Sono passati due anni e mezzo dai due referendum del giugno 2011 sul settore dell’acqua. I due “sì” che uscirono dalle urne avrebbero dovuto cambiare il settore alla radice. Come ha ricostruito un articolo di IL, il primo abrogò una norma che nel giro di pochi mesi avrebbe obbligato gli enti locali a fare delle gare aperte a soggetti pubblici, privati o misti per decidere a chi affidare in concessione i servizi idrici. Il secondo abrogò un comma secondo cui la tariffa per l’erogazione dell’acqua era calcolata prevedendo la «remunerazione del capitale investito dal gestore» fino a un massimo del 7%, tra profitti e oneri finanziari. In pratica, ci sarebbe dovuta essere l’uscita dei privati dalla gestione dell’acqua, perché nessuno avrebbe investito in un settore che non prevedeva remunerazione del capitale.
In realtà nulla è cambiato da allora. L’unica novità fu l’attribuzione dal marzo 2013 delle competenze in materia all’Autorità per l’energia elettrica e il gas (Aeeg). All’epoca del dibattito sul referendum, si citò il caso del Regno Unito, dove l’intervento di autorità indipendenti pose fine a un periodo di aumenti di tariffe senza miglioramento della qualità del servizio e impose di legare le tariffe agli investimenti.
Si disse che un’authority per l’acqua avrebbe determinato anche in Italia un cambiamento che avrebbe scongiurato gli aumenti ingiustificati e fatto crescere gli investimenti, portando di conseguenza a una diminuzione degli sprechi. Ma a oggi, così come sta accadendo per la nuova Autorità dei trasporti, la capacità di incidere dell’Aeeg sembra minima, nonostante i primi interventi vadano nella giusta direzione. In tema di acqua l’autorità non ha poteri sulla fissazione dei prezzi, in questa fase embrionale non può dare sanzioni sulla mancata qualità dei servizi, ha strumenti molto limitati per favorire gli investimenti di cui c’è moltissimo bisogno. Mentre l’acqua rischia di diventare sempre più rara, gli sprechi continuano senza soste. Con la conseguenza che a pagare il conto è la fiscalità generale.
A partire dal nuovo anno, l’Aeeg (Autorità per l’energia elettrica e il gas) ha introdotto nuove regole per le tariffe finalizzate a generare efficienza e ridurre le perdite lungo la rete. Dalla stessa data, inoltre, è entrata in vigore la Direttiva sulla trasparenza delle bollette per renderle più chiare e fornire maggiori informazioni sui diritti dei consumatori, con l’obbligo – in capo ai gestori – di pubblicare on line le Carte dei servizi.
Misure che hanno registrato l’approvazione degli addetti ai lavori in quanto aiutano a portare chiarezza nel mercato e vanno nella direzione più volte auspicata dall’Autorità di premiare chi contribuisce a ridurre le perdite (che ammontano al 30% circa) e a diffondere su tutto il territorio della Penisola gli impianti di depurazione, attualmente assenti in due centri urbani su tre.
Fontana dell’Acquedotto pugliese, divenuto uno dei simboli delle perdite nella rete idrica in Italia
L’Autorità stima che siano state realizzate meno del 56% delle opere necessarie per ridurre in maniera consistenti gli sprechi e che gli interventi più urgenti per mettersi in regola con gli adempimenti europei richiedono oltre 25 miliardi di euro nei prossimi cinque anni. Somme non certo facili da reperire nel contesto congiunturale che stiamo vivendo.
Dello stesso avviso è Andrea Bossola, direttore dell’area industriale idrico di Acea e consigliere di amministrazione di Publiacqua. «Il mercato idrico nazionale necessita di investimenti per 5 miliardi l’anno, ma l’Italia ne investe non più di 1,2, per cui nel tempo si è creato un gap enorme tra necessità e interventi realizzati». Una situazione che, a partire dal prossimo anno, potrebbe esporci alle sanzioni comunitarie proprio per il mancato rispetto delle regole su depurazione e reti fognarie. «Al di là dei ridotti investimenti pubblici, le difficoltà si sono stratificate per l’esistenza di un sistema delle regole spesso schizofrenico», aggiunge l’esperto. «Alla luce di questa situazione, l’intervento dell’Aeeg aiuta a riportare chiarezza, stabilendo i criteri per riconoscere ai gestori un premio per la quota capitale investita e i relativi oneri finanziari».
Probabilmente gli sprechi sono favoriti dal fatto che in Italia – per scelte di politica economica – l’acqua in fondo costa poco, almeno in termini di tariffe, visto che buona parte del peso viene spostato sulla fiscalità generale. «È una situazione difficile da sostenere a lungo», commenta Bossola. «Occorrerebbe un cambio di prospettiva che segua il principio secondo cui “chi più consuma, più paga”». In sostanza, un aumento del costo in bolletta (e un analogo sgravio dalla fiscalità), secondo un metodo per altro diffuso in quasi tutta Europa.
Il settore dei servizi idrici è stato attraversato da un’evoluzione normativa, che ha preso il via nel 1994 con la cosiddetta legge Galli, che aveva l’obiettivo di definire gli ambiti di intervento e generare economie di scala, riducendo gli sprechi dovuti all’esistenza nel territorio della Penisola di circa 11mila gestori locali. Una cornice legislativa poi sostituita dal Codice dell’Ambiente nel 2006 (nato con gli stessi obiettivi), mentre nel frattempo sono stati individuati gli Ambiti territoriali di riferimento (Ato), a grandi linee corrispondenti alle province, e le Autorità d’ambito territoriale ottimale (Aato), con compiti di controllo a livello locale.
Sostenitori dei referendum sull’acqua nel 2011
Quindi è stata la volta del Refendum del 2011 sul tema della remunerazione del capitale investito e del passaggio delle funzioni di regolazione e controllo dei servizi idrici all’Aeeg. Anche se non in via esclusiva, visto che la normativa nazionale va poi a intersecarsi con le regole sui controlli stabilite dalle singole regioni, spesso con misure difformi le une dalle altre. Il risultato è una situazione di grande confusione, in cui prosperano gli sprechi e le inefficienze. «Ad esempio, i prezzi dell’acqua non vengono decisi dall’Aeeg, ma dalle autorità regionali, che in genere ratificano le richieste dei singoli gestori», commenta Vincenzo Donvito, Aduc. «Inoltre, sulla qualità del servizio, non ci sono state le modifiche attese rispetto agli impegni che ogni singolo gestore ha preso con la carta dei servizi (sempre ratificata dalle Autorità regionali)». In sostanza, l’associazione dei consumatori lamenta il fatto che il passaggio di competenze all’Aeeg non arrivi agli utenti finali, mentre «gli Aato regionali continuano a essere strutturalmente in conflitto di interessi».
L’esistenza di un sistema frammentato per decenni non può essere superata in un solo colpo ora, secondo Massimo Clementi, avvocato dello studio Sfl di Genova, specializzato nel settore delle utility. «L’Aeeg è intervenuta – molto di rado – con sanzioni consistenti nell’imposizione di determinate tariffe verso quelle società che omettevano di comunicare i dati richiesti, ma attualmente non sono previste – nella sostanza – sanzioni legate a carenze strutturali e qualitative del servizio». Insomma, qualche passo in avanti è stato compiuto: «L’avvento dell’Autorità», aggiunge, «sta contribuendo a ridurre la frammentarietà del comparto acqua diminuisca, ma il percorso è ancora lungo». Intanto dal dibattito politico è sparito il tema dei mancanti investimenti, che rischia di tornare solo dopo l’arrivo delle sanzioni comunitarie.