Spiragli di ripresa per i pagamenti tra le imprese

La fotografia in tre studi a confronto

«L’outlook 2014 per i mancati pagamenti tra le imprese dovrebbe essere di un lieve miglioramento. Però sarà determinante che il governo metta a punto un piano di riforme strutturali economiche e fiscali per stimolare maggiore occupazione, internazionalizzazione e recupero di competitività del sistema industriale italiano». Iniziando la lettura dall’ultimo paragrafo, il report dei Mancati Pagamenti di Euler Hermes aiuta a vedere il bicchiere mezzo pieno. «L’ulteriore sblocco dei debiti della Pubblica amministrazione e l’allentamento dei parametri di accesso al credito per le imprese – conclude lo studio – potranno garantire quell’ulteriore slancio per ripartire». E qualche ottimismo arriva anche da un report del Cerved appena pubblicato che segnala come, lo sblocco dei debiti della Pa stia portando benefici non solo a molti fornitori della Pubblica Amministrazione, ma a cascata anche sui loro partner commerciali.

Ultimi in Europa

Dunque, c’è da auspicare un cambio di rotta. Attualmente, infatti, l’Italia è il fanalino di coda nelle transazioni commerciali tra le imprese, con il saldo fattura avviene mediamente dopo 96 giorni, contro una media Ue di 49. Il dato emerge da un’analisi della Cgia di Mestre, secondo cui comunque nel 2013 si è fermato il trend al rialzo. 

Meno ritardi, importi più alti

Tornando all’analisi di Euler Hermes, gli indici relativi al 2013 evidenziano una situazione di transizione, con una lenta uscita dalla crisi che penalizza ancora le aree geografiche e i settori meno dinamici. La frequenza dei mancati pagamenti sul fronte domestico è diminuita del 18%, mentre sul mercato estero il calo si attesta al 17 per cento. All’opposto sale l’importo medio dei debiti non onorati, sia sul mercato domestico (+9%) che all’export (+6 per cento). Se si allunga lo sguardo all’indietro, a considerare tutto l’arco della crisi (2008-2013), il valore medio del debito non onorato in Italia è cresciuto addirittura del 78 per cento. Un balzo che gli autori della ricerca attribuiscono essenzialmente a due fattori: la contrazione della crescita economica e il credit crunch finanziario.

Dopo un “effetto scrematura” avvenuto nella prima parte della crisi, con l’uscita di scena di molti piccoli operatori, oggi sono le aziende medio grandi a soffrire, con margini di resistenza che si assottigliano sempre di più. La leva del credito è sempre più sotto pressione: da un lato le aziende devono fronteggiare gli eventuali ritardi o mancati pagamenti, dall’altro, per dare vita al business, devono comunque far fronte agli impegni di breve termine, come i pagamenti delle materie prime e dei fornitori. Il tutto comporta una riduzione della liquidità che va ad indebolire ulteriormente la situazione finanziaria dell’azienda.

Siderurgia in ginocchio

Il gruppo tedesco dell’assicurazione crediti dedica un paragrafo dello studio all’analisi settoriale e regionale. Si scopre così che nel mercato interno sono soprattutto la siderurgia e commodity a mostrare le maggiori difficoltà sul fronte insoluti e degli importi medi, la prima penalizzata dalla crisi dei mercati di sbocco come l’edilizia e l’automotive, la seconda alle prese con la volatilità dei prezzi delle materie prime. Nel mercato estero, a crescere sono soprattutto i mancati pagamenti nelle costruzioni (penalizzate dal rallentamento di Francia e Germania) e nell’automotive (calo della domanda proveniente dall’Est Europa). All’opposto, i settori che tengono maggiormente sono il food e il tessile, in entrambi i casi grazie soprattutto alla forza dell’export.

A livello regionale, è l’Emilia-Romagna a primeggiare nell’infausta classifica relativa agli importi medi non saldati, con una quota di 35mila euro, davanti alla Lombardia (31mila euro) e al Lazio (29mila).

L’azienda anziana è più affidabile

Sempre a proposito di affidabilità nelle relazioni commerciali è interessante il quadro che emerge da una recente analisi di Cribis D&B. Il profilo più virtuoso è relativo alle realtà di grandi dimensioni, localizzate nel Nord-Est, costituite prima del 1951 e con un imprenditore donna. Risultati che emergono passando al setaccio i database proprietari della società e calcolando la probabilità di generare insoluti commerciali nei dodici mesi successivi al momento della rilevazione.

Negli ultimi sei anni, la quota dei partner commerciali affidabili è crollata dal 9,53% del totale 2008 al 5,98% di fine 2013 (passando per il 6,08% di fine 2012), con un calo di 3,55 punti percentuali.

La quota di aziende affidabili dall’inizio della crisi | Create Infographics

Le grandi realtà sono i migliori partner commerciali B2B, con una quota pari al 35,36% del totale delle imprese più affidabili, pur rientrando in questa classe dimensionale solamente lo 0,14% delle imprese italiane. Più si scende di dimensione più cala la solidità delle imprese. Le medie si posizionano infatti al secondo posto (32,04% di imprese affidabili). Seguono le piccole (16,38%) e le micro con solo il 5,16%. Queste ultime però hanno un’incidenza sul totale delle imprese italiane del 95,27%. Approfondendo l’analisi sulla base dell’anzianità delle imprese, sono quelle fondate prima del 1951 a essere risultate maggiormente affidabili (con una quota pari al 34,66% del totale dei partner commerciali migliori). Al top dell’affidabilità si trova il 7,24% di aziende a guida femminile contro il 3,92% di quelle a guida maschile.

A livello settoriale sono i servizi finanziari ad aver fatto registrare a fine 2013 una maggiore percentuale di migliori partner commerciali B2B (19,89% del totale delle imprese virtuose rispetto al totale di quelle operanti nel comparto). Seguono l’industria estrattiva (13,68%) e i servizi vari (7,99%). In coda c’è l’edilizia (1,30%), che fa peggio anche dei trasporti e della distribuzione (2,77%).

Scendono i protesti

Un’altra ricerca condotta dal Cerved offre un quadro in miglioramento sul fronte dei protesti. Nel corso del terzo trimestre 2013 (ultimo dato disponibile), questa procedura ha coinvolto 62mila aziende italiane, il 6% in meno rispetto allo stesso periodo del 2012. Si tratta del primo calo dopo sette trimestri consecutivi al rialzo.

Questo miglioramento è da attribuire soprattutto alla contrazione tra le imprese individuali. Tra le società, la situazione risulta in miglioramento soprattutto nella categoria classificata come “altri settori” (aziende che operano nell’agricoltura, nel ramo dell’energia e utility e società non classificate), che registra un calo dei soggetti protestati del 13% su base annua.

In termini assoluti le costruzioni si confermano il comparto con la maggiore presenza di imprese con almeno un protesto: l’1,5% delle realtà appartenenti al settore, contro lo 0,9% dell’industria e lo 0,8% dei servizi.

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