È chiaro a tutti cosa sta succedendo all’interno del bilancio pubblico alla spesa per stipendi? Siccome a qualcuno potrebbe sembrare, leggendo le prime pagine dei giornali, che in gioco vi siano solo gli stipendi (alti) di qualche (alto) magistrato o (alto) dirigente, faccio chiarezza per capire bene gli indirizzi di politica economica attuali e comprendere la rotta del comandante.
a) la spesa per stipendi nel Def Renzi-Padoan è prevista calare dal 10,5% al 9,4% del Pil dal 2013 al 2017. In questo senso il calo è inferiore a quello previsto da Letta Saccomanni (che immaginavano una riduzione al 9,2% per il 2017) ma solo perché le stime di Renzi e Padoan sulla crescita italiana del Pil sono diminuite rispetto a quelle di Letta e Saccomanni. In euro, la spesa per stipendi scende ancora da 163,929 miliardi di euro a 162,714.
b) dei 2,5% di Pil in meno che Renzi e Padoan prevedono di lasciare al Paese di spesa pubblica nel 2017 rispetto al 2014 (contro i 2,7% di Letta e Saccomanni), 0,9%, più di un terzo, sono dunque assicurati dal calo degli stipendi.
c) chi è responsabile per questi cali? Si direbbe Renato Brunetta, visto che è sua la legge 78 del 2010 che blocca la contrattazione collettiva (ferma al biennio 2008-2009) e fissa rigorosi limiti al turnover. Per chiarezza: tutti i governi successivi hanno confermato/prorogato la legge Brunetta. Quindi Brunetta non c’entra più nulla in verità: Monti, Letta e ora Renzi hanno voluto essere come lui. È un dato di fatto, non un giudizio.
d) Nel Def Renzi-Padoan, sostiene la Corte dei Conti nella sua relazione al documento, «solo dal 2018 si potrà tornare ad assumere personale in numero pari agli abbandoni». Si tratta di valori, ancora la Corte, che pongono l’Italia ben al di sotto della media europea per la spesa per personale e che contribuiscono a renderci ancora più “ultimi” quanto alla variabile più importante, l’età media dei dipendenti pubblici. Abbiamo una amministrazione pubblica “scarseggiante” e, peggio ancora, “decrepita” e dunque “poco motivata”, naturalmente meno produttiva del suo potenziale. La linea gialla indica il valore del 30%, il colore blu e rosso i dipendenti pubblici tra i 18 ed i 39 anni (sarebbero giovani di… 39 anni!) (fonte Aran). Terrificante.
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e) Un esempio tra i tanti, dove ne so un minimo di più? La mia Università, piena di vecchietti come me, dove per far entrare un giovane dobbiamo aspettare…quattro pensionamenti. Ecco come il Def e la strategia di governo impatteranno ulteriormente su questo clima di crisi: «per le Università, la razionalizzazione della suddetta spesa è assicurata attraverso la riduzione della dotazione del Fondo per il finanziamento ordinario delle università di cui all’articolo 5, comma 1, lettera a), della legge 24 dicembre 1993, n. 537, dell’importo di 30 milioni di euro per l’anno 2014 e di 45 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2015». In parole povere: via 30 milioni già da quest’anno (una tantum), mentre dal 2015 il definanziamento (di 45 milioni) diventa strutturale. Spero si comprenda bene cosa significa tutto ciò: meno giovani dentro gli Atenei, più fughe all’estero dei più bravi, meno innovazione, meno competitività.
f) Lo so, lo so, l’argomento solito è: l’Università non sa selezionare i migliori, quindi è meglio se tagliamo. Ma come? Un Governo che dice che sa tagliare gli sprechi saprà pure spendere bene? Nell’Università ci vuole poco a spendere bene, stimolando non solo la ricerca ma anche l’insegnamento: vi pensate che qualcuno ci si sia cimentato veramente a riformare davvero l’Università?
g) E così vale per tutti i luoghi dove abbiamo deciso di spendere meno per il personale per dichiarata incapacità: nelle Pompei, nell’assunzione di carabinieri e poliziotti (quelli vecchi attuali non hanno il fiato per correre dietro ai ladri…), nel pagare di più i maestri delle scuole bravi e/o impegnati nel loro lavoro.
h) E scordatevi che ciò implichi maggiore tassazione: se veramente siamo seri sul taglio agli sprechi, abbiamo abbondanti risorse per far tornare a brillare di giovani competenti la nostra Pubblica amministrazione senza creare un goccio di debito più ma solo maggiore crescita e benessere. Ma il Fiscal Compact mette ansia a Padoan e Renzi, e dunque bisogna tagliare, tagliare, tagliare, correndo, correndo, correndo, senza pensare che tra quattro anni, senza funzionari pubblici di qualità le loro riforme che così tanto dovrebbero contribuire alla ripresa del Paese non troveranno all’appello nessuno capace di attuarle.