Un antropologo culturale scuoterebbe la testa, magari preferendo un contatto diretto con la società osservata, ma per studiare e comprendere il mondo della televisione italiana – e le sue peculiarità – in fondo bastano un divano comodo, molto tempo a disposizione, tanta curiosità e nemmeno un pizzico di snobismo. Così ha fatto la scrittrice e sceneggiatrice Teresa Ciabatti – diverse sceneggiature dal 2000 in poi, fra cui quelle per Tre metri sopra il cielo e Ho voglia di Te al fianco di Federico Moccia – autrice del graffiante Tuttissanti, edito da Il Saggiatore (64pp. – 10€). A metà fra un saggio alla Guy Debord sulle storture della società dell’immagine e una favola nera moderna, Ciabatti porta in pagina Lucio Lualdi, un impresario del mondo dello spettacolo che sente d’avere una missione quasi evangelica; al suo fianco un folto gruppo di ragazzi belli, depilati e intercambiabili, su cui spiccherà Christian Russo, aitante esemplare di periferia, disposto a tutto pur di diventare famoso, celebre e inarrivabile. Bastano poche righe di Tuttissanti per appiccicare un nome e un cognome al personaggio principale, passato dalle stelle alle stalle, da Porto Cervo al carcere, pur restando sempre al centro delle pagine di cronaca. Ma ciò che conta davvero è la scrittura netta ed emotiva con cui l’autrice affronta il lettore e lo spinge, pagina dopo pagina, sempre più vicino al limite, sino a considerare il corpo come un mezzo, uno strumento professionale per raggiungere lo scopo.
Come nasce questo libro?
Per esigenze familiari e lavorative, vivo barricata in casa [ride] e passo molto tempo davanti alla tv, per cui questi personaggi me li trovo continuamente fra i piedi, pur senza volerlo. Questo libro è il frutto di un’osservazione durata anni. Tutti conosciamo fin troppo bene il lato marcio di questo ambiente ma io mi sono soffermata sul lato sentimentale che esiste realmente. Se Fabrizio Corona si rifà ad un immaginario quasi satanico, Lele Mora parla di pace con una voce pacata, è sempre vestito di bianco e si muove accompagnato da un folto gruppo di ragazzi quasi come fossero apostoli. I suoi riferimenti sono fortemente religiosi, sembra davvero Gesù Cristo.
Nel libro non lo nomini mai ma è chiaro che il tuo protagonista è Lele Mora.
Beh, non lo nomino perché avrei dovuto chiedergli il permesso. Ma anche perché volevo insinuare un dubbio nel lettore, lasciarlo libero di leggere senza dover per forza associare un viso noto al nome del protagonista.
Il libro si apre con un’epigrafe inquietante…
E’ lo specchio della contemporaneità in cui viviamo. Si tratta di uno stralcio che la madre di Rossano Rubicondi scrive al figlio e da essa emerge l’ossessione per la notorietà. Dovendo semplificare si capisce che per una larga parte della società chi non è famoso sta in ombra e non ha combinato nulla; invece chi è famoso, non importa come e perché, può permettersi tutto.
Ma l’educazione al successo quando comincia?
La voglia d’essere famosi, tralasciando il caso sopra citato che è quasi da profilo clinico, credo che colpisca tutti in un modo o nell’altro. Se ci pensi anche gli scrittori hanno un forte egocentrismo e al di là del merito e del talento, si finisce per lottare per un’intervista e magari ci si arrabbia se reputiamo che lo spazio in pagina sia troppo piccolo o non abbastanza visibile.
Chi è Christian Russo? Cosa rappresenta?
Prima di tutto è l’oggetto d’amore, l’oggetto del desiderio per Lucio Lualdi. Christian è uno fra tanti, uno come tanti visto che sono tutti uguali, la sua storia è una parabola di gloria e di caduta. La vicenda di Christian è necessaria per raccontare quella di Lucio e il suo rapporto con questi ragazzi, illusi e abbandonati.
Forse il rischio più grande era che il tuo libro venisse recensito con un tono moralizzatore…
Avendo una grande documentazione su questo mondo, volevo trattarlo con precisione e rispetto, evitando assolutamente qualsiasi tono giudicante. L’errore peggiore era quello di considerare “basso” il materiale trattato perché, a mio avviso, la letteratura non può precludersi nulla, innalzando ciò che in teoria potrebbe sembrare grottesco.
Nel tuo blog intervisti anche l’uomo della strada e in questo libro affronti un materiale umano sgradevole. È il tentativo di creare una nuova Commedia Umana?
Il mio intento è proprio quello. A ben vedere, i miei protagonisti alla fine, son tutti dei falliti e perdenti, persone che non hanno cognizione del proprio reale posto nel mondo, fatalmente andando incontro ad una rovinosa caduta.
Volevo un parere di uno scrittore sul tuo libro per cui ho chiamato Stefano Piedimonte – in libreria con Voglio solo ammazzarti per Guanda. Lui sottolinea come la tua scrittura sia visivamente emotiva ma soprattutto il fatto che tu non abbia paura di disturbare il lettore, rifiutando ogni compromesso. Sei d’accordo?
Certo, la mia è una scelta precisa ma credo sia anche un mio limite. Tutti sanno che oggi domina l’empatia e il pubblico deve partecipare emotivamente con ciò che si racconta. Io invece insisto con la mia decisione di raccontare personaggi sgradevoli visti da vicinissimo, con l’intento di raccontare la parte nera che tutti abbiamo.
Ma la televisione dobbiamo guardarla sì o no?
Sì! Ognuno fa quello che vuole ma credo si debba guardare per tanti motivi, anche per sapere ciò che non va fatto.
Secondo te fra l’ossessione di diventare famosi e il recente scandalo delle baby prostitute, c’è un nesso diretto?
Sicuramente c’è, del resto il motore è sempre lo stesso. Credo che ci sia una scissione sempre più netta fra mente e corpo, colpa della nostra società a tutto tondo. Non saprei dire quanto queste ragazze soffrano veramente a prostituirsi, il corpo sembra essere solo uno strumento e lo si può usare in modo freddo, professionale.