Nel derby involontario dei litigi, questa settimana, la sfida rusticana tra i due antichi colossi tele-democristiani surclassa quella tra i due giovani leoni neo-democristiani. E solo una improvvida agenda giornalistica può consegnare all’eterno minuetto tra Matteo Renzi ed Enrico Letta la prima pagina, relegando la faida (con sputo) tra Bruno Vespa e Pippo Baudo tra le notizie minori dello spettacolo.
Il continuo botta e risposta tra Letta e Renzi, infatti, a dispetto della giovane età dei contendenti è molto prevedibile e molto ripetitivo. Ha per oggetto il tema più prevedibile della politica di Palazzo, il controllo del potere, e come modalità di svolgimento un ciclo a dir poco impiegatizio: Renzi attacca pubblicamente, Letta minaccia sfracelli in un retroscena, poi Renzi ricuce (in un retroscena) e Letta dice una parolina dolce (in pubblico). Poi si incontrano e vergano comunicati rassicuranti. È difficile convincersi della sinceritá di queste rappacificazione, così come è difficile appassionarsi al tira e molla dietro cui non si intravedono grandi scenari: forse solo una vera rottura potrebbe rendere tutto vero. C’era più verità nella contrapposizione te Veltroni e D’Alema, zio Massino e zio Walter, certo, l’uno per l’altro, ma pur sempre fratelli-coltelli separati d una parvenza di conflitto ideologico.
Baudo e Vespa, invece, sono divisi da una contesa mediatica, ma piena di implicazioni. Parlano, si raccontano, svelano ogni cosa: «La Rai non è di Vespa!», attacca Baudo, escluso per via di un litigio dietro le quinte di oltre un anno fa. «Baudo ha sputato a Claudio Donat Cattin e non ha ancora chiesto scusa!», ribatte Vespa. E dietro questo veto, e a questo conflitto si intuisce la guerra ontologica tra due destini opposti: Baudo è senza dubbio la storia della televisione incarnata in un corpo. Vespa è senza dubbio la selezione della classe dirigente a mezzo televisione, al punto che Giulio Andreotti definì il suo programma “La terza Camera”. E Claudio Donat Cattin, l’oggetto del contendere, non è solo “un consulente” di Porta a Porta (come riferiscono le cronache) ma un dirigente di lungo corso a viale Mazzini, il fratello di Carlo, ministro e carismatico leader democristiano.
Donat-Cattin è uno degli ultimi ottimati di Viale Mazzini, un uomo nel cui nome si può combattere una piccola grande guerra. Ancora Baudo: «È Vespa che non ha rispetto per me, ha agito per vendetta personale. No solo ha peccato – dice il presentatore più noto della tv italiana – ma addirittura mi concede la grazia se mi pento!». E rilancia con un ennesimo retroscena: «Si tratta di un fatto personale con il signor Donat Cattin che mi diede del mafioso». Ancora Vespa, con sublime perfidia: «Ho agito nell’interesse del servizio pubblico». Baudo e Vespa, in questa clamorosa disputa in pubblico si trovano a recitare, loro malgrado, un conflitto di ruoli tra il potere e lo spettacolo. Sono il bianco e il nero, l’Alfa e l’Omega, persino della punto di vista posturale: il gesto tipico di Baudo, la distensione delle lunghe braccia, è un gesto concavo, apostolico e inclusivo, quello di Vespa, l’imitatissima sfregatura delle nani è un gesto convesso, curiale e auto-celebrativo. Sono due highlander, si possono permettere qualsiasi cosa, ed è per questo che se combattono restiamo a bocca aperta, mentre se bisticciano Renzi e Letta un po’ si sbadiglia.