Che bambola!

LINK YOUNG

Era il nove marzo del 1959 e tra gli stand della Fiera del giocattolo di New York fece la sua prima apparizione la bionda signorina Barbara Millicent Roberts, attirando l’attenzione degli sguardi tutto intorno. Era la Barbie e da quel giorno i giocattoli del mondo intero ebbero una nuova, agguerrita concorrente, capace di conquistare i desideri delle bambine di ogni continente e le follie dei collezionisti di ogni terra. E con lei la casa di Barbie, il camper di Barbie, il cavallo di Barbie, i vestiti di Barbie e tutto il resto, compreso Ken.

Il racconto

SPECCHIO DELLE MIE BRAME

«Specchio…» Esclamò la perfida regina, con voce impostata e tono solenne, come se sapesse che quella scena qualcuno l’avrebbe poi filmata oppure scritta in un libro.

«Specchio… Specchio delle mie brame, – esclamò – chi sarà mai, se non io, la più bella del reame?!» Così dicendo, la regina si ammirava e rimirava nel riflesso scintillante, battendo le palpebre in fretta per far svolazzare le ciglia, e ravvivando le gote con un tocco di cipria.

Non ci pensò più di tanto, lo specchio, prima di rispondere:

«Invece no! – Ribatté, beffardo – Non sei tu la più bella, regina mia…»

Non ti dico il gelo che riempì la stanza.

«Non sei tu la più bella – ripeté, tanto per essere chiari – ma ce ne’è un’altra un bel po’ più bella di te.» E fece fatica a trattenere un ghigno, quel sadico specchio, mentre i polpastrelli della regina cominciavano a tremare e le vene sul suo collo a gonfiarsi.

«E chi sarebbe mai, – strillò la regina, in preda alla collera – questa sfacciata che osa essere più bella di me?!»

«Si chiama Barbara – rispose solerte lo specchio, che si era rifatto serio e professionale – Barbarella, Barbaruccia… Barbie per gli amici.»

«Barbie?! – Sussultò la sovrana – E che nome è, Barbie?!»

«E che ne so? – Ribatté lo specchio – Tu mi hai chiesto della più bella, non di quella con il nome più musicale. Oltretutto Barbie non è nemmeno male, anzi… Se un giorno avrò una bambola tutta mia, penso che la chiamerò proprio così.»

Fuori dal castello un tuono rombò e, visto il cielo sereno, non si annunciava nulla di buono.

«Biancaneve! – Chiamò la regina – Biancaneeeve!»

Trafelata, la bella Biancaneve accorse dalla regina, con l’abito giallo e blu a svolazzare e una mela rossa rossa tra le dita.

«Addormentata! – Chiamò ancora la regina – Bella addormentaaata!»

Sbadigliando e stiracchiandosi, dalla regina accorse anche la bella addormentata, con i capelli lunghi, biondi e spettinati, proprio come quelli di chi si è appena svegliato da un sonno lungo e profondo.

«Cenerentola! – Continuò a chiamare la regina – Cenereeentola!»

Dalle cucine arrivò anche Cenerentola, con il grembiule per i mestieri e ai piedi una scarpa sì e una scarpa no.

«Ragazze, – borbottò la regina cattiva, senza nemmeno aspettare che le tre fanciulle si accomodassero intorno al tavolo – c’è un problema, un grosso problema, un bel problema, anzi, un bellissimo problema… Un problema decisamente troppo bello per i miei gusti.» E cominciò a raccontare di questa tale Barbie, di quello che lo specchio aveva decretato, di come fosse necessario fare qualcosa al più presto. E, mentre parlava, le tre facevano sì con la testa.

«Se vuoi ti cedo la mia mela avvelenata, – offrì Biancaneve, porgendo alla regina il frutto succulento – così la facciamo fuori e torna tutto come prima.»

«Io posso darti l’unica scarpetta che mi è restata – propose Cenerentola – che magari è del numero giusto…»

La bella addormentata, invece, non disse nulla. Si era appisolata con la testa tra le braccia conserte sul tavolo e, ascoltando con attenzione, forse stava pure russando un po’.

«Ma quale mela… – Si lamentò la regina – Ma quale scarpetta… Poi lo sapete come va a finire e io non ci voglio ricascare, con i vostri cacciatori e principi azzurri, sempre pronti a togliervi dai guai…»

«Bisogna escogitare un piano infallibile – sussurrava, malefica – che ci tolga dai piedi questa Barbie, o come si chiama.»

Sì, ma cosa?

Per evitare l’intervento di qualche inatteso salvatore, la regina chiese a una strega di preparare una pozione speciale: quella Barbie sarebbe piaciuta alle bambine soltanto, altro che principi e cacciatori! Perfida!

A un’altra strega ordinò una pozione modernissima, che trasformasse la pelle della tale Barbie in plastica. Color pelle, ma pur sempre plastica. Perfidissima!

Da ultimo, chiese alla terza strega di rimpicciolire tutti i vestiti nel guardaroba di Barbie, che non superassero i trenta centimetri, più o meno, più meno che più. Altro che abiti lunghi e mantelli! Incommensurabilmente perfida!

Così fu. La Barbie da allora ancor oggi, con la sua pelle di plastica, i suoi trenta centimetri di statura e i suoi mille vestiti, resta ancora la più bella del reame e la più amata dalle bambine, con buona pace di principi, cacciatori e regine cattive.

La fotografia

La mamma, o la zia, o la nonna di Barbie si chiama Ruth. Fu lei che, osservando la figlia Barbara giocare con le bambole, notò che ad alcune dava un ruolo da adulta, fingendo per lei un lavoro, un hobby e persino un fidanzato. Ne parlò a suo marito Elliot, con il quale aveva fondato una azienda di giocattoli, proponendogli l’idea di produrre una bambola non più bambina. Fu in quel momento che nacque la Barbie, con il suo corpo tutto curve, i capelli lunghi da acconciare, le scarpe con i tacchi, i vestiti per le serate o per tutti i giorni e tutto il resto. E intorno a lei, Ruth Handler creò un’intera famiglia, affiancando alla sua bella il fidanzato Ken, Skipper, Stacey, Shelly, Krissy, Tutti e Todd. Ho dimenticato qualcuno?!

Il video

 https://www.youtube.com/embed/ZyhrYis509A/?rel=0&enablejsapi=1&autoplay=0&hl=it-IT 

Chissà se da bambina giocava anche lei con la Barbie, la cantante norvegese Lene Nystrøm. Quello che è certo è che da grandicella, con i suoi tre compagni danesi del gruppo degli Aqua, la Barbie si è messa a cantarla in ogni concerto, grazie alla canzone Barbie girl, scritta proprio da Søren, Claus e René. E ad ascoltarla, magari ad occhi chiusi, pareva proprio che fosse la stessa Barbie a cantare… Nel video, poi, questo effetto funziona ancor di più, in quell’ambiente così rosa confetto, dove si trascorrono un paio di allegri minuti nella casa e nel mondo delle bambole.

La pagina web

Ha una vita quasi vera, la Barbie, per la quale è stata pensata davvero ogni cosa. È persino andata a scuola lei, bambola, che avrebbe potuto tranquillamente starsene a casa su qualche scaffale. A sentire i suoi creatori, Barbie frequentò il Liceo Internazionale di Manhattan, che è una scuola che non esiste, ma in realtà sì: a parte il nome, ogni altra cosa è infatti presa dalla Stuyvesant High School, in Cambers Street, a New York. Se vuoi farti un giro, clicca sul sito e vedrai il banco che forse fu della Barbie, la palestra dove forse giocava a basket, le finestre da dove forse si affacciava alla ricerca del sorriso di Ken o di chissà chi. Tra le pagine ci sono anche le istruzioni e i moduli per l’iscrizione, casomai ti venisse la voglia di andare a lezione da quelle parti…

Ti consiglio un libro

Ann Brashares – Quattro amiche e un paio di jeans – Rizzoli

Se si è in quattro ragazze, con sedici anni a testa, non si hanno in tutto sessantaquattro anni, ma se ne hanno quattro volte sedici e, davvero, non riesco a pensare a una cosa più bella. Con i jeans addosso, poi – ma quei jeans lì, non altri – il mondo si mette a girare che è una meraviglia. Non li aveva nemmeno la Barbie, dei pantaloni così… Ma non lavarli mai, mi raccomando, non fare i risvolti laggiù, non metterti le dita nel naso mentre li indossi… piuttosto leggiti un libro, questo libro!, che racconta tutto ciò e – guarda il caso… – sono in realtà quattro libri, come le amiche e il loro magico paio di jeans.

I nostri eroi

La figlia di Ruth ed Elliot Handler si chiamava Barbara ed è proprio per quello che la Barbie si chiama Barbara anche lei. Così abbiamo lo strano caso di sue sorelle, una di plastica, una in carne e sorriso, che portano lo stesso nome, ma non è mai stato troppo difficile distinguere una dall’altra.

Sono certo che Barbarella, al compleanno o sotto Natale, non ha mai fatto il diavolo a quattro, per convincere amici e parenti, Babbo Natale compreso, a regalarle quella bambola lì, magari con l’aggiunta di un vestito particolare o di qualche aggeggio all’ultima moda. Anzi, secondo me – ma è un’idea mia, mica ne sono certo… – ogni volta che si avvicinava una di quelle date, il suo maggior impegno era di fare proprio il contrario, lasciando intendere in qualche modo a tutti che un bel paio di pattini a rotelle le sarebbe piaciuto di più, magari non rosa confetto… Oppure un libro d’avventura, o anche un paio di mutande a fiori. Tanto poi, per giocare con una delle sue mille Barbie, le sarebbe stato sufficiente aprire il magazzino di mamma e papà e sguinzagliare la fantasia.

Prima di Barbie c’era Lilli. Bild Lilli, per la precisione, e veniva dalla Germania. Era una bambola anche lei, con gli occhioni e un ciuffo tra i capelli, anche se in tedesco bambola si dice Puppe, quindi il nome intero sarebbe Bild Lilli Puppe.

La newyorkese Barbie nasce proprio da lei, dalle sue forme e dalle sue proporzioni e Lilli può quindi essere considerata una sorta di cugina. Certo, la Barbie ha i capelli pettinabili, mentre quelli di Lilli sono attaccati alla zucca, lucidi e sempre in ordine, ma meno divertenti; Anche le scarpe di Lilli erano attaccate ai piedi, fuse insieme nella stessa plastica e addio al divertimento di cambiare modello ogni mezz’ora… Non ci impiegò molto, infatti, la Barbie a superare di slancio il successo dell’altra, tanto che Lilli, da ormai cinquant’anni, non si produce più.

Prima di Barbie e prima di Lilli, le bambole erano davvero bambole, spesso bambolotti e qualche volta pupazzi. Ma ce n’erano alcune di una bellezza rara, tanto che adesso valgono chissà quanto e se ne avessi una la terrei con tutta la cura del caso. Stiamo parlando delle bambole Lenci, dal nome della fabbrica italiana di tessuti, che erano costruite interamente in panno. Non solo i vestiti erano di stoffa, ma anche la bambola stessa e il feltro veniva lavorato in modo tale da apparire come pelle, con le sue curve, le sue ombre e la sua morbidezza. Certo una bambola Lenci non la svestivi e rivestivi a tuo piacimento, non la mandavi a cavallo, né aveva un’automobile tutta sua. Probabilmente, se Ken l’avesse incontrata non l’avrebbe degnata di uno sguardo, ma che ne può sapere Ken, di una bambola così?! Era il tempo della nonna e della bisnonna, di quando erano loro le bambine e le ragazze di casa e, sul cuscino, si coccolavano la loro bambola di stoffa.

Mentre le ragazzine dedicavano il loro tempo alla Barbie, i maschietti certo non se ne stavano a far compagnia a Ken. Per loro c’era il Big Jim, che a guardarlo bene poteva apparire di quella famiglia lì, ma no. Big Jim era muscoloso. Pensa che se gli piegavi l’avambraccio – aveva la pelle di gomma, lui, non di plastica – il muscolo bicipite gli si gonfiava, forzutissimo, da far impallidire Braccio di Ferro! E poi era campione di arti marziali, Big Jim: de gli premevi la schiena, il braccio si muoveva in una mossa di karate, che se non stavi alla giusta distanza finivi al tappeto senza nemmeno accorgertene. Era il migliore amico di tutti i ragazzi, Big Jim, anche perché ad avere un amico come lui ci si sentiva sicuri e baldanzosi, tanto che Ken, se passava da quelle parti, finiva per girare al largo e sparire chissà dove…

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