Come inquadrare, nel contesto internazionale, la produzione legislativa del nostro Parlamento? Dai dati sulla legislazione primaria sembra emergere che stiamo per uscire da un periodo di “iperinflazione legislativa”. Se dovessimo calcolare il contributo marginale di tale proflusione di leggi all’aumento della competitività generale dell’Italia, riassumibile in un insieme adeguato di indicatori (produttività del lavoro, produttività totale dei fattori, crescita del Pil e via discorrendo), i risultati sarebbero desolanti, e chiaramente denotati da un segno negativo.
A solo titolo di esempio, nella sola seconda decade degli anni 90, il nostro Parlamento ha varato 2600 leggi, una media di 518 leggi all’anno. Questa mania regolatoria (ripetiamo: stiamo considerando solo la legislazione primaria) è fortunatamente di molto decresciuta nel tempo, ma è interessante notare come i sistemi di diritto civile diversi dalla common law tendono ad avere in media un numero di leggi primarie maggiori. Non vorremmo dibattere la differenza sostanziale fra i due sistemi, argomento complesso, ma solamente registrare un trend di lungo periodo nel nostro paese, cui si spera si aggiunga anche una migliore “qualità” delle leggi, aspetto non catturato da questo mero indicatore quantitativo.