo. E a Giuseppe Verdi cento di questi anni. Anzi, duecento.
Tutte le citazioni di Giuseppe Verdi sono prese da lettere scritte dal compositore o da altre testimonianze dirette, leggermente modificate dove necessario. Il resto delle informazioni vengono da resoconti e recensioni. Qui sotto una scansione del libretto della prima e sul Giornale dei grandi eventi, una vera recensione dell’epoca (a pagina 15).