Tocco il cielo con un dito

Link Young

Due anni di lavoro, trecento operai, diciottomila pezzi di ferro, oltre due milioni di bulloni da fissare per bene, otto milioni di chili, milleseicento scalini, trecento e più metri fin lassù, mesdames et messieurs, ecco a voi la Tour Eiffel! Inaugurata il trentuno di marzo del 1889, era la porta d’ingresso all’Esposizione Universale e sarebbe poi dovuta essere smontata e rimpacchettata, invece se vai a Parigi, in treno o in mongolfiera, in carrozza o con il jet, la torre appuntita è ancora lì a toccare il cielo, più bella e più snella che mai.

Il racconto

TI PORTERÒ A PARIGI

Quella sera il giovane Gustavo sarebbe finalmente uscito con la ragazza dei suoi sogni – e che sogni! – che aveva corteggiato per mesi e mesi, prima discretamente, con qualche sguardo sfuggito, o un sorriso appena accennato ed era pure difficile accorgersi se quella ricambiasse oppure no.

Un giorno Gustavo trovò il coraggio e la sfrontatezza di farle addirittura l’occhiolino, ma pare che fece la figura di quello cui è finito un moscerino nella pupilla e il piano fallì. Provò con un fiore, con un biglietto per il cinema, oppure offrendosi di accompagnarla fino a casa, dopo scuola, portando la cartella per lei e tenendola sotto l’ombrello in caso di pioggia. Tutte cose che si fanno, quando si è innamorati come lo era lui di lei, senza sapere se lo fosse anche lei di lui.

Oltretutto c’era pure la concorrenza piuttosto sleale del bello della classe, di cui tutte erano invaghite, compresa lei, probabilmente. E del bullo della classe, che non gradiva che qualcuna guardasse un altro e non lui.

Gustavo, però, non demordeva e tramava, nelle notti insonni, delle strategie che al mattino, annebbiato dal sonno, non riusciva mai a mettere in atto. E quella storia che è il pensiero che conta, con lui non funzionava mai.

Imparò a suonare il violino, Gustavo, solo per potersi esibire in una serenata sotto la sua finestra alla prima notte di Luna piena, sperando che le nuvole non si mettessero di mezzo. Imparò a cucinare, casomai lei avesse accettato un invito a cena e quel ristorantino romantico che aveva adocchiato fosse stato chiuso per turno. Aveva imparato a memoria i versi più belli, attingendo da poeti più o meno famosi, e se non altro questo gli valse un bel voto, che non guasta mai.

Sarà per distrazione, sarà per disinteresse, ma quella pareva non accorgersi di Gustavo più di quanto non notasse chiunque altro intorno a lei, senza dar segni di un sentimento sul punto di sbocciare. Finché un giorno la proposta colpì nel segno, come freccia nel bersaglio.

«Ti porterò a Parigi!» Le propose, con un sorriso da qua a là, senza altro aggiungere. Poteva insistere, parlando di Montmartre e del museo del Louvre, dei Champs Elisées e di Notre Dame, della baguette e dello champagne, ma Parigi era sufficiente e lo sguardo della bella fu subito eloquente.

Fu così che Gustavo dovette ingegnarsi per portarla a Parigi davvero, ora che aveva fatto breccia e il mondo cominciava a girare. E fu subito chiaro che non era cosa da nulla, perché quella aveva paura di volare, stava scomoda sui treni e lui non aveva la patente per scarrozzarla in città.

Quella sera Gustavo apparecchiò un tavolino per due, con doverosa candela esattamente nel centro, nientemeno che sul tetto di casa. Che non era una casa come le altre ma – guarda la fortuna… – una sorta di grattacielo alto fin lassù, dove lui posizionò il tavolo e le due sedie tra i camini e le antenne. un luogo sufficientemente insolito per risultare affascinante, ma lei Parigi aveva in mente, a qualche migliaio di chilometri da lì, e probabilmente avrebbe notato la differenza.

Quella sera Gustavo accolse la bella, che pareva più bella ancora, e le porse un fiore, che questa volta lei accettò con piacere. Le aprì la porta e la accompagnò fino all’ascensore, dove la invitò a entrare, come se fosse la cabina di un aeroplano. Con il polpastrello del dito indice un po’ tremante, premette per lei il tasto numero ventisei, che di più non ce n’era, e non disse nulla fino all’arrivo, quando la invitò a salire gli ultimi, pochi gradini e le spalancò la porta del cielo. Quanto a romanticismo sfido chiunque a fare di meglio.

«E Parigi?» Borbottò lei, giungendo malauguratamente subito al punto.

«Eccola!» Esclamò Gustavo, senza perdere la calma. E indicò con lo sguardo verso occidente, dove la periferia finiva in fretta e cominciava la campagna.

«Eccola dove?» Insistette lei.

«La vedi l’autostrada laggiù? – Le mostrò – Poi le colline con i vigneti? E le montagne all’orizzonte, con la neve ancora sulle cime?»

La bella vedeva ogni cosa, ma non Parigi…

«Guarda oltre – la esortò lui – dove la luce del tramonto è ormai fioca, proprio sotto quella nuvola segnata appena… La vedi quella lucina rossa e intermittente?»

A dirla tutta, non si vedeva nulla, ma lei certo non voleva far una figura miope e ben poco lungimirante, quindi annuì senza esitare.

«È la torre – esclamò Gustavo – la Tour Eiffel! È lì per noi e ci farà compagnia per tutta la serata.»

Come andò a finire non lo so, ma l’indomani a scuola Gustavo si fece interrogare volentieri in geografia, proprio sulla Francia e sulla città capitale.

La fotografia

Tra i monumenti più famosi al mondo, di là dell’oceano c’è la Statua della Libertà, Liberty per gli amici, simbolo dell’intera nazione americana. E – guarda un po’ – fu proprio l’ingegner Gustave Eiffel a progettarne la struttura interna, che regge da oltre un secolo la donna più alta del mondo, con la sua torcia nel pugno e il panorama da ammirare tutto intorno. La statua, infatti, fu un’idea francese, in segno di fratellanza tra i due popoli: venne costruita di qua dell’Atlantico, trasportata a pezzi di là e montata seguendo attentamente le istruzioni.

E se anziché a New York ti trovi a Parigi, nessun problema: oltre alla Torre Eiffel potrai ammirare lungo la Senna il modello originale della statua americana, anche lei con la fiaccola nel pugno, ma con molti meno grattacieli da guardare.

Il video

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Quando era piccola, la Torre Eiffel era già grande così. Aveva un anno di vita, nel lontanissimo 1900 tondo tondo e anche il cinema, nato pochi anni prima proprio a Parigi, muoveva i primi passi. Eccoti allora le prime, primissime immagini filmate della torre, con le persone piccine così, agghindate come si usava allora, con tanto di signorina con l’ombrello, che par di vedere Mary Poppins. È divertente vedere che, per i passanti, la vera novità e meraviglia della scienza e della tecnica non è la torre lassù, bensì proprio la cinepresa, davanti alla quale tutti si voltano e sorridono.

La pagina web

La torre Eiffel è anche una enorme antenna radio. Alta com’è fu infatti subito sfruttata per esperimenti e trasmissioni. Nacque lassù, per esempio, la telegrafia senza fili e anche durante la seconda guerra mondiale fu possibile, da quell’altezza, comunicare con i dirigibili e intercettare le comunicazioni del nemico. Allora, se anche tu hai il pallino per la radiofonia, sono due le cose che puoi fare anche subito: prendere un aereo o un treno e andare a Parigi, per poi salire sulla torre e collegarti, oppure cliccare sul sito dell’A.R.I., che è l’associazione dei radioamatori italiani, per vedere se qualcuno nella tua zona ha la stessa passione o se accade qualcosa non troppo distante da te.

Ti consiglio un libro

Jean-Jacques Sempè – Un po’ di Parigi – Donzelli

È tra le città più dipinte del mondo, Parigi, con i suoi pittori sempre all’opera per tracciare sulla tela questo o quello scorcio. E di scorci da dipingere ce ne sono in ogni cantuccio. Il disegnatore Sempé, con la sua matita umoristica e i suoi colori tenui e sorridenti, ha dedicato alla città un intero libro e ognuna delle sue tavole è un piccolo romanzo, che ti racconta la gente che passa o il tempo che fa. Ci sono i bistrot e le brasserie, le stradine e i boulevard, le casette e i palazzi e c’è ovviamente, grande grande o sullo sfondo, anche la mitica Tour Eiffel, altrimenti che Parigi sarebbe?!

I nostri eroi

Hai mai sentito parlare della famosa torre Bönickhausen? No?! Nemmeno io. E meno male che è così, altrimenti avrei dei grossi problemi anche a chiedere indicazioni a qualcuno del luogo, con quel nome così difficile pronunciare…

Ebbene, Bönickhausen è nientemeno che il cognome originario di Gustave Eiffel, l’ingegnere che progettò il monumento più appuntito del mondo. E fu proprio il problema della pronuncia sputacchiante a convincere la famiglia intera a cambiare tutti i documenti con Eiffel, appunto, in onore della regione tedesca dell’Eifel, di cui era originaria.

Risolto il problema del cognome, Gustave Eiffel poté dedicare ogni minuto del proprio tempo ai metalli e alle costruzioni, alle impalcature e alle strutture architettoniche, tanto che fu quasi normale affidare proprio a lui la progettazione di quella che diventò ben presto il simbolo di Parigi e della Francia intera. BravoBönickhausen… ops! Bravo Gustave! E grazie a nome di tutti i turisti del mondo, che non dovranno mai bofonchiare e balbettare il tuo ex-cognome impronunciabile, per ammirare la supertorre di metallo.

La forma della Torre Eiffel è inconfondibile. La si riconosce anche se la si intravede appena nella nebbia del mattino, oppure nel buio, tra le ombre della notte; è lei nelle cartoline sfuocate di cent’anni fa e pure nei dipinti astratti, cubisti o avanguardisti, ad olio o all’acquarello. Quella bella mente di Massimiliano Tappari, fotografo dall’occhio attento, l’ha vista anche in una semplice forcina per i capelli e a guardarla si vede subito che ha ragione lui. Di più: adesso che abbiamo visto anche noi la somiglianza, le forcine non sono più degli aggeggi da parrucchiere, bensì tante piccole torri Eiffel che ogni tanto si infilano tra i capelli. È un gioco sempre intrigante, trovare una cosa in qualcos’altro e chissà se l’ingegner Gustave Eiffel lo sapeva che, anziché una torre appuntita, avrebbe costruito una gigantesca forcina…

Ci fu un tipo che, qualche tempo fa, ebbe la brillante idea di vendere la torre Eiffel. E fu un vero affare, per lui, tanto che, ingolosito dal primo successo, provò a venderla una seconda volta. Si chiamava Victor Lustig, veniva dalla lontana Boemia e si trovava a Parigi nei favolosi Anni Venti.

Furbissimo, si finse funzionario dello Stato, incaricato di smantellare la torre che, effettivamente, nei piani originali del 1899 doveva rimanere lì per una ventina d’anni soltanto. Si inventò la storia dei costi proibitivi della manutenzione e del fatto che la sua forma stonasse con l’architettura dei palazzi di città. Mandò quindi a chiamare i titolari delle maggiori aziende trafficanti in metallo e propose loro l’acquisto del materiale, una volta smontato pezzo dopo pezzo. Poi si affrettò a sottolineare che l’affare era un segreto di stato e lasciò intendere che il suo compenso per tutto ciò era bassino, come per chiedere una bustarella. Infatti tale monsieur Poisson, per aggiudicarsi l’ammasso di ferraglia, lo pagò profumatamente sottobanco; Victor afferrò il malloppo e se ne andò a godersi la vita. Tanto si vergognò, l’imprenditore beffato, che nemmeno sporse denuncia.

Meno di un anno più tardi il Lustig ci provò di nuovo, ma questa volta il possibile compratore non si rivelò un pollo e il piano fallì, costringendo il nostro a fuggire.

Il gesuita Theodor Wulf era un fisico, impegnato nello studio delle radiazioni, in particolare quelle provenienti da oltre l’atmosfera terrestre.

Cosa c’entra questo con la Torre Eiffel? Apparentemente nulla, ma il giorno che, nel 1910, visitò Parigi, come chiunque altro arrivi in quella città, andò a vederla e, già che c’era, ci salì. Quando fu in cima, alla bella altezza di trecento metri, estrasse uno strumento nel taschino e, per non perdere l’abitudine, misurò le radiazioni, che erano inaspettatamente di più di quante non fossero alla base. Fu quel calcolo e un’intuizione brillante a far scoprire a Theodor Wulf nientemeno che le radiazioni cosmiche, cosa che lo spinse probabilmente a festeggiare fino a tardi, brindando con fiumi di champagne!