Chissà se vincerà il Premio Nobel per la pace, a cinque anni esatti di distanza da Barack Obama. Intanto però Edward Snowden, il whistleblower che ha svelato al mondo i piani occulti di sorveglianza internazionale della National Security Agency, è entrato del novero dei nominati che si giocheranno l’importante riconoscimento, assegnato in passato anche a Nelson Mandela, Madre Teresa e Martin Luther King.
Questa candidatura al Nobel, sponsorizzata da due parlamentari norvegesi (che hanno comunicato la loro decisione al Guardian), è il coronamento di un anno paradossale per Snowden, un anno da da eroe e traditore, da ricercato e osannato, da fuggitivo e salvatore. Oggi, a ricostruire la storia dell’ex dipendente di Booz Allen Hamilton – l’azienda hawaiana dove trascorse le sue ultime quattro settimane lavorative prima di atterrare a Hong Kong ed incontrare Glenn Greenwald – ci prova il giornalista Luke Harding, autore di “The Snowden Files: The Inside Story of The World’s Most Wanted Man”, libro che cerca di ricostruire il profilo psicologico dell’esperto informatico dal 2000 al 2013, l’anno in cui «Ed» ha deciso di cambiare la sua vita una volta per tutte.
Harling ha indagato la vita personale di Snowden, analizzando soprattutto le voci di chi lo ha conosciuto e recuperando informazioni, ironicamente, dalle numerose tracce lasciate dal whistleblower in rete nel corso degli anni su forum e siti specializzati. Risalendo, ad esempio, ai tempi in cui l’informatico scriveva su Ars Technica, uno dei siti tech più influenti degli USA, sotto lo pseudonimo TheTrueHOOHA, rivelando attraverso più di ottocento commenti numerosi aspetti della propria personalità, delle proprie convinzioni sociali e politiche, delle sue vicende personali. La consapevolezza della pervasività dei sistemi di sorveglianza internazionale, e questa è la prima novità, Snowden l’ha acquisita col tempo.
Scopriamo, così, di sapere ancora ben poco del 31enne americano e della sua identità. Harding ci rivela uno Snowden con simpatie repubblicane, orgoglioso possessore di armi, intenzionato a costruirsi una vita nell’esercito. Quello fu, forse, il suo più grande fallimento: nel 2004 si arruolò in Georgia, a Fort Benning. Snowden era attratto dall’opzione militare: «Volevo combattere in Iraq – ha detto – perché mi sentii obbligato, come essere umano, ad aiutare le persone a liberarsi dall’oppressione». Ma il campo di addestramento non andò come sperato, soprattutto a causa di limiti fisici – il ragazzo vedeva poco e aveva piedi troppo stretti – e di un infortunio: durante un’esercitazione di fanteria si ruppe entrambe le gambe, e fu rimandato a casa.
La vera carriera di Snowden cominciò con il suo ritorno nel Maryland nel 2005, dove divenne addetto alla sicurezza presso il Centre for Advanced Study of Language dell’università del Maryland. Il talento indiscutibile del ragazzo, grazie a capacità sviluppate da autodidatta (non ha mai terminato gli studi) nel corso degli anni, lo portò a ricoprire posizioni di rilievo sempre maggiore. Nel 2006 il suo ingresso dalla porta principale della CIA, dove fu assunto per salvaguardare la sicurezza dei computer dei diplomatici in servizio. Visse per un periodo anche a Ginevra, in Svizzera, nell’ambasciata USA, dove ammise di avere visto delle cose che lo «disillusero riguardo alla funzioni del mio governo e del suo impatto nel mondo. Realizzai di essere parte di qualcosa che faceva più danno che bene».
Il tempo trascorso lontano dal paese natale proseguì dopo la CIA, da cui Snowden si licenziò. Un passaggio che segnò il suo ingresso alla NSA, all’interno di una base militare in Giappone. Il periodo trascorso nel Paese asiatico, in cui sognava di vivere sin da piccolo, fu per lui un momento di ulteriore svolta, e trasformò la sua disillusione in necessità di reazione. «L’intento della NSA», rivelò poi, «era quello di venire a conoscenza di ogni conversazione e di ogni comportamento in tutto il mondo». Nel frattempo, il suo genio informatico cominciava ad essere accompagnato da alcuni comportamenti giudicati «eccentrici» dai colleghi: Snowden indossava spesso un cappuccio con una parodia del logo della NSA, girava per i corridoi maneggiando un cubo di Rubick, teneva una copia della Costituzione sulla scrivania.
Il leaking era già nei suoi piani, ma ancora mancava il tassello fondamentale: l’accesso ad una grande mole di informazioni riservate. Quando capitò l’occasione era il 30 marzo 2013, l’offerta di lavoro portava l’intestazione di Booz Allen Hamilton, un grander contractor privato con sede alle Hawaii, con funzioni di manutenzione e consulenza nella NSA. Qui Snowden diventò uno dei 1000 sysadmins in grado di accedere a grandi parti dei file della Agency statunitense come ghost user, ovvero senza lasciare tracce tangibili della sua presenza. Dopo aver raccolto quantità industriali di dati top secret (il “come” abbia tecnicamente raccolto le informazioni e i documenti è ancora oggetto di dibattito), Snowden cominciò a contattare il giornalista Glenn Greenwald e la documentarista Laura Poitras, che sarebbero poi divenuti i due compagni nel suo viaggio più avventuroso: mettere il mondo a conoscenza di PRISM e degli altri sistemi occulti di spionaggio internazionale, compresi quelli dell’agenzia inglese GCHQ.
In “The Snowden Files”, Harding ricostruisce anche tutti i passaggi della collaborazione con Greenwald, inizialmente molto scettico rispetto all’approccio di Snowden («Era troppo vago», ricorda oggi), e del loro primo incontro, in un hotel nel centro di Hong Kong. Tutte le ultime frenetiche ore prima della pubblicazione del video che diventò il più visto della storia del Guardian sono documentate e trasmettono la frenetica eccitazione del momento, quel momento con cui definitivamente Snowden avrebbe smesso definitivamente i panni dell’esperto di sicurezza informatica, geek e un po’ matto, e indossato quelli dell’uomo che, con le sue azioni, ha contribuito a cambiare le dinamiche della modernità a livello politico e sociale.
La nostra conoscenza di questo ragazzo nato in Carolina cominciò per noi proprio da quel video, quell’inquadratura semplice, quel viso pallido di chi sta troppo davanti al computer e poche, elementari parole: «My name is Ed Snowden, I’m 29 years old». La verità, a volte, è così: difficile da scoprire, semplice da comunicare.