Vi è grande preoccupazione in zona Euro per l’inflazione, che viaggia prossima allo zero in molti paesi periferici e sotto l’obiettivo di lungo periodo del 2% anche nei paesi core dell’Unione. Ma più del tasso spot, ciò che importa per le decisioni di consumo degli agenti economici, in un’ottica intertemporale, è il tasso atteso di inflazione nel futuro. La Banca Centrale Europea conduce un’inchiesta fra professionisti ed esperti che lavorano in istituti finanziari e non, con sede in Ue. Ebbene dalle distribuzioni di frequenza delle stime pare che nei due anni a venire l’nflazione sia attesa al di sottto del 2%, con stime puntuali pari a 1,1% nel 2014 e a 1,4% nel 2015. Solo attorno al 2018 l’inflazione, a parità di attese sulla politica monetaria, ritornerà nei pressi del 2%.
Ma perché un’inflazione attesa più bassa potrebbe rallentare la ripresa? Ebbene il modello economico di riferimento, quello neo-keynesiano, ci dice che i consumi attuali dipendono anche dalle attese sulla dinamica dei prezzi. Se questa è in rallentamento, i consumatori che ottimizzano i consumi nel tempo, avranno incentivi a spostare i consumi nel futuro, quando i prezzi saranno più bassi. Perciò, ad un livello di consumi più basso oggi corrisponderà un più alto tasso di crescita dei consumi stessi domani. Uno degli obiettivi della politica monetaria sarebbe perciò quello di “smussare” questa dinamica tramite un aumento delle aspettitve di future di inflazione, che si riverberino sui consumi già nel periodo in corso. Riuscirà la Bce a convincere gli operatori che i suoi obiettivi di inflazione non sono cambiati, oppure dobbiamo aspettarci un periodo prolungato di stagnazione della domanda aggregata?