Asia del Pacifico, ancora motore dell’economia mondiale

Asia del Pacifico, ancora motore dell’economia mondiale

Una settimana prima che la Cina, il 16 aprile, pubblicasse i dati sul prodotto interno lordo nel primo trimestre dell’anno, la Banca Mondiale diffondeva l’ultimo rapporto sulle aspettative di crescita e la situazione economica negli Stati emergenti della regione dell’Asia del Pacifico. I dati diffusi dall’ufficio di statistica di Pechino davano la crescita del Dragone tra gennaio e marzo al 7,4 per cento, sotto l’obiettivo fissato dal governo del 7,5, ma più alta delle aspettative degli economisti.

Proprio il previsto rallentamento cinese nell’anno in corso è uno dei fattori che fa stimare agli economisti dell’organizzazione con sede a Washington una crescita della regione stabile, sebbene leggermente più lenta rispetto all’anno passato. Secondo le stime della Banca Mondiale, le economie emergenti del Pacifico cresceranno quest’anno del 7,1 per cento contro il 7,2 dell’anno scorso e quasi un punto percentuale più lenti della media dell’8 tenuta tra il 2009 e il 2012. Se si esclude dal computo la Cina, seconda economia al mondo – il cui dato è previsto al 7,6 per cento, in calo rispetto al precedente 7,7 per cento – la crescita regionale è prevista al 5 per cento.

L’Asia del Pacifico, ha ricordato la World Bank, si è confermata negli anni di crisi globale come uno dei motori dell’economia mondiale. Posizione che dovrebbe mantenere per la ripresa delle economie ad alto reddito e per l’effetto contenuto sul mercato mondiale del taglio alle iniezioni di liquidità nell’economia statunitense della Federal Reserve.

Passando in rassegna i vari Paesi, Thailandia e Islanda rischiano secondo il documento di subire le condizioni finanziarie globali e gli alti livelli di indebitamento delle famiglie. Per l’Indonesia, la crescita sarà del 5,3 per cento nel 2014 per poi attestarsi al 5,6 nei due anni successivi. Molto, si è detto in questi giorni, dipenderà anche dall’esito delle presidenziali di luglio, che vedono favorito il governatore di Jakarta, Joko Widido, la cui elezione, secondo quanto scriveva il Financial Times prima del voto, potrebbe incentivare gli investitori, qualora portasse avanti una serie di riforme.

Tuttavia il risultato sotto le aspettative del suo Partito democratico di lotta nelle legislative dello scorso 9 aprile ha reso necessario tessere alleanze per presentare la sua candidatura. La Thailandia dovrebbe invece crescere rispettivamente del 3 e del 4,5 per cento, in calo rispetto alle previsioni. Le incertezze sono dovute in particolare alla situazione politica ancora tesa, causa principale del rallentamento thailandese. La prima ministra, Yingluck Shinawatra, è ormai da mesi bersaglio delle manifestazioni dell’opposizione che ne chiede le dimissioni e la ritiene una marionetta nelle mani del fratello Thaksin, controverso ex premier deposto nel 2006 e ora in esilio con alle spalle una condanna per corruzione e abuso di potere.

Una situazione di stallo politico è anche quella che si trova ad affrontare la Cambogia, dopo le contestate elezioni dello scorso luglio, che hanno visto l’ennesima affermazione del primo ministro Hun Sen, uomo forte del Paese da oltre un quarto di secolo. Colloqui tra il premier e il leader dell’opposizione Sam Rainsy, il cui Partito per la salvezza boicotta le sessioni del Parlamento, potrebbero presto dirimere le tensioni politiche. Anche se a queste si affiancano tensioni sociali, contro cui l’esecutivo non ha esitato a usare il pugno duro. Gli ultimi anni sono stati contraddistinti dall’aumento delle proteste dei lavoratori tessili, uno dei settori trainanti dell’economia cambogiana, per chiedere salari più alti e migliori condizioni di lavoro.

Le Filippine si confermano uno dei Paesi che cresce di più al mondo, 7,3 per cento lo scorso anno, nonostante l’impatto del devastante passaggio del supertifone Haiyan a ottobre. Consumi e servizi sono la locomotiva delle prestazioni di Manila. Per il 2014 ci si attende un più 6,6 per cento che salirà al 6,9 per cento nell’anno successivo. Ci sarà un ritocco verso l’alto, seppur modesto, anche in Malesia con un aumento del Pil del 4,9 per cento per l’anno in corso.

Stime di crescita al 7,8 per cento sono invece quelle del Myanmar. L’outlook birmano, con il Paese che ha avviato nel 2012 un processo di apertura e riforme e nel 2015 andrà ai seggi per le presidenziali, è considerato positivo nel medio termine, sebbene con rischi, soprattutto sul versante politico. Per il Vietnam ci sarà invece una crescita modesta, al 5,5 per cento. Stima che risente di quella che è chiamata «l’assenza visibile dei progressi nell’affrontare le riforme strutturali», in particolare per quanto riguarda le aziende di Stato e il sistema bancario, su cui ci dovrà essere una nuova attenzione. Le economie di Timor-Leste e degli Stati insulari del Pacifico restano invece troppo dipendenti da rimesse e aiuti.

Grande attenzione è data alle riforme messe in campo da Pechino. Il successo delle iniziative cinesi porterà benefici ai partner commerciali, che le forniscono prodotti agricoli e servizi, scrivono gli esperti della Banca Mondiale. Di contro, sottolinea il rapporto, eventuali distorsioni nel ribilanciamento cinese potrebbero avere ricadute sulla crescita globale e regionale, in particolare per i Paesi esportatori di risorse naturali.

I dati sul primo trimestre dell’anno, fermi restando i dubbi sull’attendibilità delle statistiche del Dragone, indicano in qualche modo che l’economia cinese ha iniziato a muoversi verso la direzione indicata dalla dirigenza, che negli ultimi tempi ha rimarcato in più occasioni di voler dare maggiore importanza all’occupazione e alla qualità della crescita rispetto ai meri numeri del prodotto interno lordo. In questo contesto la crescita continua, sebbene al di sotto delle aspettative e con i risultati degli scorsi mesi di manifatturiero e commercio con il segno più, ma in frenata rispetto alle cifre del passato. Bene invece i servizi, con il terziario che lo scorso anno ha superato per la prima volta l’industria per contributo al Pil, e i consumi.

Dati che sembrano indicare il modo in cui l’economia cinese si sta trasformando. Resta da capire se, come rimarcato dallo stesso premier Li Keqiang durante il forum economico di Bo’ao, la dirigenza cinese saprà rinunciare a varare un ampio pacchetto di stimolo, anche nel caso le condizioni economiche del Paese dovessero peggiorare rispetto agli obiettivi fissati dal centro.

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