Il buonismo di Fazio si scontra con la noia di Sanremo

Il festival della canzone italiana

«Buonista? Io non ne posso più di questa parola, “buonista”. Mi sono proprio rotto le palle». Il 64esimo Festival della canzone italiana sarà ricordato per due cose su tutte: lincursione di Beppe Grillo e per la frase qui virgolettata, pronunciata da Fabio Fazio oggi. Uno sfogo che non era previsto, un’incazzatura in piena regola, quasi una liberazione. Peccato che, nonostante questo, non ci siano stati altri sussulti nella dinamica del Festival. L’unica nota positiva sono state le interpretazioni, finalmente a un livello accettabile rispetto alle ultime edizioni. Traduzione: si può solo sperare che lintero Sanremo 2014 migliori prima della sua fine.

Gli ascolti sono tutto. O quasi. Nella fagocitante Sanremo, tutto dipende da quanti milioni di persone fai ogni sera. E chissenefrega del resto. Poco importa. Il problema, per Fazio, è che questanno, complice una ricetta poco innovatrice e senza mordente, la flessione è stata notevole. Dai circa 12 milioni di telespettatori della prima sera, si è scesi a meno di 9 milioni. Un mezzo flop, quindi. Nonostante i vertici Rai continuino a difendere loperato del duo composto da Fabio Fazio e Luciana Littizzetto, è evidente che il responso del pubblico sia diverso. Su Twitter e Facebook, i due social network più usato per commentare il Festival, gli sfottò non sono mancati. Anzi, sono stati tra i più pesanti degli ultimi quattro anni. Sia le scelte musicali degli artisti in gara sia gli ospiti hanno suscitato lironia di molti telespettatori, che poi si sono sfogati sui due social. E dire che, per loccasione, la Rai aveva deciso di puntare proprio su Twitter, con laccount @garaditweet. In pratica, quasi un boomerang.

Ok, lo sfogo è stato significativo, ma ben più di un giornalista in sala stampa si attendeva un cambio di registro nella conduzione. Sarebbe stata la naturale prosecuzione del percorso iniziato nella conferenza stampa di metà giornata. Invece no. E non ce ne voglia Fazio, ma il Festival del “perbenismo” può anche lasciare il testimone a qualcosa di più rivoluzionario. Se ne parla da tanto, ma alla fine nessuno prova a osare. Il risultato è quello che vediamo. Tralasciando il pubblico dei talent-show, bisogna porsi alcune domande. La prima è rivolta alle case discografiche: come pensano di adeguarsi allinnovazione musicale? Come pensano di promuovere i singoli interpreti? Come pensano di creare nuove star in modo duraturo? Tutte questioni, per ora, senza risposta. Sanremo è una vetrina, e proprio per questo dovrebbe essere sfruttata al meglio. La classifica parziale, definita dal televoto, è esemplificativa del panorama musicale italiano. In una parola: desolante. 

Ma Sanremo è soprattutto canzoni. E dopo due serate musicalmente sotto le aspettative, ecco che si risolleva tutto. La terza serata diventa inaspettatamente frizzante e piacevole. I big in gara, che hanno riproposto le loro canzoni vincitrici del primo turno di eliminazione, hanno dimostrato di aver superato lemozione della prima sera, più dedicata a Grillo che alle canzonette. Su tutti hanno mostrato di aver rimediato agli errori iniziali Francesco Renga e Giusy Ferreri, capaci di sfornare interpretazioni al livello della loro fama. Stesso discorso per Cristiano De André, che è sempre più tra i favoriti per la vittoria finale. Deludenti invece i Perturbazione, che sono apparsi molto appannati rispetto la loro prima sera, complici un paio di stecche che sicuramente non erano in programma. Molto maturato, invece, Renzo Rubino. Peccato che sembrasse tarantolato mentre suonava il pianoforte. Per la serie, dategli del Valium. 

Il migliore della terza sera? Sicuramente Davide Combusti, alias The Niro. No, nessuna parentela con Robert De Niro, come ha sottolineato Combusti in conferenza stampa. Ottimo musicista, ottimo interprete, ottimo nella presenza scenica. E gli altri? Poco o nulla. Buono Francesco Di Gesù, così come Francesco Renga, Raphael Gualazzi e Giuliano Palma. Meno positivi Noemi, intrappolata nella sindrome da X-Factor, e Arisa, più impacciata che nella precedente interpretazione. Chi vincerà? «De André», dicono in tanti. Si vedrà.

Il momento più bello? Duplice. Il primo è stato rappresentato dal ricordo di Claudio Abbado. Commovente è dir poco. Il giusto tributo a un direttore d’orchestra che ha cambiato la storia. Il secondo, vedere che lintera platea dellAriston in piedi durante la performance di Renzo Arbore. Accompagnato dallOrchestra Italiana, l’Arbore di “Quelli della notte” ha fatto furore. «Manco fossimo a Little Italy», ha commentato in modo ironico qualcuno dalla sala stampa. Forse un po’ trash, sicuramente macchiettistico, molto genuino. Anche questo è Sanremo. E per fortuna che è così. 

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