Nel Paese di Galilei, Copernico si insegna a correnti alternate. La Corte costituzionale ha dato via libera alla fecondazione assistita eterologa. Il seme o l’ovulo potranno essere donati da persone esterne alla coppia. Servirà qualche adeguamento legislativo, ma il più è fatto e la decisione pare quadrata.
Com’è ovvio la sentenza non spegnerà gli infuocati dibattiti etici, religiosi e sociali. Con i testamenti e il vocabolario alla mano, continuerà la discussione tra i militanti dei “chili-massa” che i genitori biologici donano al piccolo e i sostenitori dei “chili-amore” donati al bimbo dai genitori sociali.
Ma quando si sarà fatto tardi nel dibattito qualcuno ricorderà l’invito a risparmiare energia lanciato da Pajetta a un deputato ostruzionista. Quando finisci spegni la luce, gli disse, lasciando a tarda ora una stanca aula di Montecitorio.
E allora il buio illuminerà gli occhi di tutti. Va a finire sempre così: si sceglie il male minore. Il metodo lo suggerì quel sant’uomo di Carlo Maria Martini, prima ancora che si montassero ovunque gli “ospedali da campo”, e tutti ci mettessimo dalla parte degli infermieri, mai dei malati, sotto l’insegna del “chi sono io per giudicare?”.
Professione di fede è il male minore? Forse si, forse no. Certamente è professione di laicità.
Lo Stato laico consente di scegliere soluzioni e tecniche in linea con il progresso scientifico. Nessun legislatore, poi, dovrebbe mai sentirsi abilitato a far pesare nelle decisioni la scelta più in linea con sé stesso o col proprio convincimento culturale o religioso. Per questo il divieto alla fecondazione eterologa non era ragionevole e andava cancellato.
Nel frattempo, in preda a commenti da instant book, è partito il birignao. Voci artificiose e un po’ affettate ed esultanti per aver vinto la malinconia da ritardo, cioè quella della politica nell’offrire risposte “alle domande e alle esigenze suscitate dai mutamenti che l’evoluzione scientifica continuamente impone”.
Giusto. Sono esultante anch’io. Resto però malinconico per altre dilazioni su altri argomenti, forse eticamente meno problematici, e per questo addirittura meno adatti per condurre in schiavettoni la scienza e il suo progredire.
Sperimentazione animale per curare le malattie, ovviamente senza che il male inflitto rasenti il “gusto” del banale, e coltivazione di organismi geneticamente modificati, purché sfamino senza ammalare, sono materie con la stessa trama della fecondazione artificiale. E lo stesso convitato: la scienza e le sue frontiere. Che purtroppo nulla può di fronte alle paure sull’apocalisse, alimentate dai sondaggi. Non sono altro che specchi riflettenti un’opinione pubblica creata dalla vulgata e irradiata dai media. L’apocalisse e il disastro ha più spazio perché fa più notizia.
“La bravura in questo campo sta nell’invertire l’onere della prova”, scrive in un utilissimo libro il polemista francese Pascal Bruckner (Il fanatismo dell’apocalisse, Guanda, 2014). Mentre per la fecondazione assistita l’onere della prova sull’utilità del divieto è stato sempre richiesto, giustamente, ai geno-scettici, teologi e pastori; non hanno convinto il mio approccio laicale negli affari di Stato sugli altri argomenti dove la prova deve essere esibita dai genetisti o dagli agronomi, rendendoci chierici e ministranti nei riti “religiosi” della paura.
Bisogna sempre lasciarsi “un nemico per la vecchiaia”, avrebbe detto Ennio Flaiano. Nei tempi moderni il nemico è stato, via via, il capitale, l’occidente e il capitale e l’occidente assieme. Oggi non basta avere per nemico l’uso irragionevole dei prodotti della scienza e della ricerca. Pare che nel post moderno, sepolte le grandi narrazioni, si debba finire per coltivare ed annientare il nemico “totale”: l’uomo stesso e il suo bisogno di vivere sulla terra. Un ritorno all’inquisizione contro ciò che aveva visto Copernico e insegnato Galileo.