La presa russa della Crimea sta mettendo alla prova la solidità dei rapporti tra Mosca e l’Europa. L’Unione europea dovrà rivedere la “special relationship” energetica con il Cremlino. Proprio nel settore energetico la crisi ucraina avrà conseguenze molto rilevanti già nei prossimi anni. Assisteremo a una ulteriore apertura della Russia ai mercati energetici dei grandi Paesi asiatici. Un fenomeno in corso già da anni a cui l’alta tensione tra Mosca e Bruxelles potrebbe dare una decisa accelerata.
L’apertura al “far East” è una strategia che la Russia sta costruendo nel tentativo di conquistare nuovi compratori e costruire un’alternativa ai mercati del Vecchio continente. Vladimr Putin pensa soprattutto alla Cina. «Se i cinesi la supportano, nessuno potrà dire che Mosca è isolata», ha detto alla Reuters Vasily Kashin, esperto di Cina del Cast (Analysis of Strategies and Technologies).
Allo stesso tempo, l’Europa dovrà presto pensare a come diversificare le fonti di approvvigionamento. Soprattutto si rende più urgente una riflessione complessiva sulla strategia energetica dei Paesi Ue. L’invasione russa dell’Ucraina ha riacceso i timori degli europei sulla possibilità che Mosca utilizzi l’arma energetica contro i suoi vicini più recalcitranti. Un problema non da poco visto che oltre il 30 per cento del gas consumato dai Paesi della Ue arriva dalla Russia, la maggior parte attraverso gasdotti ucraini.
Perché Vladimir Putin apra i rubinetti del gas verso Est lo spiegano i numeri. Secondo le stime dell’Asian Development Bank, in Asia stiamo già assistendo a un forte aumento della quota regionale del consumo di energia con un incremento stimato del 30 per cento nel 2010, per arrivare al 51-56 per cento nel 2035. Mentre le economie delle tigri asiatiche ruggiscono, in Europa la domanda è in calo così da trascinare al ribasso il prezzo del gas sul mercato che vale oltre l’80% dell’export russo. Parallelamente, la crisi tra la Russia e l’Occidente rappresenta anche una grande occasione per i Paesi asiatici che intravedono la possibilità di rifornirsi di gas e petrolio russi a prezzi inferiori se davvero la Ue dovesse rompere con Mosca.
Secondo Foreign Policy ne sapremo qualcosa di più il prossimo maggio quando Russia e Cina proveranno a chiudere l’accordo sulle forniture di gas russo. Una trattativa che si trascina ormai da dieci anni. Gazprom, il gigante russo del gas controllato direttamente dal Cremlino continua a chiedere un prezzo alto per esportare il gas verso la Cina mentre Pechino ha tentato di resistere non avendo problemi di approvvigionamento nel breve periodo. «La questione energetica spiega anche il diverso atteggiamento delle principali cancellerie rispetto all’invasione della Crimea», fa notare l’autorevole rivista americana. Stati Uniti ed Europa hanno duramente condannato l’operazione del Cremlino mentre la Cina, il Giappone, la Corea del Sud e l’India, potenze economiche che guardano con interesse agli idrocarburi russi, hanno tenuto una linea più morbida.
Se l’Asia si avvia ad ottenere gas a prezzi scontati, l’Europa deve pensare a qualcosa di nuovo. Ma è davvero possibile un’alternativa a Gazprom? «Le crisi tra Russia e Ucraina del 2006 e del 2009 hanno spinto la Ue a cercare alternative al gas russo. Quella attuale non fa altro che aggiungersi alle due precedenti, spingendo Bruxelles a rafforzare un orientamento già avviato negli anni passati», spiega a Linkiesta, Nicolò Sartori, Research Fellow Area Sicurezza e Difesa dello Iai (Istituto Affari Internazionali). Per comprendere le reali necessità dell’Europa «bisogna capire se il problema è il gas russo oppure il transito attraverso il territorio ucraino». In questo caso «la realizzazione di Nord Stream e South Stream potrebbero decisamente alleggerire il rischio per le forniture russe».
«Se invece consideriamo come problema principale le relazioni con la Russia, e quindi la dipendenza da Gazprom, allora le alternative sono più difficili da identificare», prosegue Sartori. «Il Corridoio Sud, faticosamente aperto (sebbene ancora virtualmente) dalla Ue dopo oltre un decennio, non può rappresentare un’alternativa alla partnership con Mosca». I numeri sono inequivocabili. «I 10 miliardi di metri cubi provenienti dal Caspio (tra l’altro non disponibili prima del 2018/19), infatti, sono veramente poca cosa se paragonati agli oltre 130 importati dalla Russia nel 2013».
Un’altra soluzione potrebbe essere la produzione di gas nel Mediterraneo. Il contributo, però, sarebbe piuttosto limitato. «Aumentare le importazioni di gas liquefatto (detto anche Lng -ndr) potrebbe contribuire ad alleviare la dipendenza dalla Russia in modo più significativo. I Paesi del Mediterraneo (Spagna in primis) hanno già una buona overcapacity per quanto riguarda le importazione di gas liquefatto. Questo, però, presenta due difficoltà principali. La prima riguarda i prezzi poichè sul mercato Lng ci troveremmo a competere con gli acquirenti asiatici, dovremo essere pronti a pagare prezzi più alti di quelli attuali, in linea con quelli pagati da Giappone o Corea del Sud.
Per Sartori, l’Europa deve inoltre procedere «in modo spedito verso la creazione di un mercato europeo del gas integrato, anche e soprattutto, dal punto di vista delle infrastrutture transfrontaliere. Gli europei stanno anche acquistando più gas da Norvegia e Algeria. C’è poi la rivoluzione dello shale gas; il boom degli idrocarburi non convenzionali negli Stati Uniti e in Cina potrebbe costituire un’importantissima alternativa.
Ma prima di tutto i Paesi dell’Unione europea hanno bisogno di una politica energetica solida e coordinata. Uno scenario che oggi appare molto lontano con gli Stati membri divisi da interessi e strategie troppo eterogenei.