2011-2014, quei due ghigni paralleli sull’Italia

Il primo Consiglio Ue di Renzi

Trafitti dal sorriso, per la seconda volta, noi italiani peccatori e spendaccioni, noi profeti del deficit irredimibili e impenitenti. Nel 2011 trafitti perché Angela Merkel e Nicolas Sarkozy si scambiavano sguardi sarcastici mentre rispondevano a una domanda sull’Italia di Silvio Berlusconi. Nel 2014 crocifissi perché Manuel Barroso e Herman Van Rompoy arricciano le loro boccucce e incrociano gli occhi con un cenno di intesa mentre stanno rispondendo ad una domanda sull’Italia di Matteo Renzi

Pochi hanno notato un fatto che purtroppo a me pare lampante: il filo conduttore che unisce questo due ghigni beffardi fino a farli apparire paralleli e sovrapponibili, come due fotocopie su carta velina, ci impone una riflessione supplementare su entrambi. Si potrebbe infatti cadere vittima di una sorta di doppiopesismo retroattivo per cui la sinistra che nel 2011 aveva gioito per lo smacco del Cavaliere adesso è presa da arrembanti e indignati propositi nazionalistici. Mentre la destra, che all’epoca aveva gridato all’euro-golpe, adesso dice: ben gli sta a quel cialtrone.

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Due pensieri rassicuranti e sbagliati. E invece, l’incrocio ex-post tra queste due rasoiate di sarcasmo deve gettare più luce su entrambi, ci deve far pensare che i sentimenti anti-italiani in questo due episodi prevalgono nettamente su quelli politici. Ma anche che non solo calunnie, ma piuttosto dubbi che hanno una fortissima giustificazione. Se per un attimo provi a dimenticarti di Renzi e Berlusconi, infatti, devi immaginarti cosa rappresentano (e cosa rappresentiamo noi italiani) per l’Europa: Renzi e Berlusconi sono i leader con il più alto debito del continente, soprattutto fra Paesi importanti, subito dopo in fanalino di cosa della Grecia. E sono i presidenti del consiglio che si presentano a bussare alle porte dell’Europa, portandosi sempre dietro un sogno da piazzista, un’idea sfavillante su cui convincere i partner ad allentare i cordoni della borsa. Insomma, siamo pieni di debiti, ma vogliamo sempre andare dai parenti ricchi a chiedere un prestito per poter pagare le rate della macchina nuova, della casa delle vacanze con piscina, di qualcosa che sembra sempre al di là del nostro tenore di vita. Non conosciamo vie di mezzo: o il rigorismo estremo e sacrificale di Monti (e un po’ anche di Letta), o il trillo di cicala degli ottimisti spendaccioni.

Certo, potremmo dire: ma anche la Francia sfora il vincolo del 3%, anche la Spagna. È vero. Però nessuno di questi Paesi, quando vive una condizione di prostrazione, pensa di poter fare la vita dei ricchi: ecco perché quei due ghigni, che come italiano mi fanno incazzare, e come cittadino fazioso mi regalano a momenti alterni una croce e un sorriso di soddisfazione indebita, dovrebbero invece farmi pensare che c’è qualcosa che non va in noi. Forse dovremmo interrogarci sull’idea che l’Italia sfugge ai suoi problemi – a prescindere dai leader che la governano – con la sempiterna medicina del populismo. Abbiamo fatto salti mortali per tagliare l’Imu, e non ce lo potevamo permettere, e poi abbiamo creato trecentomila esodati come effetto collaterale di una riforma delle pensioni da ultima spiaggia. Adesso vogliamo tagliare le imposte e mettere ottanta euro nelle buste paga di un milione di italiani, ma non sembra che  ci poniamo il problema della sostenibilità, prima di quello della convenienza: forse per questo siamo italiani. Forse per questo facciamo un po’ ridere. Forse per questo penso che l’euroscherno sia un sentimento volgare, che però dovrebbe farmi riflettere.

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