Nel food acquisizioni straniere promosse con riserva

Da Peroni a Fiorucci, le nuove strategie

La cassa di Parmalat saccheggiata a vantaggio dei francesi. La tradizione culinaria italiana depredata dai colossi internazionali. Probabilmente in nessun altro settore dell’economia italiana, le acquisizioni per mano straniera sono giudicate con tanta diffidenza come avviene nel food & beverage, a causa probabilmente dell’importanza attribuita nella nostra cultura al mangiar bene.

Con Erika Andreetta, associate partner di PwC, abbiamo provato a fare un bilancio delle principali acquisizioni degli ultimi anni, proseguendo così in un percorso partito nelle scorse settimane con un’analisi delle acquisizioni estere di aziende italiane e proseguito con un focus sul comparto del lusso. Il quadro che emerge è sostanzialmente positivo, grazie anche alla lungimiranza degli acquirenti, che hanno mantenuto forte il legame con il territorio e con la relativa filiera. Anche se non manca qualche criticità sul piano finanziario.

Luci e ombre nell’affare Parmalat

I francesi di Lactalis hanno un debole per l’Italia, avendo portato a termine nell’ultimo decennio una serie di acquisizioni di peso come Locatelli, Invernizzi, Galbani e Parmalat. Quest’ultima è stata l’operazione più importante e anche la più contestata. Dopo il crack della gestione Tanzi, la società di Collecchio è stata affidata al commissario straordinario Enrico Bondi, con i francesi che nel 2011 sono stati i più lesti a presentarsi alla cassa, battendo una cordata italiana messa in piedi da Intesa Sanpaolo. Da subito si disse che i francesi erano interessati soprattutto alla cassa, con una serie di cause agli istituti di credito in affari con i Tanzi e il sospetto è cresciuto dopo che due anni fa Parmalat ha impiegato 1,4 miliardi per rilevare Lactalis America, appartenente allo stesso gruppo. Sulla vicenda è in corso un’indagine della magistratura.

Al di là di questo aspetto, l’ingresso dell’azienda di Collecchio all’interno di un colosso internazionale ha permesso importanti investimenti per ottimizzare l’uso delle materie prime e aumentare la produttività. A fine 2013, le disponibilità finanziarie nette risultavano a quota 1,066 miliardi rispetto agli 809,8 milioni del 31 dicembre 2012. Merito soprattutto della generazione di cassa da attività operative e da attività non ricorrenti. «L’appartenenza a un gruppo ha favorito lo sviluppo della società in nuove aree geografiche e la presenza in nuovi paesi e mercati come il Brasile», spiega Andreetta. Nel corso del 2013 Parmalat S.p.A. ha acquistato da terzi la società brasiliana Balkis Indústria e Comércio de Laticínios, con sede a San Paulo. «I risultati in America Latina, a cambi costanti e perimetro omogeneo ed escludendo gli effetti dell’iperinflazione, mostrano un fatturato e un margine operativo lordo rispettivamente in crescita del 23% e del 33,3%», aggiunge l’esperta. Che rileva anche sinergie con le esperienze estere, che hanno permesso una riorganizzazione della struttura di ricerca e sviluppo.

Fiorucci, il passaggio dalla logica industriale al focus sulla finanza

Fino al 2005 Fiorucci è rimasta nelle mani della famiglia fondatrice, focalizzandosi sulla parte produttiva, quindi sull’acquisto e la lavorazione delle carni. L’acquisizione ad opera del fondo spagnolo Campofrio Food Group ha comportato il passaggio a una logica più finanziaria. «Si è puntato maggiormente sul cliente/consumatore per gestire in maniera più efficiente la concorrenza», sottolinea Andreetta. «Campofrio conosce molto bene le logiche produttive del settore ma mantiene un legame molto stretto con la territorialità, concentrandosi sulle esigenze del consumatore locale».

Gli interventi principali hanno riguardato la centralizzazione a livello di gruppo di alcune funzioni, come gli acquisti e l’informatica, al fine di sfruttare le sinergie infragruppo. L’esperta sottolinea che l’andamento dei conti è negativo a causa della debolezza del mercato italiano, anche se l’appartenenza a un gruppo internazionale «ha permesso di contenere le perdite, riuscendo ad agire su scelte strategiche e operative che hanno comunque permesso un consolidamento della propria posizione di leader sul mercato».

Pernigotti punta su nuovi mercati

La scorsa estate ha visto il passaggio di Pernigotti al gruppo turco Sanset della famiglia Toksoz. Finora il cambio di bandiera non ha portato stravolgimenti alle strategie, ma piuttosto un’accelerazione del processo di internazionalizzazione. «La produzione resterà in Italia e la materia prima sarà rigorosamente quella locale mantenendo le caratteristiche che contraddistinguono il marchio», sottolinea la manager di Pwc. «Le potenzialità più evidenti si stanno notando a livello internazionale, dove la società può già avvalersi dei canali distributivi del colosso turco in Turchia, ma in maniera più ambiziosa adesso la Pernigotti potrà avere quelle energie sufficienti per l’ingresso nel mercato statunitense e cinese, dove c’è molto interesse per i prodotti alimentari del made in Italy».

Peroni ha cambiato volto

L’acquisizione di Peroni da parte della sudafricana Sabmiller risale al 2003 e questo consente un’analisi più compiuta sull’effetto della nuova proprietà straniera. «L’ingresso nella multinazionale ha permesso una ricapitalizzazione dei debiti, il risanamento delle risorse finanziarie e un forte piano di investimenti, che hanno avuto una ricaduta positiva sull’intera filiera», spiega Andreetta. «A seguito di più ampio progetto che ha coinvolto la Sabmiller su scala globale di riorganizzazione delle società gruppo, è stato possibile standardizzare e migliorare l’efficienza dei processi permettendo al management di essere sempre più focalizzati al core business di ciascuna società del gruppo». In Italia, la multinazionale non è intervenuta con azioni di delocalizzazione produttiva, ma con investimenti sul territorio e volti alla valorizzazione del brand storico, che adesso distribuisce in 60 Paesi nel mondo.

Dunque l’acquisizione viene promossa a pieni voti da Andreetta, che ricorda anche i 18 milioni di euro messi di recente a disposizione dal gruppo per l’innovazione e l’adeguamento degli stabilimenti produttivi italiani (Bari, Roma e Padova). «Le ricadute positive si sono inoltre estese all’intera filiera e sulle circa 1.500 aziende agricole italiane che coltivano orzo e mais per Peroni e fornitori di packaging tutti italiani», conclude.

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