Qualche giorno fa è apparso su Medium, poi ripreso sul sito di Internazionale, un articolo firmato da Julian Smith, un amministratore delegato che intendeva svelare il proprio metodo per riuscire a leggere 52 libri l’anno, ossia uno a settimana. Confesso di averlo trovato piuttosto discutibile. Sono felice per il signor Smith e per i suoi traguardi, concordo sull’entusiasmo verso la lettura e i suoi benefici, ma metto in dubbio l’universalità della ricetta.
L’articolo mi ha fatto però riflettere sulle ragioni per le quali la gente legge poco.
La motivazione più diffusa, direi quella standard, è la seguente: «Mi piacerebbe tanto leggere, ma non ne ho mai il tempo». Dopo anni che me la sento ripetere ho capito che chiunque pronunci questa frase stia mentendo. E la menzogna non risiede nella seconda parte («…non ne ho mai il tempo»), ma nella prima («Mi piacerebbe tanto leggere…»).
Quello per leggere è uno dei momenti più difficili da trovare in una comune giornata. Qualunque impegno (e intendo proprio qualunque) risulta più pressante e ineluttabile se paragonato alla lettura. In primo luogo perché la lettura è sempre rimandabile, mentre svariate altre attività non lo sono (fare la spesa, stirare, lavare, cucinare, portare la macchina dal meccanico, prendere i figli a scuola, sono necessità pratiche che richiedono la nostra più immediata presenza).
Inoltre la lettura è uno spazio sempre adattabile (posso leggere due pagine o venti o centocinquanta), dà l’impressione di poter essere agilmente recuperato (leggo stasera prima di dormire), mentre altre attività, anch’esse ascrivibili al piacere o al benessere personale, non lo sono (non posso andare in palestra solo cinque minuti o dal parrucchiere stanotte).
Infine la lettura, in quanto occupazione inesorabilmente solitaria, implica una sensazione di egoismo che è difficile da sostenere con serenità. Una madre che esasperata dal caos domestico si chiude in cucina a stirare prenderà questo piccola azione di barricamento come legittima e giustificata; la stessa madre che si chiude marito e figli fuori dalla camera da letto per leggere mezzora in santa pace lo percepirà come un lusso che è ingiusto concedersi.
Dunque, come se ne esce?
Io credo che, come per tutte le cose, ognuno debba trovare la propria soluzione, applicando una metodologia che forse non è valida per gli altri ma può funzionare per sé.
Quando qualcuno mi dice «Mi piacerebbe tanto leggere, ma non ne ho mai il tempo», io penso sempre una sola cosa: «No, non ti piace abbastanza». Perché io lo adoro e quindi lo trovo, così come trovo quello per mangiare o per fare l’amore. Certi spazi si trovano.
Le persone che si lamentano per la scarsità del tempo a disposizione sono spesso le stesse poi ti vengono a dire che la sera prima non c’era alcun programma decente in tv, testimoniando inconsapevolmente che l’ipotesi di spegnere l’apparecchio e preferirgli un libro non è stata presa neanche in considerazione, o che durante i viaggi in treno passano il tempo a mandare sms. E potrei fare numerosi esempi analoghi.
Julien Smith propone come formula vincente per leggere circa un libro a settimana un regime severissimo: darsi l’obiettivo di 40 pagine al giorno. Ma è implicito che ne parli da privilegiato, da uno che può concedersi di sedersi ogni mattina al bar e leggere la sua dose prestabilita di libro, come infatti dichiara. Nel mondo reale le cose sono differenti.
La disciplina, certo, è una soluzione possibile. Che siano 5, 10, 100 pagine (ognuno di noi ha la sua velocità), se uno stabilisce un traguardo personale quotidiano e si impegna per conseguirlo può ottenere il suo risultato. Nel mio caso non funzionerebbe, sono indisciplinato per natura, un maestro nell’arte di trovare alibi e procrastinare, lascio dunque i fioretti monacali alle personalità in grado di gestirli. Ho anche l’impressione però che la mia condizione sia piuttosto diffusa, che quasi tutti siamo un po’ così. Tuttavia, malgrado questa mancanza di forza di volontà io riesco a leggere più di un centinaio di libri all’anno. Come faccio?
Il mio metodo è semplice e si riduce a un solo precetto: porto sempre un libro con me. Per quanto mi riguarda non c’è tragitto breve abbastanza (una fermata di metropolitana equivale a una pagina o due), non c’è attesa che meriti di essere sprecata (dal dentista, in posta, a un colloquio di lavoro), non c’è opzione ritardo che non possa essere calcolata (quando vado a prendere qualcuno in stazione o all’uscita dal lavoro). I momenti dedicabili alla lettura in questo modo spuntano come funghi.
Tenere un libro di racconti nel cruscotto della macchina, per esempio, a volte si rivela essenziale: bloccati da un ingorgo in autostrada, gli altri che strombazzano, tu che ti immergi in un altro privatissimo, universo. Ha del miracoloso. E se una volta c’era il possibile fastidio delle dimensioni e del peso del volume da portarsi dietro, oggi l’avvento dell’e-reader ha eliminato anche queste eventuali seccature.
Ribadisco: non penso che questa sia una soluzione universale. C’è chi non è in grado di sopportare letture frammentarie o ha bisogno di maggiore concentrazione. Come enunciavo prima, credo che a ognuno spetti il compito di trovare la propria. Io dico solo che è possibile trovarne.
E alle persone che ho incontrato direttamente, a quelle che nel corso del tempo mi sono venute a dire la fatidica frase «A me piacerebbe tanto ma…», ecco, finalmente posso svelarvelo: con me non attacca.