Fin dove può arrivare papa Francesco? Fino a che punto può spingersi nel suo tentativo di riforma della Chiesa? Le domande cominciano ad affollarsi quando si compie il giro di boa del primo anno di pontificato. L’intervista al Corriere della Sera ha aperto in modo nuovo e irrituale il consueto coro mediatico celebrativo dell’elezione al Soglio di Pietro avvenuta il 13 marzo del 2013; tanto che la ricorrenza non sembra avere in sé nulla di scontato. Francesco ha trovato una Chiesa in declino, ripiegata su sé stessa, scossa da scandali, fortemente conservatrice e in ritirata. Non ha perso tempo, l’ha raccolta e l’ha guidata con piglio deciso verso una controffensiva che ha un obiettivo di fondo: ricollocare il cattolicesimo romano al centro della scena restituendogli senso e capacità di relazione con i popoli di quest’epoca. Così le battute forse più inaspettate del colloquio fra papa Francesco e il direttore del Corsera riguardano due temi classici del dibattito pubblico – prevalentemente occidentale – in cui si era incagliata la Chiesa cattolica: le unioni civili e la bioetica. In breve il Papa ha mostrato una netta e clamorosa apertura su entrambi i fronti. Per la Chiesa, ha ripetuto, il matrimonio è fra uomo e donna ma in merito alle unioni civili, qualora si tratti di riconoscere determinati diritti, “gli Stati laici” trovino le soluzioni adeguate valutando i diversi casi.
In quanto alla bioetica, il Papa ha colpito di nuovo i valori non negoziabili affermando che questi “non esistono”, (non esiste una scala fra i valori ha spiegato), e sul fine vita (cioè sugli stati vegetativi non sull’eutanasia) si è spinto a dire che “nessuno è obbligato a usare mezzi straordinari quando si sa che è in una fase terminale. Nella mia pastorale, in questi casi, ho sempre consigliato le cure palliative. In casi più specifici è bene ricorrere, se necessario, al consiglio degli specialisti”.
Dunque il Papa si occupa di Europa anche se in apparenza si dedica solo ad altro. Ma in particolare queste due risposte – e le loro precedenti elaborazioni in altri documenti – avevano a che fare con l’Italia. È noto infatti che in merito al riconoscimento di un nucleo di diritti essenziali per le coppie di fatto (etero e omosessuali) quasi tutti i Paesi del vecchio continente e molti in America Latina, hanno già trovato soluzioni legislative; in certi casi poi – Argentina compresa – è stato approvato il matrimonio omosessuale al quale Bergoglio già da arcivescovo si oppose.
Ma in generale, il rifiuto deciso di una Chiesa concentrata unicamente sui divieti sessuali e bioetici costituisce per il Papa un tassello importante in quella nuova proiezione del cattolicesimo e della fede verso il mondo, fuori dalle logiche di una guerra ideologica fra “pro life” e anticlericali che ha costretto la Chiesa ad allearsi con la destra repubblicana negli Usa e con quella berlusconiana in Italia. Il risultato è stato, negli Stati Uniti, che per due elezioni presidenziali consecutive la maggioranza dei cattolici ha votato per Obama. In Italia ha prodotto due esiti estremi: alla stagione dell’invadenza nella sfera pubblica rischia infatti ora di succedere quella dell’irrilevanza di un episcopato improvvisamente ritrovatosi senza ruolo e talmente ideologizzato da essere incapace di sintonizzarsi con il nuovo pontificato. Secondo Massimo Faggioli, il Papa ha chiuso l’epoca della lunga guerra fra la Chiesa e la rivoluzione dei costume degli anni Sessanta. Giuliano Ferrara contesta invece la svolta ‘misericordista’ del vescovo di Roma e difende quei valori non negoziabili di cui è stato uno dei più fieri sostenitori in Italia.
Nel frattempo le chiese locali in Africa, Asia, America Latina non sembravano più in grado di seguire l’intransigenza normativa di Roma e quest’ultima assomigliava sempre più alla capitale del cadente impero ottomano: le direttive continuavano a essere emanate, i dicasteri sfornavano ponderosi documenti bioetici, ma in pochi ormai osservavano quei diktat dal linguaggio spesso involuto privi di nesso con una realtà tanto frastagliata o inservibili nel dialogo con il mondo. È dunque in un contesto fortemente drammatico per il futuro della Chiesa che Bergoglio è stato eletto da un’ampia maggioranza – comprendente conservatori e liberali – al conclave dello scorso anno. In questi dodici mesi ha rimesso al centro della rotta della barca di Pietro il sud del mondo, i temi critici della povertà, della solidarietà, di un sistema finanziario giudicato dal nuovo pontefice antievangelico e produttore non solo di ingiustizie ma di una cultura disumana, negatrice dell’amore cristiano. Ha parlato di immigrazione e giustizia, ha rimesso in gioco l’opzione preferenziale per i poveri (nata nel contesto ecclesiale latinoamericano), ha contestato l ‘idolatria del denaro e quella che ha definito “l’economia dell’esclusione”, ma soprattutto ha lanciato una sorta di ciambella di salvataggio per i credenti: il modello della Chiesa ospedale da campo.
«I preti – mi permetto la parola – ‘asettici’ quelli ‘di laboratorio’, tutto pulito, tutto bello, non aiutano la Chiesa! La Chiesa oggi possiamo pensarla come un ‘ospedale da campo’. Questo scusatemi lo ripeto, perché lo vedo così, lo sento così: un ‘ospedale da campo’. C’è bisogno di curare le ferite, tante ferite! Tante ferite! C’è tanta gente ferita, dai problemi materiali, dagli scandali, anche nella Chiesa… Gente ferita dalle illusioni del mondo…Noi preti dobbiamo essere lì, vicino a questa gente. Misericordia significa prima di tutto curare le ferite» (omelia di Santa Marta dl 6 marzo).
Indubbiamente Francesco ha raccolto un consenso così vasto che non può essere declassato – se non da letture superficiali – a un’operazione di marketing. Nel suo successo c’è anche il ritorno sulla scena mondiale di una leadership finalmente autorevole e in grado di porre temi universali comprensibili a tutti. Per questo pure ha cambiato modalità di comunicazione, ha rilasciato interviste, ha dipinto un Papa “essere umano normale”, come gli altri, ha cominciato a smobilitare gli apparati curiali e la corte che li accompagnano. Ha mostrato con l’esempio cosa voglia dire stare in mezzo alla gente. Il grande esercito cattolico si è almeno in parte risvegliato, ha trovato le ragioni per rimettersi in marcia. Nel frattempo, tuttavia, Francesco ha avviato un profondo lavoro di rinnovamento della Curia romana e ha rilanciato in grande stile la diplomazia vaticana. Quest’ultima prima si è vista restituire onori e incarichi, poi ha cominciato a giocare sul piano geopolitico. L’America Latina, il Medio Oriente, la Cina, la crisi Ucraina, quella siriana, sono stati altrettanti dossier sui quali la Santa sede ha detto – direttamente o indirettamente – la sua.
Riuscirà allora l’opera? Francesco ha lanciato la sfida di un doppio sinodo che assomiglia – nonostante i dinieghi – a una piccolo concilio sui temi della famiglia e della sessualità. Ha forzato i tempi sulla riforma della gestione finanziaria del Vaticano – un lavoro ancora in corso e non facile – ha deitalianizzato la Curia portando a Roma cardinali che rappresentassero al meglio le istanze di una Chiesa universale. A vederla così sembra che Bergoglio sia davvero intenzionato a colmare quei 200 anni di ritardo della Chiesa denunciati dal cardinali Carlo Maria Martini nel suo testamento spirituale. Il rischio reale, però, è che molte delle iniziative intraprese restino legate alla sua persona, al suo carisma. Se è vero che gli inneschi ormai sono accesi e, come ha già voluto precisare uno degli uomini più vicini al Papa, il cardinale Maradiaga, indietro non si torna, è altrettanto evidente che per ora l’eccezionalità del protagonista sembra prevalere su tutto. E ancora resta l’incognita di tante chiese locali dove il nuovo corso romano viene annacquato, respinto, ignorato, dove sorgono opposizioni silenziose e una parte del clero non ha alcuna intenzione di rinunciare ai propri privilegi. La battaglia, insomma, è appena cominciata.