Andava probabilmente di fretta, l’ingegner Luois-Guillaume Perreaux, il sedici marzo di quel 1869: fretta di arrivare all’ufficio brevetti per primo, un minuto dopo l’apertura. Una bicicletta non sarebbe stata sufficiente a tutta quella fretta, così ci aggiunse un motore a vapore e depositò quel giorno la sua idea, che da allora si chiama motocicletta, per la gioia di chiunque ancor oggi vada di fretta, ma anche di chi ha solo voglia di farsi un giro.
Il racconto
GLI INVENTORI DI TUTTO
Non so che giorno fosse, né l’ora. Non so il luogo, né se fuori piovesse, ed è strano, perché proprio quel giorno, a qualche ora e in qualche luogo, l’uomo inventò la ruota e certe trovate vanno fissate nella memoria e tramandate alle generazioni a seguire, annotando ogni cosa del prima, durante e dopo. Fatto sta che l’idea sbocciò quel giorno lì e non c’è libro di storia che non ne accenni. All’idea, intendo, non al giorno.
C’è chi dice che fu subito organizzata una grande festa, per celebrare l’evento con vino e pasticcini e poi ballare fino all’alba; altri che l’inventore non fosse per nulla soddisfatto, perché lui aveva in mente tutt’altro e una ruota era fin troppo circolare per i suoi gusti; altri ancora sostengono che la notizia venne tenuta segreta per così tanto tempo che, in quanto segreto, ovviamente nessuno sa quanto durò di preciso. Sarà per questo che anche del giorno e di tutto il resto si sa ancora così poco?
Me lo immagino, l’inventore con il suo sguardo pieno di orgoglio: lui con la nuovissima ruota sotto braccio e tutti gli altri no. Deve essere stata una sensazione rara: quella che provano sono gli inventori con i fiocchi, quando nella loro testa si accende la lampadina giusta. Non oso immaginare la sensazione dell’inventore della lampadina, ma questa è un’altra storia, che accadde molti secoli dopo, il che mi lascia supporre che la ruota sia stata inventata di giorno, alla luce del sole.
«Bravo, bravissimo! – Si congratulò uno, passato per vedere la grande novità – E adesso che ci fai con una ruota?»
Domanda sensata, non c’è dubbio, alla quale l’inventore rispose con garbo.
«Ci faccio quello che fai tu, che una ruota non ce l’hai, – sorrise – solo che io ce l’ho e tu no.» E il ragionamento non faceva una piega.
«Potresti usarla come piano per un tavolo – suggerì un altro. C’è sempre qualcuno pronto a suggerire qualcosa, quando hai un’idea… – e inventare la famosa Tavola Rotonda.» Ma l’inventore fece finta di nulla.
«Potevi inventarne quattro, di ruote, – borbottò un terzo – così poi io avrei inventato il carro e saremmo diventati famosi in due…»
«Mamma, mamma! – Strillò una ragazzina, correndo allegra sul prato – Guarda, mamma, faccio la ruota!» E si esibì in un’acrobazia roteante davvero.
«Posso farci un giro?» Intervenne un altro tipo, e questa volta la gente ne rimase colpita. Un giro dove? Un giro come?
«Un giro?! – Bofonchiò l’inventore – Mi toccherà allora inventare anche la sella, per stare più comodi mentre si va a zonzo.» E si mise subito al lavoro immaginando, scarabocchiando, progettando.
«I pedali li invento io!» Anticipò tutti un collega inventore, rimasto fino ad allora in un cantuccio.
«Io invento il manubrio!»
«Io i freni!»
«Io il tubo di scappamento!»
«Io il serbatoio!»
Il gioco era una meraviglia: più qualcuno inventava qualcosa, più qualcun altro inventava qualcos’altro. E pareva non dover finire mai.
«Io invento il fanale davanti!»
«Io il cavalletto!»
«Io la catena!»
Finché non si decise di farci qualcosa, con tutte queste invenzioni.
Fu così che giorni e giorni, mesi, anni, decenni, secoli e millenni trascorsero tra proposte e discussioni, tentativi andati a male e gesti di disperazione, tanto che quando monsieur Louis-Goillaume si presentò sull’uscio, nel laboratorio delle invenzioni c’era un caos che non ti dico.
«Io avrei per l’appunto inventato un bel motore a vapore, che messo insieme a un paio di ruote, alla sella e ai pedali, al manubrio e ai freni, alla marmitta e al serbatoio, al fanale, al cavalletto e alla catena, comporrebbe una bella motoretta sulla quale farsi un giro.»
Il silenzio si fece totale.
«Uno alla volta, però.» Aggiunse.
Uno dopo l’altro gli applausi si susseguirono, per esplodere in un’ovazione, a un brindisi e a tante pacche sulle spalle e giusto in tempo fece il più giovane tra gli inventori ad unirsi all’allegra combriccola:
«Ho inventato il casco! – Esultava – Ho inventato il casco!» Ma non tutti gli diedero retta. Peggio per loro.
La fotografia
William e Arthur erano buoni amici e spesso trascorrevano interi pomeriggi nel garage a trafficare con viti e bulloni, catene e ingranaggi, cercando di far funzionare la loro idea di motocicletta. Uno di cognome faceva Harley, l’altro – il padrone del garage – Davidson e i due si trovarono d’accordo nel progettare un serbatoio sufficientemente grande per contenere qualche gallone di carburante all’interno e avere all’esterno lo spazio necessario per appiccicare il logo della loro società.
Da quel garage di Milwaukee, nel Wisconsin, la mitica Harley Davidson divenne uno dei marchi motociclistici più famosi del globo, con le sue motociclette guidate da pochi, desiderate da molti e ammirate da tutti, al vederle passare. Era l’estate del 1903 e non voglio pensare a come sarebbe andata a finire se il signor Davidson, padre dell’intraprendente Arthur, non avesse avuto un garage proprio accanto alla porta di casa.
Il video
Un po’ di moto di quel dì, con piloti abbigliati di conseguenza: fotografie e filmati per provare a immergersi in un ambiente dove la polvere superava l’asfalto e lo spirito d’avventura viaggiava su due ruote. Pure la colonna sonora del video è intrigante, con il suo bel ritmo che pare uscito dai pistoni.
La pagina web
Se le motociclette che ti piacciono sono quelle che corrono in pista, non hai che da seguire il campionato, sui circuiti del mondo intero. A Misano o al Mugello puoi addirittura assistere dal vivo, sempre che tu non abiti troppo lontano, ma per tutti gli altri appuntamenti della stagione il modo migliore per sapere qualsiasi cosa è consultare direttamente il sito ufficiale della moto GP, dove troverai i campioni, le squadre, i tecnici, immagini, video e le classifiche aggiornate.
Ti consiglio un libro
Robert M. Pirsig – Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta – Adelphi
Prendi una motocicletta e fatti un viaggio dal Minnesota alla California. Se hai un figlio, portalo con te, altrimenti portaci papà e la parte del figlio falla tu. Metti in moto e buon viaggio, con i tuoi pensieri e un paio di calzini di ricambio. Se poi sei capace di metter mano al motore e agli ingranaggi, in caso di guasto, e di evitare di rimanere a piedi, meglio ancora, soprattutto se dentro al motore e ai suoi gingilli trovi cose altrettanto affascinanti che i paesaggi mozzafiato del West.
È un libro di filosofia, questo insolito diario di bordo, dove le tappe del viaggio sono i pensieri e le foto più belle vengono scattate dentro di te.
I nostri eroi
Una delle motociclette più riuscite di sempre è senza dubbio la ronzante Vespa. Un’idea semplice e geniale, come tutte le belle idee, frullata nella testa di un frizzante ingegnere italiano: Corradino d’Ascanio, che prima di mettersi in sella aveva costruito nientemeno che il primo, primissimo elicottero funzionante, che volasse da qua a là, traballando il meno possibile, con le pale rotanti sopra la testa. Peccato che poi venne la guerra, che i fondi per completare il progetto finirono e che l’idea svolazzante se ne volò via davvero ma, tornata la pace, subito Corradino accettò la proposta del signor Piaggio, di progettare un motociclo che non costasse troppo, fosse agile e maneggevole e, perché no, pure simpatico, nella sua linea insolita.
Si chiamava Paperino, il primo prototipo, cui l’ingegner d’Ascanio mise mano togliendo qualcosa qui, aggiungendo qualcosa là, badando alla comodità, raffinando il design e dal 1946 – era il 23 di aprile – la Vespa se ne va per le vie di tutte le città.
Non è Valentino Rossi il campione più campione di tutti i motociclisti. Bisogna andare indietro di qualche anno, per incontrare quello che anche di Valentino è il mito: Giacomo Agostini, quindici volte campione del mondo, su tutti i circuiti degli anni Sessanta e Settanta. Si chiamavano Aquilotto e Galletto, le prime motociclette che guidò da ragazzo, ma fu una Morini quella che gli aprì le porte delle competizioni e delle vittorie, modello Settebello, che era sette volte bello davvero.
Tuttavia, la moto cui più di ogni altra Agostini legò il suo nome fu la MV Agusta. Se ne hai una di quegli anni nel garage trattala bene, spolverala e lucidala, oliala dove serve e badala meglio che puoi. Magari non andarci a mille all’ora come faceva Giacomino, toccando l’asfalto con il ginocchio a ogni curva, frenando all’ultimo e accelerando a ogni rettilineo. Se invece nel garage una moto così non ce l’hai, allora puoi tranquillamente sognare tutte le derapate che vuoi, dando gas alla fantasia!
Il tempo dei pionieri ha sempre il suo bel bagaglio di fascino, fatto di immagini sbiadite, salti nel vuoto e idee mirabolanti. Non fanno eccezione i pionieri della motocicletta e, tra questi, il simpatico Pietro Trespidi, che ormai nessuno più sa chi sia e per questo ne scrivo un po’ qui.
Siamo negli anni Venti e a Stradella, nell’Oltrepò Pavese, il meccanico Trespidi ha aperto una sua officina, dove non solo ripara i mezzi altrui, ma si ingegna con questo e quello, tanto da costruire un prototipo nuovo nuovo, che attrae l’attenzione della stampa del tempo. Era una sorta di bicicletta con un bel motore attaccato alla canna, un po’ come quelle di oggi, solo che si era cent’anni fa. La cosa bella è che furono gli abitanti della cittadina, con una sottoscrizione, a permettere a Trespidi di aprire una vera e propria azienda capace di produrre qualche centinaio di motociclette all’anno.
Durerà trent’anni, l’impresa di Pietro Trespidi, più o meno fino all’arrivo dell’automobile per tutti, ma la sua idea – basta guardarsi intorno – è ancora lì che se ne va in giro.
In quella stessa Milwaukee di Harley e Davidson e del loro garage, solo una cinquantina d’anni più tardi è ambientata una delle serie televisive più fortunate: Happy Days, con il biondo Ricky Cunningham e il fighissimo Arthur Fonzarelli. Proprio Fonzie ha nella motocicletta il suo cavallo di battaglia. Ma non è certo l’unico attore a sfondare lo schermo a tutto gas. Impossibile non pensare a Marlon Brando, nei panni di Johnny, ne Il selvaggio, o a James Dean in sella alla sua Triumph, o a Steve McQueen e alla sua moto, cantata anche da Vasco Rossi. Sono davvero tante le scene dei film, girate su due ruote, e Fonzie, sempre lui, ne ha infilata una in ogni puntata, anche se forse la più romantica e affascinante resta quella con Gregory Peck e Audrey Hepburn a spasso su una Vespa, nella Roma di Vacanze romane.