Strana condizione quella dell’Italia in materia di diritti civili, sicurezza e bioetica: la recente sentenza della Corte Costituzionale che ristabilisce la differenza fra droghe pesanti e leggere rendendo in parte vana la famosa legge Fini-Giovanardi, è infatti solo l’ultimo episodio di una battaglia culturale durata circa un ventennio e non ancora conclusa. Fra i risultati collaterali ma non troppo della sentenza, come è noto, c’è anche quello di dover ricalcolare le pene per circa 10mila detenuti, il che vuol dire, in concreto, affrontare indirettamente il tema del sovraffollamento delle carceri (tema caro trasversalmente a mondi diversi come la Caritas e il partito radicale). Ma la questione riguarda anche altri ambiti come la legge 40 sulla procreazione assistita, il testamento biologico, l’eutanasia, il riconoscimento dei diritti delle coppie gay, la messa in discussione della legge 194 sull’aborto, la mancata estensione della cittadinanza agli immigrati e ai loro figli.
Non è allora davvero un caso se fra i paladini delle posizioni più intransigenti intorno a questo gruppo di questioni tanto rilevanti, troviamo anche Carlo Giovanardi, esponente della destra cattolica italiana, che in particolare si è distinto sui temi bioetici. Le sue dichiarazioni spesso urticanti hanno provocato nel tempo polemiche e scontri, ma di fatto, dal ‘no’ alle droghe leggere alla battaglia per impedire che venisse abrogata la legge 40, l’ex parlamentare democristiano, del Ccd, Udc poi senatore Pdl fino ad aderire al Nuovo centro destra di Angelino Alfano, è stato sempre in prima fila nel rappresentare un cattolicesimo che era tradizionalista e arrembante allo stesso tempo. Sono stati, quelli della seconda Repubblica, gli anni in cui, sotto la guida del cardinale Camillo Ruini, le gerarchie ecclesiastiche italiane in accordo con i settori più integralisti delle organizzazioni cattoliche, hanno provato a costruire una sorta di egemonia culturale conservatrice e rampante.
I terreni di scontro prediletti sono stati quelli della bioetica, della famiglia, dei diritti. Di questa lunga controffensiva fa parte la battaglia astensionista promossa da Ruini sul referendum abrogativo della legge 40 nel 2005, il cardinale con una mossa strategica di grande abilità trasforma il mancato raggiungimento del quorum in una bocciatura tout-court del quesito abrogazionista. Anche appuntamenti come il family day del 2007, in cui vescovi e famiglie scesero in piazza in una sorta di orgoglio cattolico, fanno parte di questo percorso. Nell’occasione piazza San Giovanni fu riempita di famiglie e i cui slogan erano quelli della libertà educativa – cioè dell’equiparazione fra istruzione privata-cattolica e pubblica – del sostegno economico alle famiglie oltre che del ‘no’ senza eccezioni al riconoscimento dei diritti per le coppie omosessuali.
In questo contesto nacque pure l’araba fenice del ‘fattore famiglia’ quale nuovo parametro fiscale per cui il riferimento per le tasse doveva più essere solo il contribuente ma l’intero nucleo famigliare, quest’ultimo aveva diritto a ricevere le maggiori agevolazioni al posto dei ‘single’. Un meccanismo in realtà assai complicato da costruire visto che poi è il reddito individuale a determinare i parametri fiscali e la scala sociale. Eppure a lungo molte associazioni cattoliche hanno vagheggiato quest’obiettivo.
A intuire che la Chiesa poteva dettare una propria agenda politica e intervenire in prima persona nel dibattito pubblico fu ancora il cardinale Ruini che colse prima di altri le implicazioni enormi nel crollo della prima Repubblica e degli equilibri internazionali che l’avevano sostenuta. Finì l’autonomia dei politici dalla Chiesa, paradossalmente, nel momento in cui scompariva il grande partito dei cattolici. Questa aveva avuto almeno due fasi rilevanti: la prima con la svolta del 1952 quando Alcide De Gasperi, rifiutò di obbedire a Pio XII che gli chiedeva di allearsi con i neofascisti pur di non far cadere l’amministrazione di Roma nelle mani della sinistra (ebbe ragioni De Gasperi a mantenere la pregiudiziale antifascista e a convogliare tutti i voti centristi); quindi il Concilio Vaticano II sancì definitivamente l’autonomia dei laici dalla Chiesa. Ma con Giovanni Paolo II le cose cambiano, il modello ridiventa quello della Chiesa interventista e quando inizia la seconda Repubblica Ruini è pronto.
I risultati non sono stati eccezionali, di fatto il modello integralista non ha ottenuto – tranne pochi casi – provvedimenti particolari. Però è riuscito a bloccare ogni progresso civile del Paese, a mettere in stato di stallo l’Italia sul fronte delle nuove forme di cittadinanza e a bloccarne, in sostanza, la modernizzazione sotto il profilo dei diritti individuali. In questo quadro, fra l’altro, esponenti ciellini dell’Ncd alfaniano come Mario Mauro e Maurizio Lupi, possono decidere di non attenersi alla dottrina sociale della Chiesa o al magistero del Papa sull’immigrazione, rispondono invece a una linea tradizionalmente poco incline alle aperture (il Ncd rifiuta lo ius soli). E d’altro canto da Eugenia Roccella a Maurizio Sacconi, da Maurizio Gasparri a Alfredo Mantovano, non pochi sono stati gli esponenti del centrodestra che hanno spalleggiato fino a ieri la Chiesa dei principi non negoziabili per ritrovarsi, oggi, sostanzialmente orfani nella Chiesa bergogliana.
Né, però, ci si può limitare a chiamare in causa la sola Comunione e liberazione. Se sull’immigrazione si registravano negli anni della crescita leghista di Bossi e Maroni differenti prese di posizione fra gli stessi cattolici, nel’ambito dei nuovi diritti e della bioetica, dall’Azione cattolica a Cl, a Famiglia cristiana, al Forum delle famiglie, il blocco laico dei cattolici ha trovato sempre una sua compattezza. Così, fino ad ora, la politica è stata incapace di recuperare una propria visione forte sul fronte della persona e dei suoi accresciuti diritti (con annessi i doveri che questi comportano); il che vale anche nel centrosinistra che sempre ha sbandato fra compiacenza strumentale delle gerarchie (mal ricambiata) e dubbi e prudenze cattoliche. Ma il sostanziale fallimento nei fatti del progetto egemonico ruiniano, la svolta pastorale e sociale – oltreché internazionale – imposta dal nuovo Papa, la fine della centralità italiana nel potere ecclesiale, mettono in discussione schemi prefissati, bisognerà vedere se la politica, anche quella rottamatrice, saprà cogliere l’occasione.