L’Europa non è pronta a cavalcare la rivoluzione dello shale gas. Il Vecchio continente è in ritardo, sospeso tra la voglia di cogliere una nuova opportunità e i timori ambientali legati alle attività di fracking, la tecnica di frantumazione idraulica utilizzata per estrarre il gas contenuto nelle rocce scistose. Secondo le stime dell’americana “EIA” (“Energy Information Administration”) nel 2035 il prezzo del gas e dell’energia elettrica in Europa saranno il doppio di quelli praticati negli Usa. Come spiega Fatih Birol, chief economist dell’agenzia governativa americana, «l’Europa rischia di scivolare 20 anni indietro rispetto agli Stati Uniti». Timori condivisi anche da Paolo Scaroni. In un’intervista al Corriere della Sera l’amministratore delegato di Eni ha detto che «il prezzo del gas per le industrie americane è un terzo del nostro, l’energia elettrica la pagano la metà». Questo significa allontanare gli investimenti dall’Europa, soprattutto in quei settori produttivi che fanno un uso intensivo di energia. Ad ottobre, Vallourec grande azienda francese che produce ferro e acciaio ha deciso di investire un miliardo di dollari in un nuovo impianto produttivo in Ohio.
Nel resto del mondo, la situazione sembra essere diversa. Grazie all’estrazione “neofossile” gli Stati Uniti puntano all’indipendenza energetica nel 2030, e la Cina e la Russia scommettono sull’estrazione di gas con la perforazione idraulica per cambiare e rendere più sostenibile i loro modelli di sviluppo. Di fronte alla sfida dello shale, i Paesi europei si muovono in ordine sparso. La Gran Bretagna ha appena deciso di estendere la superficie del territorio dove potranno essere effettuate le trivellazioni preliminari. Nel 2011 la Francia ha proibito l’utilizzo della fratturazione idraulica anche solo per scopi di ricerca. In Germania, nel 2012 il governo di Angela Merkel aveva preparato una bozza di legge con limitazioni non troppo stringenti sulla tutela delle falde acquifere. La vaghezza del provvedimento ha consentito ai Länder di bloccare tutto. In Romania le proteste dei cittadini hanno costretto l’americana Chevron, che aveva ottenuto le licenze per l’esplorazione, a sospendere l’attività. In Ucraina, gli abitanti di Leopoli non vogliono che l’olandese Royal Dutch Shell prosegua le trivellazioni. A settembre il primo ministro polacco Donald Tusk aveva annunciato che il suo Paese, che sta cercando un modo di sottrarsi al monopolio di forniture di gas della russa Gazprom, avrebbe puntato forte sullo shale come volano per lo sviluppo ma poi ha dovuto fare i conti con le proteste dei gruppi ecologisti. In Italia lo sfruttamento dello shale gas praticamente non è previsto.
La regolamentazione a livello dell’Unione europea, poco approfondita e disomogenea, aumenta l’incertezza per le compagnie energetiche e per gli stati nazionali. Le norme comunitarie non vietano questo tipo di esplorazione del sottosuolo ma impongono controlli severi. Nel 2012 la Commissione ha pubblicato uno studio secondo cui non serve un’ulteriore normativa per disciplinare l’estrazione a grande profondità. Tuttavia ad ottobre, il Parlamento europeo ha approvato due emendamenti alla Direttiva sulla valutazione dell’impatto ambientale (la 92 del 2011) che rendono necessari controlli più approfonditi e maggiore prevenzione dei rischi. La Ue, quindi, sembra essere possibilista sull’utilizzo di tecniche di esplorazioni non convenzionali ma ad oggi non esistono norme comuni e il fracking viene disciplinato a livello nazionale.
Il gas di scisto potrebbe avere un impatto significativo anche sulla situazione dell’Europa che deve trovare un nuovo mix energetico per limitare le emissioni, tentare di ridurre le importazioni di idrocarburi da Russia e Nordafrica, ridurre il costo dell’energia. In Europa la presenza di shale gas è limitata rispetto ad altre aree del mondo (7% del totale) come Nord America e Medio Oriente, tuttavia le stime sulle risorse di gas di scisto tecnicamente disponibili in Europa segnalano valori superiori di tre volte a quelle di gas convenzionale
La maggior parte delle risorse in Europa risultano essere concentrate in Polonia, Francia e Romania. Secondo una recente analisi del servizio studi di Bnp Paribas, in Europa nel 2012 sono stati estratti complessivamente 295 mmc di gas naturale. Nel report della banca italo francese si mette in evidenza come le stime sulle risorse di shale gas tecnicamente disponibili in Europa segnalano valori superiori rispetto a quelli delle riserve di gas convenzionale. Ma in estate la Eia ha rivisto al ribasso le stime catalogando come risorse «tecnicamente estraibili» solo quello che rispondono ad una serie di criteri più stringenti rispetto alle valutazioni precedenti: non possono essere conteggiati giacimenti che presentino caratteristiche degli scisti sconosciute o che si trovino ad una profondità superiore ai 5 mila metri.
Lo sfruttamento dei giacimenti di shale gas in Europa appare difficile per una serie di fattori. «Nel valutare la possibilità di sviluppo dello shale gas in Europa, occorre anche tenere in considerazione la diversa densità abitativa, in media molto superiore a quella degli Stati Uniti (negli Usa la è in media pari a 32 persone per chilometro quadrato, a fronte delle 101 in Francia, 122 in Polonia, 227 in Germania e 258 in Gran Bretagna). In situazioni a maggior densità abitativa, a parità di altre condizioni, l’estrazione di risorse dal sottosuolo risulta più complessa oltre che più costosa», si legge nel documento di Bnp. Infatti l’estrazione di shale gas ha aspetti piuttosto invasivi (necessità di utilizzare grosse quantità di acqua e abbondanti residui da smaltire). Ci sono, poi, i timori sull’utilizzo di sostanze chimiche potenzialmente dannose per la salute che potrebbero contaminare le falde acquifere presenti intorno all’area di estrazione (per quanto evenienze simili siano state estremamente rare e limitate).
È una serie di fattori che mostra come le prospettive di sviluppo dello shale gas su larga scala nel Vecchio continente sia «poco probabile» – anche se per Tim Boersma, responsabile del programma Energy Security Initiative di Brookings Institution «il boom dello shale gas americano non può essere replicato in Europa». Sulla sponda occidentale dell’Atlantico «una combinazione di fattori come una favorevole conformazione geografica del territorio, accesso alle infrastrutture, industrie già all’avanguardia nel settore del fracking e una politica fiscale favorevole hanno reso possibile il successo dello shale gas». L’unica «corrispondenza tra Stati Uniti ed Europa è l’esistenza di un grande mercato» che ha sete di energia a costi più bassi.