L’Egitto si risveglia laico ma non democratico

Reportage - Dopo il referendum

IL CAIRO – I «sì» alla nuova costituzione hanno trionfato. Nei caffè dei quartieri popolari del Cairo, Sayeda Zeinab, Abdin e Helmeya, decine di egiziani sono rimasti incollati fino a tarda sera agli schermi televisivi in attesa dei risultati. Dopo due giorni di scontri e violenza, mentre la canzone pro militari Teslam el Ayadi (Sia benedetta la tua mano) echeggiava dagli altoparlanti di molti seggi del centro del Cairo e vari mezzi militari incoraggiavano cittadini comuni a partecipare al voto, i media di stato hanno annunciato l’alta affluenza alle urne.

primi dati non ufficiali sono arrivati nella notte. Nabil Salib, tra i responsabili della Commissione elettorale, ha parlato di un’affluenza superiore al 50 percento, con una vittoria schiacciante dei «sì», più del 90 percento. Ma i dati definitivi dicono invece che non si tratta di una vittoria di tutti gli egiziani: appena il 36 percento degli aventi diritto si è recato alle urne. I «sì» superano il 97 percento. La partecipazione al voto è stata di poco superiore al 32 percento raggiunto in occasione del referendum costituzionale del 2012. Addirittura al Cairo, Giza, Minia, Sohag, Assiut, Fayum, Beni Suif, Suez e Marsa Matruh l’affluenza alle urne nella consultazione del 2014 è stata più bassa che nel 2012. 

L’approvazione della nuova Costituzione rappresenta una grande vittoria per il capo delle Forze armate Abdel Fattah Sisi, da molti considerato l’erede dell’ex presidente Gamal Abdel Nasser. Ma è anche la conferma del controllo esercitato dall’élite militare sull’élite politica in Egitto. Tanto che la partecipazione dell’uomo forte del nuovo Egitto alle elezioni presidenziali della prossima primavera, appare scontata.

L’Egitto è ora nelle mani di laici, liberali e nazionalisti, cristiani, giudici e politici del vecchio regime. Inevitabile l’esclusione definitiva dalla scena politica della Fratellanza musulmana e di parte del movimento salafita. Cosa che ha già innescato gravi episodi di terrorismo, che potrebbero aggravarsi se venissero chiuse le scuole, gli ospedali e le opere caritatevoli controllate dalla Fratellanza in tutto il Paese.

Nell’anno in cui sono stati al potere, gli islamisti hanno fallito nel denunciare gli abusi dell’esercito e nel favorire riforme sostanziali del sistema politico egiziano. Tanto che la Costituzione, approvata da una maggioranza islamista e sottoposta a referendum nel dicembre 2012, aveva ottenuto il 63 percento dei voti ma con una scarsissimma partecipazione elettorale, vicina appena al 30 percento.

Al contrario, i risultati del referendum aprono la strada al ritorno dei politici del vecchio regime, esclusi dall’arena politica secondo il testo voluto dagli islamisti. Gli uomini del Partito nazionale democratico (il partito di Mubarak), in larga parte rilasciati dopo pochi mesi di prigionia in seguito alle rivolte del 2011, potranno tornare a ricoprire incarichi pubblici e di governo.

Opposizione neutralizzata

Per le strade del Cairo rimangono solo manifesti a sostegno del «sì» al referendum costituzionale. È molto difficile trovare poster dei socialisti rivoluzionari, degli islamisti moderati di Momneim Abul Fotuh e di 6 aprile che chiedano di bocciare la Costituzione. Almeno dieci ong locali hanno condannato l’arresto di attivisti che chiedevano agli elettori di esprimersi per il «no» alla Costituzione che rafforza i poteri dei militari. Nonostante gli annunci della vigilia, gli affiliati ai movimenti giovanili tra cui 6 aprile e gli islamisti moderati vicini a Moneim Abul Fotuh non si sono recati alle urne.

E all’opposizione non è rimasta altra arma che la violenza. Il primo giorno di voto sono state undici le vittime nelle manifestazioni promosse dagli islamisti in tutto il Paese. Vari ordigni sono esplosi alle porte della corte di Embaba a Giza, nel governatorato di Sharqiya e all’interno della Commissione elettorale di Minya. Scontri e marce sono andati avanti per la giornata di ieri nei pressi dell’università Al Azhar al Cairo. Gas lacrimogeni sono stati lanciati contro i manifestanti a Zagazig e in alcuni villaggi del Delta del Nilo. Proprio nella roccaforte islamista un sostenitore dei Fratelli musulmani, il giovane Mahmoud Gomaa è stato ucciso a Beni Suif. Altri quattro sostenitori della Fratellanza hanno perso la vita mentre partecipavano ad una manifestazione contro il referendum nella città di Sohag. Nel pomeriggio di ieri gli islamisti hanno invece simbolicamente marciato verso il palazzo presidenziale di Heliopolis, dando fuoco a una vettura delle forze di sicurezza. Stesse scene si sono ripetute nelle città di Alessandria e del Delta del Nilo. La polizia ha immediatamente lanciato gas lacrimogeni contro i manifestanti. In tutto sono 400 gli arrestati nelle due giornate di voto.

La Fratellanza ha denunciato alla Corte penale internazionale l’esercito egiziano per «crimini contro l’umanità». Per questo, sono stati resi noti ieri i contenuti del report «Le armi dell’ingiustizia» che inchioda l’intervento dei militari in occasione dello sgombero di Rabaa al Adaweya del 14 agosto 2013, costato la vita a oltre 700 persone.

I punti controversi del testo costituzionale

La campagna per il «sì» al referendum ha puntato su piccole concessioni generali nei diritti fondamentali di uguaglianza tra uomo e donna e per la punizione del reato di tortura. Il solo vero passo avanti del testo sottoposto a referendum riguarda il riferimento all’applicazione in Egitto dei Trattati internazionali in merito ai diritti umani, fino a qui ratificati. Negli altri casi, si tratta di articoli vaghi e difficilmente applicabili. «Non ci sono miglioramenti sostanziali perché per stabilire un nuovo diritto è necessario restringere il più possible i limiti imposti dalla legge», spiega Heba Morayef, coordinatrice di Human Rights Watch al Cairo.

La critica principale al testo riguarda l’estensione dei poteri dell’esercito. Sono previsti processi militari contro i civili, peggiorando addirittura i contenuti del testo costituzionale del 1954. Ma l’articolo più controverso è il 234 che stabilisce la nomina del ministro della Difesa per i prossimi due mandati da parte de Consiglio supremo delle Forze armate. Resta aperta la questione dell’approvazione del bilancio militare, gli islamisti parlano di conti segreti in merito a materie di sicurezza, impedendo qualsiasi controllo delle spese militari. Si fanno poi passi indietro significativi con la legge anti-proteste che impedisce l’organizzazione di manifestazioni in assenza di un’approvazione del ministero dell’Interno.

La sharia (legge islamica) è ancora fonte di diritto in base al secondo articolo del nuovo testo ma è stato cancellato l’articolo 219, voluto dalla gli islamisti pro Morsi e le gamaat al-islamyia hanno denunciato una scarsa partecipazione al voto e numerosi episodi di brogli perpetrati dalla polizia e politici del dissolto Partito nazionale democratico (che se la Costituzione dovesse essere approvata potrebbero tornare a fare politica).

Il voto suddiviso in due giorni ha evitato per la prima volta dopo le rivolte del 2011 elezioni frammentate e operazioni di voto lunghe settimane e su base regionale, con la diffusione dei risultati parziali prima della chiusura dei seggi. Una celere diffusione dei risultati ha evitato le attese pletoriche delle precedenti tornate elettorali che nascondevano una sorta di negoziato sui risultati tra esercito e islamisti (come nel caso delle presidenziali del luglio 2012). Ma il primo punto nell’agenda del nuovo Egitto resta la ricostruzione del tessuto sociale di un Paese spaccato dalla polarizzazione politica e da tre anni di contestazioni e violenze.

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