Non sparate sulle rinnovabili

La risposta a Carlo Stagnaro

Sappiamo bene quanto oggi sia cruciale il dibattito sull’energia e quanto le scelte politiche e industriali di questi anni condizioneranno in futuro la vita nostra, dei nostri figli e dell’intero pianeta. Per questo ritengo sia utile analizzare con oggettività e pluralismo le vicissitudini del comparto energetico italiano; con l’obiettivo di portare avanti un dibattito serio e costruttivo, che consenta ai decisori politici – in primis, del nostro Paese – di agire in maniera pienamente consapevole e lungimirante.

Cogliendo l’occasione dell’articolo apparso su Linkiesta martedì 4 marzo a firma di Carlo Stagnaro, ci terrei quindi ad evidenziare alcune inesattezze che stonano a fianco di affermazioni interessanti ed equilibrate altrettanto presenti all’interno del testo.

In generale, la riflessione sul tema dell’energia non dovrebbe mai prescindere dalle considerazioni di tipo etico sulla tutela dell’ambiente naturale e della salute umana, che, mi si passi il fortunato slogan di una campagna pubblicitaria, “non hanno prezzo”. Indiscutibilmente, è necessario che il settore energetico possa svilupparsi in maniera armonica e secondo logiche di sostenibilità economica; tuttavia, sarebbe a dir poco miope non tenere conto degli interessi di carattere universale intrinsecamente legati all’approvvigionamento energetico. A ciò si aggiunge la priorità, giustamente considerata tale nel nostro Paese, di perseguire l’obiettivo dell’indipendenza energetica – di nuovo, a vantaggio dell’intera collettività e delle generazioni future. A differenza delle fonti fossili, le fonti rinnovabili sono disponibili ovunque e non hanno “rubinetti” gestiti da altri paesi che li aprono o li chiudono in base a motivazioni geopolitiche, che hanno poco a che fare con la legge della domanda e dell’offerta (si pensi ad esempio all’attuale crisi ucraina) e rappresentano una pericolosa e costosa variabile per il sistema Paese.

Venendo invece alle questioni più squisitamente tecniche, giova affermare, in primo luogo, che il parco rinnovabile italiano non è “sovradimensionato”. La scelta politica italiana ed europea di incentivare le rinnovabili e di dare loro la priorità di dispacciamento è stata fatta sulla base di un’attenta strategia industriale che si fonda sulle ricadute in termini di indipendenza energetica, occupazione, ambiente e di riduzione dei prezzi dell’energia nel medio-lungo periodo. Quindi, a meno che non si dimostri che le ricadute positive delle rinnovabili su questi aspetti non esistono, l’affermazione relativa alle dimensioni del parco rinnovabili risulta a mio avviso totalmente fuori luogo e fa addirittura sorridere se confrontata con quella del governo Danese che punta per il 2020 ad consumo 100% rinnovabile.

Per queste ragioni non è altresì corretto asserire che i sussidi destinati alle rinnovabili siano volti a regalare rendite ai produttori. Se qualcuno ha avuto guadagni elevati non è tanto ai produttori di energia che bisogna guardare, ma a certi sviluppatori che nei momenti più “caldi” hanno venduto autorizzazioni a peso d’oro e ai quali non si può certo andare a chiedere la restituzione di quanto  hanno incassato.

Anche sul lato delle cifre ci sono diverse precisazioni da fare. La quantità di energia rinnovabile incentivata corrisponde a meno di 60 TWh (anno 2012) e non al totale dei 92 TWh prodotti (come citato nell’articolo), che è invece la somma tra nuove rinnovabili e idroelettrico storico che non gode di nessun incentivo. Se si rapporta al caso tedesco l’importo pagato per ogni MWh elettrico incentivato in Italia negli ultimi 10 anni, si trova che è sempre stato inferiore: prendendo a riferimento il 2012, si hanno 153 euro a MWh in Italia contro i 162 della Germania. Quando si parla di costo degli incentivi, bisognerebbe farlo in un’ottica di ciclo di vita degli impianti e non di singoli anni: impianti incentivati per 15 o 20 anni come da regimi incentivanti vigenti potrebbero durare 30 anni o forse anche più, producendo energia “gratuita” per molto tempo, senza considerare il fatto chei sussidi sono nominali e dunque il loro valore è destinato a diminuire con l’inflazione di lungo periodo e che quando si parla di sussidi bisogna prestare molta attenzione ed utilizzare parametri obiettivi, in quanto tutta la catena del valore dell’approvvigionamento energetico viene, almeno in parte, incentivata. Come è correttamente evidenziato nell’articolo, inoltre, al costo degli incentivi alle rinnovabili andrebbe sottratto l’effetto di riduzione del prezzo dell’energia all’ingrosso che si ripercuote nell’abbassamento di questa componente nelle bollette.

Ma non solo. Se il fine di un regime incentivante è quello di avviare un settore industriale, il risultato è stato ampiamente raggiunto: tra il 2008 e il 2013 il costo della tecnologia fotovoltaica si è ridotto del 72% e ora siamo nelle condizioni di valutare l’installazione di impianti in assenza di sostegni. Certo, le aziende del settore sono consapevoli che in alcune fasi i fondi potevano essere gestiti in maniera più efficiente, ma a chi dice che i Conti Energia e gli altri regimi incentivanti alle rinnovabili sono stati un fallimento va risposto con i fatti. Diversi studi hanno infatti dimostrato che il saldo attualizzato ad oggi tra costi e benefici degli incentivi alle rinnovabili è largamente positivo e pari a oltre 50 miliardi di euro (fonti Althesys, OIR AGICI). Inoltre, sebbene negli ultimi anni gli incentivi siano diventati una componente significativa della bolletta, l’alto prezzo dell’energia dipende soprattutto da costi di approvvigionamento delle materie prime fossili cresciuti anche di 2-3 volte nell’ultimo decennio, con l’aggravante tutta italiana di pagare il gas naturale d’importazione il 25% in più rispetto ai partner europei (gap che solo negli ultimi mesi si sta riducendo).

Per quanto riguarda il supposto “problema” dell’intermittenza delle rinnovabili non programmabili che, secondo l’articolo, presupporrebbe l’esistenza di capacità convenzionale di back-up, l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) ha recentemente respinto questa tesi. A tal proposito invito a prendere visione della sua ultima pubblicazione, “The Power of Transformation”, che sicuramente spiega la questione in modo più approfondito di quanto non si potrebbe fare in queste poche righe.

Secondo l’Agenzia, l’intermittenza di eolico e fotovoltaico si risolve in primo luogo attraverso le infrastrutture e le interconnessioni. In secondo luogo, quando ci si trova in una situazione di eccesso di capacità termoelettrica come nel caso italiano (senza dimenticare che c’era chi voleva autorizzare otto nuove centrali nucleari!), la soluzione ottimale per agevolare la trasformazione consiste nella chiusura delle centrali più vecchie o più inquinanti che corrispondono anche a quelle meno in grado di offrire servizi di flessibilità. Potrà risultare doloroso e andrà gestito soprattutto sul piano occupazionale, ma si tratterebbe sicuramente di una soluzione più efficiente sotto tutti i punti di vista, rispetto all’introduzione di una remunerazione (l’ormai famigerato capacity payment) degli impianti termoelettrici per il solo fatto di rimanere a disposizione, e in linea con quanto già fatto da Inghilterra, Germania e Belgio.

Se si volesse infine mettere mano al mercato elettrico occorrerebbe mettere le rinnovabili nelle condizioni di operare ad armi pari, per esempio dando la possibilità agli operatori di dichiarare quanta energia produrranno poco prima dell’immissione in rete (l’ideale sarebbe un quarto d’ora prima come succede in paesi ad alta concentrazione di rinnovabili come Germania e Spagna) e non diverse ore prima come sono obbligati a fare adesso (il che porta a inevitabili errori di programmazione che si traducono in costi per il sistema).

Il settore delle energie rinnovabili ha l’innovazione, la ricerca e lo sviluppo sostenibile nel proprio Dna, così come la capacità di fare sistema e costruire collaborazioni vincenti. Vorrei quindi concludere nella speranza che, in un periodo di tale difficoltà per le industrie italiane ed in particolare di quelle nel settore energetico, il confronto possa sempre di più basarsi su ragionamenti che abbiano a stella polare l’interesse del Paese e non di una singola parte.

*L’autore è Presidente di assoRinnovabili, (Associazione dei produttori, dell’industria e dei servizi per le energie rinnovabili) che riunisce e rappresenta dal 1987 i produttori di energia elettrica da fonti rinnovabili, i fornitori di servizi professionali, tecnologie e componenti attivi nella filiera rinnovabile (bioenergie, eolico, fotovoltaico, idroelettrico). Conta più di 500 Associati, più di 1.300 impianti per un totale di oltre 10.000 MW di potenza elettrica installata

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